E qui non parliamo del “Ritorno alla vita (Every Thing Will Be Fine)”, il film del 2015 diretto da Wim Wenders. Ciò che intendo affrontare, in questo mio angolo di riflessioni, è uno dei “ritorni” più difficili e dolorosi: il ritorno alla vita dopo un periodo di “assenza” emotiva, la “morte dentro”.
Questo genere di ritorno si avvale di un processo lungo e travagliato che costringe a guardare l’anima, a dialogare con l’inconscio; un’analisi introspettiva profonda e non priva di sofferenza.
Si pensa a chi ha subito stalking oppure a chi ha vissuto un amore malato e manipolatorio da un narcisista overt o covert. E pure a chi è succube di un’eccessiva autorità genitoriale o a chi è schiavo dell’altrui parere.
Non tralasciamo pure chi cade nel labirinto infinito della depressione o chi si sente emarginato e vituperato da una società poco incline all’empatia e alla fratellanza. Si muore dentro, che è poi la morte più dolorosa perché se ne sente tutta la crudeltà e la spietatezza.
Avere la forza di combattere l’oblio in cui si è caduti, dirigere i passi della decadenza verso una nuova rinascita: una scalata irta, spesso pericolosa dove il coraggio fa da protagonista assoluto accompagnato alla volontà, partner solidale, arguta ed essenziale. Per quanto si abbia l’umiltà di ammettere d’aver bisogno d’aiuto, il lavoro più duro lo fa il diretto interessato\a e, quando si comincia a risalire da quel fondale di morte, ci si sente leggeri come quando si abbandona una zavorra greve. Si respira aria pulita; una rigenerazione dello spirito lenta e consapevole mostrata al mondo come acquisizione di saggezza.
“Ho imparato la lezione”, è questo il mantra che prenderà forma durante e dopo il ritorno alla vita.
Forse si tornerà a sbagliare ma lo si farà con una rinnovata responsabilità.
L’Araba fenice ben conosce la fatica di questo processo.
“Sono l’Araba fenice. Il fuoco mi colora le piume. Sono il simbolo dell’eternità dello spirito, del perpetuarsi del ciclo morte e rinascita. Da quelle ceneri mortifere io mi ricompongo nell’aria e rinasco più forte e coraggiosa.
Qualcuno mi ha chiesto se ciò mi indebolisce: no, cari curiosi, ciò mi rafforza. I ritorni rinvigoriscono sempre, in qualche modo. L’evoluzione dipende sempre dalla comprensione di noi stessi e di ciò che ci circonda.
“RITORNARE” è abbandonare la vecchia strada: è così che si cresce, si diventa grandi seppellendo il nostro vecchio essere che non ha funzionato. Un “resert” emotivo necessario per acquistare sicurezza ed amor proprio”. Auguro a tutti coloro che subiscono la vita di viverla pienamente.
Buon “ritorno” alle Arabe Fenici che sono nella fase della rinascita. Il coraggio sia con voi! Come una fenice risorgerò dalle mie ceneri, tutto ciò che mi colpisce un giorno mi fortificherà.
C’è un’araba fenice in ognuno di noi. Ogni fine porta a una rinascita.
Antonella Sturiale è nata a Catania nel 1970.
È autrice di testi teatrali e di cabaret. Con il monologo “Nevica fuoco” ha vinto il premio “Marina Metri” e con il testo “Sei mia” ha vinto il premio “Antonella Labisi”.
Nel 2013, per la casa editrice “Arco” ha pubblicato la raccolta di poesie
“Spiritus Mundi – Schegge d’infinito”.
Nel 2018, per Operaincerta editore, ha pubblicato la raccolta di testi teatrali “Si può fare!”, dedicata all’attore ragusano Marcello Perracchio e vincitore del “Premio nazionale Akademon 2019”.
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