Avessimo mandato sulla Luna un pastore errante dell’Asia, ne sarebbe infallibilmente tornato con una bisaccia colma di nuove e sempre più dolorose domande sulla condizione umana. Interrogativi su cui si sarebbero arrovellati filosofi, letterati, animi romantici. Sulla Luna, invece, abbiamo mandato un ingegnere volante dell’Ohio che ha portato giù sul Pianeta una quarantina di chili di rocce da far esaminare a geologi, planetologi e direttori di musei.
E, in quanto a domande, se le è tirate tutte addosso lui. Come nel detto sul dito, lo stolto e la luna. Un proverbio da ripensare, se il dito è quello di Neil Armstrong, raccontato da James Hansen in First man l’unica biografia autorizzata dell'uomo che fece compiere un piccolo passo (o un grande balzo?) nel futuro all'umanità.
Ma leggiamo una di quelle domande, posta da un giornalista a poche ore dal decollo di Apollo 11:
«Con l’approssimarsi dell’ora del decollo, hai passato le serate, o più serate, ad ammirare in silenzio la luna? Insomma, era diventata una sorta di dea personale per te?»
«No. Non l’ho mai fatto.»
Ecco, in questo perenne understatement sta l’enigma di Neil Armostrong, l’icona più riconoscibile del XX secolo e contemporaneamente il Messia più riluttante che si possa immaginare di un Verbo che annunciava ottimismo, conquiste, progresso. In una parola: futuro.
La biografia di Hansen aiuta a ricostruire la personalità di questo tipico uomo della classe media americana, cresciuto nel nulla dell'Ohio, divenuto ingegnere, pilota collaudatore, marito, padre e astronauta. Ne ripercorre i successi e i dolori (su tutti la perdita della figlia più piccola, 7 anni prima dell'Apollo 11. Un evento di cui Armstrong non ha mai voluto parlare) e ricostruisce tutta la catena di eventi che, insieme a una discreta dose di caso, portarono la NASA a sceglierlo come portavoce di un gesto “per tutta l’umanità.”
E la ragione essenzialmente era che a Neil non importava nulla di essere il primo uomo a camminare sulla Luna. Non aveva quell'ambizione. Il suo obiettivo, a cui aveva consacrato la vita, era sviluppare un programma aereo che fosse in grado di portare l’uomo fuori dall’orbita terrestre per compiere un viaggio fino ad allora mai tentato. Era uno scienziato preparatissimo e maniacale e uno dei più bravi piloti al mondo. Nel momento in cui il LEM toccò il suolo lunare lui aveva realizzato il suo compito. E, come ripeteva ad ogni occasione, era un’impresa che avevano compiuto in 2, lui e Buzz Aldrin che lo accompagnava nel viaggio e che, invece, smaniava per ottenere il primato che a lui non interessava. Si trattava del primo evento mediatico della storia dell'umanità, ma per Armostrong era una faccenda che riguardava la storia dell’aviazione e si concludeva con l'allunaggio. Magari con una frase del tipo: «Ottimo lavoro ragazzi» o «Signori, è stato un onore essere con voi in questa impresa».
La passeggiata per raccogliere i campioni lunari che lo immortalò sui libri di storia e sulla copertina di ogni pubblicazione dal titolo Le grandi immagini del nostro tempo era solo un’appendice simbolica per fare contenti anche i geologi.
Se il cuore della biografia è giustamente il racconto della settimana di Apollo 11, Hansen si sofferma anche sugli anni successivi, quelli del ritorno sulla Terra, quando Armostrong provò a vivere al riparo del proprio stesso mito pensando erroneamente che il progresso dei viaggi spaziali avrebbe ridimensionato il suo ruolo. Dopo aver capito che la NASA non ne avrebbe messo a rischio il mito assegnandolo a nuove missioni di volo, per anni insegnò in una piccola università. Nel tempo libero viaggiò moltissimo e in tutto il mondo per tenere conferenze e partecipò a svariati consigli di amministrazione di aziende. Col tempo finì per diventare persino ricco.
Ebbe uno scontro accanito con la propria celebrità che sinceramente non comprendeva fino in fondo. Mentre gli altri astronauti lunari pativano il ritorno da estranei sulla Terra, lui lo era già in partenza. La sua mente binaria era incapace di pensare che qualcuno a cui aveva concesso un autografo potesse rivenderlo per migliaia di dollari su internet o, peggio, falsificarlo.
La Luna gli presentò il suo lato oscuro e si trovò imbrigliato in questioni allucinanti che il suo ufficio legale puntigliosamente doveva smentire o correggere. Lo convertirono all'islam, gli fecero sostenere l'esistenza degli extraterrestri, lo subissarono di lettere di bambini in fin di vita per ottenere autografi da rivendere con cifre a tre zeri. E poi, negli anni del più misero complottismo, ne misero in dubbio l'impresa. A chi gli chiedeva di giurare sulla Bibbia di essere stato sulla Luna rispondeva, nel più puro stile Armstrong, con una serie di dati tecnici dalla scarsa presa. Molto meglio il collega Buzz Aldrin che come risposta diede al molestatore un gancio destro da KO.
Si protesse da tutto questo ritirandosi in un silenzio quasi monacale, interrotto solo dalla partecipazione a occasioni commemorative in cui annoiava il pubblico accorso solo per lui con interminabili relazioni accademiche piene di questioni tecniche sui sistemi di volo. Si dimostrò inadatto ad essere quello che gli altri volevano che fosse qui sulla Terra.
Ma in fondo Neil Armstrong era un uomo nato per volare e non per camminare. Neanche a piccoli passi.
Vincenzo La Monica è un operatore della Caritas di Ragusa dove si occupa di mobilità umana e dell’Osservatorio delle povertà. Ha pubblicato nel 2021 La scomparsa misteriosa e unica di Franco Battiato (La Vela editore) scritto a quattro mani con Giuseppe Piccinno. Sempre con Piccinno gestisce il blog di delicatessen letterarie ivandekerkhof.it. che ospita idee, vignette, memorie, raccontini e scorciatoie pensate e scritte a quattro mani. Nel 2022 ha pubblicato Palla a due (Abulafia editore) una dichiarazione di quasi amore per la pallacanestro e la sua città.
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