La mente – definita come sistema di capacità intellettive, mnemoniche, percettive, intuitive e volitive – è un equilibrio che nell'uomo non sempre è stabile, spesso è pronta a reagire.
Quando si dice “a menti è n'filu ri capiddu” si sta parlando o di un gesto sconsiderato o di un tale che impazzisce all'improvviso. Ma è proprio quando i fili si intrecciano che riconosciamo quell'umana follia, quella capacità, o meglio possibilità, prettamente umana che difficilmente associamo agli altri esseri non-umani, sia che appartengano al nostro regno animale, o a quello vegetale, o minerale, o fungino.
Un vizio tutto umano è identificare le nostre caratteristiche di specie come uniche per poi attribuirle agli altri. Esempio flagrante è l'esperimento dello specchio come prova della consapevolezza di sé. Riconoscere la propria immagine riflessa in uno specchio è una prerogativa dell'uomo, dei primati e di pochi altri animali. La conclusione che se ne trae è figlia dell'eccezionalismo umano. Attribuendo l'importanza della vista agli altri esseri e sottoponendo tutti all'esperimento dello specchio, l'uomo si distingue da tutti gli altri limitando a se stesso concetti come intelligenza, mente e cognizione. Non si era considerato il fatto che i cani, sbeffeggiati da una miriade di video su YouTube quando ringhiano alla propria immagine riflessa da uno specchio, hanno un'infallibile auto-riconoscimento olfattivo. Anche i vegetali vengono sbeffeggiati, usati come metafora per sottolineare la superiorità del mondo animale, basta pensare al modo di dire: Sei proprio un vegetale! Eppure anche le piante esercitano capacità intellettive, mnemoniche, percettive, intuitive e volitive, seppure in modi diversi dai nostri. Snoccioliamo queste capacità che intravvedono l'esistenza di una mente vegetale, aiutandoci con i casi più eclatanti.
Le piante hanno una memoria lunga? La risposta, positiva, è stata trovata in una delle nastie – movimenti temporanei – più affascinanti del mondo vegetale: la chiusura pudica delle foglie della Mimosa sensitiva. Questa graziosa pianta, originaria delle zone tropicali del continente americano, ha risvegliato da subito grande curiosità una volta approdata in Europa. Il botanico René Desfontaines fece eseguire uno strambo esperimento ad un suo studente, esperimento che ha portato ad una intuizione geniale: la Mimosa pudica, se sottoposta ad uno stress ambientale ripetuto, mette in campo un comportamento adattivo che scaturisce dalla memorizzazione di informazioni. L'esperimento ha portato un gruppo di Mimose sensitive in un tour parigino in carrozza. Dopo le prime vibrazioni della carrozza sull'acciottolato della città tutte le passeggere, impaurite, chiusero le foglie. Improvvisamente al continuare delle vibrazioni iniziarono a riaprirsi dimostrando di essersi abituate agli scossoni. Oggi il LINV (Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale) ha dimostrato scientificamente la capacità delle Mimose pudiche di ricordare un'esperienza; pare che la loro memoria sia lunga almeno quaranta giorni.
Le piante hanno intuito? Sì, hanno intuito e lo assecondano usando le percezioni: noi possiamo esserne testimoni leggendo i loro tropismi, ovvero le loro risposte all'ambiente che si manifestano con il movimento e la crescita degli organi verso una direzione precisa. Tutti noi abbiamo assistito al lento inclinarsi dell'apparato fogliare verso la fonte di luce più vicina. Un maestoso esempio di idrotropismo sono le radici della vecchia Jacaranda di palazzo Butera a Palermo. Nella corte lussureggiante del Palazzo una Jacaranda mimosifolia cresce aderente all'edificio. Le sue lunghe radici oggi sono visibili grazie ad una teca che svela sul pavimento gli antichi canali delle acque piovane, sapientemente maiolicati. Così possiamo seguire i movimenti dell'apparato radicale che dopo strade tortuose riesce a raggiungere il pozzo di Palazzo Butera.
Le piante hanno capacità volitive? Il pomodoro sembra averne. Volere e potere, così il Solanum lycopersicum reagisce quando viene attaccato da una comunità di bruchi che supera la soglia di tollerabilità. I bruchi mangiando le sue foglie proliferano ma quando superano il livello di sopportabilità il pomodoro reagisce: rilascia una sostanza neuro attiva che rende gli ospiti sgraditi cannibali. In questo modo si mangiano tra loro ristabilendo il livello ottimale di convivenza.
Tutte queste ricerche appena intraprese delineano l'esistenza di una mente vegetale, diversa dalla nostra, che riusciremo a comprendere al meglio quando ci concentreremo sullo scarto, sulla distanza e non sulla differenza. Quando guarderemo l'altro cambiando punto di vista e abbandonando le nostre eccentriche posizioni rassicuranti, per poi magari ritrovarle.
Un esercizio significativo è quello di inventare narrazioni fantascientifiche che intrecciano specie diverse nel gioco della matassa, il gioco del dare e ricevere schemi, fare e disfare, scegliere dei fili anziché altri, fili che poi passeranno ad altre mani, come il lavorio di un grande uncinetto collettivo e oltre lo specismo. Le fabule speculative fanno parte delle strategie denominate con l'acronimo FS da Donna Haraway. FS sta per fantascienza e allo stesso tempo per fatti scientifici, come se la fantascienza immaginando nuovi mondi possa alimentare i fatti scientifici.
La storia fantascientifica che chiude questo articolo parte da fatti realmente accaduti ma riletti da un'altra prospettiva. Parla della mente di un uomo che improvvisamente si spezza a causa dell'influenza spirituale di una pianta, la palma da cocco – Cocos nucifera. La mente è “n'filu ri capiddu”. La palma da cocco nel Sud-Est asiatico è considerata una divinità dalla quale dipende la sopravvivenza di intere comunità. La pianta è tra le più alte, quindi la più vicina al sole e il suo frutto è fonte di calorie, acqua potabile, fibre per costruire corde o per fare il carbone e anche strumento di galleggiamento.
Il protagonista della storia non è un asiatico ma un tedesco originario della Baviera, vissuto nei primi anni del XX secolo: August Engelhardt. Studia chimica e fisica, lavora come aiuto farmacista, e partecipa al Lebensreform, movimento che sostiene uno stile di vita più vicino alla natura basato sul vegetarianesimo e sul nudismo. Tutto sommato il ritratto di una persona rispettabile. Ma il Lebensreform non gli basta. August fonda il Sonnenorder, l'ordine del Sole, un gruppo di adulatori della stella, nudisti e cocchivori. La palma riesce nel suo intento, quello di far diffondere i suoi semi dai seguaci dell'ordine. August si convince del fatto che per diventare quasi immortali, vivere felici e sani, ci si debba nutrire solo di cocco. Così, grazie ad una ricca eredità, il nostro protagonista compra una coltivazione di cocco in un atollo corallino dell'arcipelago di Bismarck, dove si trasferisce vivendo nudo e mangiando cocco. Arriveranno anche adepti che come lui moriranno a causa della malnutrizione. Negli anni vissuti sull'isola, August regalò ai proseliti e ai turisti noci di cocco, pilotato dalla palma da cocco che grazie a questi uomini riuscì a diffondersi sulle coste di isole sulle quali prima non esisteva.
La trama è reale, la nota fantascientifica sta nell'immaginare una pianta in grado di ossessionare con consapevolezza un essere umano. L'altro volto della fabula sottolinea la follia del nostro protagonista ricordandoci che se siamo diversi e superiori alle altre specie, lo dobbiamo alla nostra follia e stupidità, ingredienti essenziali dell'eroismo.
Aldo Adamo nasce a Ragusa il 18.08.58. Nel lontano 1977 (o giù di lì) raggiunge l’agognata maturità classica e inizia la sua odissea “universitaria” che lo porta prima a Trento, dove si iscrive in Sociologia, poi a Catania, dove prosegue gli studi in Giurisprudenza … ma non raggiungerà mai la laurea anche perché, specie in quei tempi, si dedica al suo hobby preferito: la pigrizia. Dopo alcune brevi esperienze di lavoro (da impiegato bancario ad agente di commercio) trent’anni fa approda nella sua Itaca: un vivaio che pian piano diventa anche garden; qui diventa “sciuraru”, slang siciliano che sta per fiorista, insieme alla moglie, donna bella e paziente, che oltre ad affiancarlo nel lavoro gli da due splendide figlie. Affannosamente cerca di riposarsi ma per svariati motivi non ci riesce. Si occupa di bonsai, ama molto la lettura e la cucina (non come cuoco ma da utente) ed è anche socio fondatore dell’AICC.
Architetto per errore, crede di essere cieca o almeno trova nella presunta cecità la giustificazione al suo confuso stato emozionale nei confronti dell'Architettura. Nel 2020 discute la tesi di dottorato dal titolo: Architettura Dark. Il ruolo dell'Architettura tra deserto e desertificazione in Sicilia. Le parole chiave della tesi sono: deserto e retro innovazione.
Temi indagati anche nelle sue pubblicazioni:
Saggio L. Adamo, Terre (F)rigide. Frigidità e altri rischi legati alle limitazioni dello squilibrio culturale, postfaz. in M. Navarra, Terre Fragili, (a cura di Liliana Adamo) LetteraVentidue Edizioni, Siracusa, 2017.
L. Adamo, Bibliografia ragionata, in Air Fundamental. Collision between inflatable and architecture, (a cura di Vincenzo Latina e Marco Navarra), LetteraVentidue Edizioni, Siracusa, 2018.
L. Adamo, Shanghai, in Platform for Change. A Farm Cultural Park Guide, a cura di ANALOGIQUE (Claudia Cosentino, Dario Felice, Antonio Rizzo), LetteraVentidue Edizioni, Siracusa, 2019.
L. Adamo, FakeCollage, in Dossier Collage, a cura di Fabio Cappello, Rossella Ferorelli, Luigi Mandraccio, Gian Luca Porcile, Genova University Press, Genova, 2021.
Gli ultimi anni della sua formazione si incrociano con la sua infanzia trascorsa in campagna e da questa simbiosi nasce la passione per l'Agritettura. Tutto ciò che è sperimentale, radicale e speculativo alimenta la sua curiosità. Come Henri Laborit “prova un certo scetticismo nei confronti di ogni descrizione personale espressa con linguaggio cosciente” e consiglia di non prendere troppo sul serio le parole su scritte.
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