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Halley

Vincenzo La Monica 14 settembre 2023


Questa storia inizia molte volte e ogni volta racconta un ritorno. Non abbiamo che da scegliere l’anno e il luogo in cui ambientarla. Potremmo metterci d’accordo per Bisanzio nel 728, mentre infuria una pestilenza che toglierà la vita a trecentomila persone o darci appuntamento nel 1986 per un cocktail al tramonto su una terrazza al trentesimo piano di un grattacielo di Los Angeles. 
Oppure potremmo giocare d’azzardo e scegliere dal mazzo degli anni il 164 A.C. nel giorno di wu-shen, a casa di un contadino cinese suddito della dinastia Han e poi catapultarci nel 1066 sul campo di battaglia di Hastings dove un arciere di Guglielmo l’Invasore è impegnato in una finta ritirata prima dell’assalto finale. Ma perché non andare anche a sbirciare in una casa del Missouri nel 1835, nel momento in cui Jane Clemens soffre le doglie del parto per la nascita del suo sesto figlio Samuel che noi impareremo ad amare con il nome di Mark Twain?
Quindi è solo per l’irresistibile suggestione che lega una cometa a una notte di Natale che io decido di cominciare questa storia nel 1758, in una campagna dalle parti di Dresda. 
È qui che un facoltoso agricoltore con la passione per l’astronomia di nome Johann Palitzsch, mentre rastrella il cielo col suo potente telescopio, avvista nella serata del 25 dicembre un pallido batuffolo luminoso nella costellazione dei Pesci. 
Nonostante non sia un professionista, l’agricoltore capisce subito di aver messo nel mirino il bersaglio più grosso del secolo, la protagonista del nostro racconto: la cometa che segna il trionfo dell’astronomo matematico fisico climatologo geofisico filologo editore indovino capitano di vascello Edmund Halley. Tre Hurrà per lui. Anzi, settantasei. Uno per ogni anno che ciclicamente ci separa dal ritorno della cometa che da allora porta il suo nome. 
L’avvistamento di Johann Palitzsch fu la conclusione di un dibattito accesosi ai tempi del precedente passaggio della cometa, nel 1682, e che vide coinvolti oltre al multiforme Halley, anche il padreterno Newton. L’incendio intellettuale, alimentato da una enorme quantità di materiale infiammabile (calcoli, controlli incrociati, ipotesi gravitazionali, calcoli, eresie, ipse dixit e ancora calcoli) era divampato poi nei decenni successivi coinvolgendo tutti i migliori matematici d’Europa. 
Halley era una fortezza. E nei suoi testi sulle comete lo mise nero su bianco: “Posso dunque predire con fiducia il suo ritorno nell’anno 1758. Se questa predizione si avvererà, non ci sarà più motivo di dubitare che debbano ritornare anche le altre comete.” E ancora: “Quindi, se dovesse ritornare, in accordo con la nostra predizione, intorno all’anno 1758, la posterità imparziale non rifiuterà di riconoscere che questo fu scoperto per la prima volta da un inglese.” 
E noi che siamo una posterità imparziale, ma con una punta di malizia, ci concediamo anche una risatina a margine della scoperta inglese confermata da un tedesco. A rimanere con un palmo di telescopio, infatti, furono i francesi. I professori Delisle e Messier che davano la caccia alla cometa dall’osservatorio di Cluny l’avvistarono solo a fine gennaio 1759. Fidandosi troppo dei loro calcoli e del silenzio imbarazzato dei colleghi inglesi (gli unici di cui si preoccupavano), cercavano la cometa in una zona ristretta dello zodiaco e temporeggiarono fino ad aprile con l’incauta sicurezza che costò loro il primato e rese quasi comico l’annuncio in pompa magna all’Accademia delle scienze di Parigi e al re, vanificato dalla precedente pubblicazione del dilettante Palitzsch.
La conferma della periodicità della Halley ha consentito al determinismo scientifico di imporsi. Da allora è stato possibile predire gli anni dei futuri ritorni della cometa, ma anche consultare le cronache per verificarne i passaggi in epoche precedenti. 
La cometa di Halley era stata osservata da astronomi cinesi diversi secoli prima di Cristo. Poi era stata citata da storici romani e longobardi (Plinio, Dione Cassio, Paolo Diacono) che l’avevano associata a prodigi mostruosi ed eventi infausti. Ma la nostra protagonista aveva lasciato impressionanti tracce di sé anche nel mondo dell’arte. La sua chioma appare ricamata a filo di lana sull’Arazzo di Bayeux che racconta in oltre 68 metri di tessuto di lino la conquista normanna dell’Inghilterra e testimonia, appunto, il passaggio del 1066.
La cometa di Halley è servita anche da modello per l’Adorazione dei Magi di Giotto all’interno della Cappella degli Scrovegni, a Padova.
Il pittore ne era rimasto vivamente impressionato durante il passaggio del 1301 e la ripropose due anni più tardi in una raffigurazione che è una vera e propria cesura rispetto all’iconografia tradizionale che fino ad allora si limitava alla figura stilizzata di una stella a più punte su un fondo oro. Quella di Giotto agli Scrovegni, invece, è la raffigurazione di una potente palla di fuoco che si staglia con una lunga coda rosso-arancione su un cielo blu.
L’impressione che se ne riceve è davvero portentosa, al punto che da allora in poi la semplice stella apparsa ai Magi divenne, quasi per imposizione artistica, una cometa dalla lunga coda e come tale ha attraversato non solo i cieli di Oriente, ma ben sette secoli di storia, fino a consolidarsi come un indiscutibile dato di fatto nell’immaginario collettivo che accompagna il Natale. Come avvenne anche il 25 dicembre del 1758 e come sarà per quello del 2061. O almeno così mi ha detto Halley.

Vincenzo La Monica

Vincenzo La Monica è un operatore della Caritas di Ragusa dove si occupa di mobilità umana e dell’Osservatorio delle povertà. Ha pubblicato nel 2021 La scomparsa misteriosa e unica di Franco Battiato (La Vela editore) scritto a quattro mani con Giuseppe Piccinno. Sempre con Piccinno gestisce il blog di delicatessen letterarie ivandekerkhof.it. che ospita idee, vignette, memorie, raccontini e scorciatoie pensate e scritte a quattro mani. Nel 2022 ha pubblicato Palla a due (Abulafia editore) una dichiarazione di quasi amore per la pallacanestro e la sua città.

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