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Se a mentire è la mente

Petula Brafa 14 novembre 2023


In principio non erano i social, e che a dare da pensare sarebbe stata la mente lo si imparava da bambini, dopo avere sperimentato la vigliaccheria del sussidiario di poche figure e troppe parole, e l'irredentismo di nozioni ostinate all'asporto gratuito, beatamente accomodate sull'inchiostro stampato. E beata era l'ingenuità dell'infanzia, a illudersi che lo studio si sarebbe consumato senza impegno e controffensiva al gioco e al tempo libero, con fruste da domatore. A dirlo oggi, la beatitudine si estendeva anche al pranzo pronto, con facoltà di delega a familiari compiacenti al veto su certe verdure; e pazienza ben impiattata, all'apparizione di pesci con spine da martirio, in luogo della venerabile cotoletta. «Ti fa bene, c’è il fosforo!» - era l'ordine dall'alto, a riconoscimento del contributo nutrizionale all'efficacia mnemonica, da attuarsi in osservanza alla pedagogia dell'obbedienza e alla chimica dell'inconfutabilità. L'educazione siberiana non riconosceva diritto di parola, né di opinione, nemmeno per alzata di mano, a meno di lische conficcate in gola.
Sul sussidiario, e più comodamente nella sua orbita celeste, se ne stava anche Mercurio. Quello liquido con la minuscola invece oziava nei vecchi termometri, ignaro della successiva rilevazione nelle acque marine e delle ripercussioni sulla catena alimentare, con annesse occasioni da tavolo, ma più da istituto di Medicina Legale che da ristorante. Nell'ordine evolutivo di natura, le migrazioni ittiche seguono ormai nuove rotte, condizionate da inquinamento, sfruttamento delle risorse, carenza di cibo e surriscaldamento climatico. E la presenza di granchi blu e pesci tropicali nel mar Mediterraneo conferma le previsioni di commistione delle specie, avvicinando gli studi degli etologi alle tesi dei sociologi, e alimentando lo scetticismo contro l’illusione di preservare comunità chiuse con le leggi o con le armi, atteso che l’unica comunità dovrebbe essere quella terrestre. Non bastasse la nuova vita dei pesci, muti ma non troppo secondo il manifesto poetico di Lucio Dalla, a rafforzare il fronte avverso alla mente umana e alle sue capacità riconosciute, è arrivata l’intelligenza artificiale, figlia della tecnologia, nipote della scienza, sorellastra dell’ingegneria e femme fatale corteggiatissima da scienziati ed esperti di modernità, tra discorsi amorosi frammentari e devozione messianica.
«Cambierà il modo in cui le persone lavorano, imparano, viaggiano, ricevono assistenza sanitaria e comunicano tra loro. Interi settori si riorienteranno attorno ad essa. Le aziende si distingueranno per il modo in cui la utilizzeranno». Correva il primo giorno di primavera dell’anno Domini 2023, e così Bill Gates vaticinava dal suo blog il destino dell’umanità, rimpiazzando una volta per tutte l’umiltà degli oracoli, intenti a districarsi tra la benevolenza, l’ira degli Dei dell'Olimpo e i buoni consigli, che dovevano suonare proprio come quelli di mangiare pesce, incluso un «poi non dirmi che non te l’avevo detto», già nel VII a.C. Ora, confrontare l’entusiasmo del sesto uomo più ricco al mondo, secondo la classifica di Forbes di aprile 2023, con gli annunci in versi ed enigmi di sacerdoti dell’antichità, che gli artigiani di San Gregorio Armeno avrebbero tenuto a bada come menagrami a suon di amuleti rossi e cornutissimi, potrebbe sembrare gioco di parole e d’azzardo, se solo ad accomunare i temi in scena non fosse l’interpretazione dell’uomo, con la sua lettura del mondo come volontà e rappresentazione di sé, la sfida orgogliosa all’ignoto, la sopravvalutazione delle proprie forze e la hybris punita dagli dei.
Billy il filantropo, inoltre, senza canticchiare il ritornello di Elodie, raccontava che le cose rivoluzionarie erano state due: l’interfaccia utente grafica nel 1980, innesto embrionale di Windows, poi spina dorsale di Microsoft; e il superamento di un esame di Biologia nel 2022 da parte di un’intelligenza artificiale, che avrebbe risolto 59 domande su 60, oltre a soluzioni outstanding, eccezionali, a sei con risposta aperta, e una thoughtful, ponderata, a «Cosa dici a un padre con un figlio malato?». Quanto sia inquietante l'ultimo quesito, è facile a dirsi, tanto più se si guarda allo spettro delle emozioni umane come a un diapason, moltiplicatore di sonorità intime e profonde, ancora inattestate nelle macchine al di fuori della fantascienza. Il cinema annovera l'esperimento di Her di Spike Jonze (USA, 2013), Oscar alla migliore sceneggiatura e trofei in altri campionati, per osare la relazione sentimentale tra un uomo introverso e il sistema operativo OS 1. Il fatto che il protagonista scelga un'interfaccia femminile è un indizio anche per gli investigatori meno scaltri: lui è solo, la proiezione del desiderio amoroso è dietro l'angolo, il computer ha la voce di Scarlett Johansson, non può finire bene. Si costruiscono più case che rapporti umani, tuttavia gettare il cuore oltre l'ostacolo dei circuiti di mille valvole potrebbe essere questione ancora opinabile per la natura dell'amore, da Ovidio a Erich Fromm, mentre sulla sua sostanza l'ultima parola spetterebbe ai divorzisti. E non basta nemmeno dire che le IA commettono anche errori concreti e sperimentano informazioni fuorvianti presentate come fatti, per frenare la nuova De Lorean lanciata nel futuro, perché le loro «allucinazioni» generano mistificazioni, non diversamente dalla manipolazione delle notizie e dalla disinformazione, rinvigorita dopo il 2020.
La difesa d’ufficio insisterà per l’assoluzione dell’imputata e l’immediata liberazione dell’intelligenza artificiale, rimanendone indimostrato il dolo, peculiare attributo del genere umano, massima declinazione delle peggiori intenzioni della mente, tra censure di leggi terrene e divine, e indiscusso capostipite della storia dell’architettura degli inganni. Pare già di sentirla arringare - «Musa, quell’uom di multiforme ingegno dimmi, che molto errò» - invocando Odisseo, il diabolico disegno del cavallo di Troia, il nome celato a Polifemo, il travisamento scoperto da Penelope, nomination a migliore attrice non protagonista per l'espediente della tela. E quanta altra materia di inganno vi è poi nella parola dell'uomo, nei secoli? Se ne trova traccia persino nel gioco verbale dell'Indovinello Veronese (VIII-IX d.C.), all'origine della lingua italiana, attraverso la metafora del campo arato e del seme nero per sottintendere l'arte della scrittura («Se pareba boves/alba pratalia araba/et albo versorio teneba/ et negro semen seminaba»).  E ancora vi è inganno nei fatti della Storia, nelle malevole strategie di prevaricazione, conquista e potere; e inganno nella mente, alle prese con il filtro della memoria e le sorprendenti sceneggiature dell'inconscio, anche loro degne di nomination.
Proust, Freud e gli altri hanno costruito ponti e autostrade del pensiero, che l'umanità continua a percorrere, verificando quotidianamente il valore della memoria individuale e il sottile equilibrio tra la rimozione e il conforto dei ricordi. E se nel montaggio finale è la mente a mentire, tagliando il dolore dai fotogrammi più oscuri del passato e distribuendo maturità e pacificazione, anche con se stessi, il merito sarà della lezione del tempo, di cui l'intelligenza artificiale, al sicuro da morte e malattia, non ha bisogno. Il tempo, lei lo riduce, è addestrata alle soluzioni: le basta attivare un processo e tirarne fuori una. La natura umana, invece, della sostanza del tempo ha fatto la misura dell'esistenza, l'oggetto di scambio sociale e produttivo, il limite dell'agenda terrena, la promessa del giorno dopo, la cornice necessaria all'affresco della consapevolezza, l'appuntamento per un caffè, la durata di un abbraccio, l'elaborazione del mito di Odisseo e la riproposizione del suo nel nostro viaggio.

Petula Brafa

Leone di agosto, gattopardo caudato come l'ultimo Buendia, pubblicista. Vivo, leggo, scrivo e faccio cose a Roma.

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