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La mente del Maestro dei Mascheroni

Gaudenzia Flaccavento 14 novembre 2023


Ci vorrebbe una macchina del tempo: un veloce passaggio negli operosi centri della Contea di Modica verso la fine del XVIII secolo, per scoprire di chi fosse la mano, ma soprattutto la mente che ci ha regalato alcune delle più originali opere d’arte di questo territorio.
Infatti quanto di più creativo e originale prodotto tra Ragusa, Modica e Scicli non si trova nei musei o nelle chiese, ma tra le strade, straordinaria galleria d’arte all’aria aperta. Se camminiamo con il naso all’insù, con uno sguardo attento e curioso, riconosceremo tra i tanti “cagnoli” (mensole aggettanti che sostengono la superficie a sbalzo dei balconi) alcuni che hanno qualcosa in più.
La pietra è incisa in modo morbido e sensuale, quasi si trattasse di duttile stucco. I volumi sono mossi e dinamici, la funzione statica e la forma originale del blocco lapideo non sono più intuibili. La stessa mano felice si trova nelle volute capricciose degli altari laterali della Chiesa di Santa Maria dell’Itria di Ragusa. Diversi studi hanno ormai accertato come altari, cornici di porte e finestre siano magistrali interpretazioni e fantasiose ricomposizioni di motivi presenti in campionari rocaille destinati alla decorazione d’interni ed ampiamente diffusi in tutta Europa. Per questi elementi, che davano una scossa ad architetture spesso ordinarie, possiamo immaginare l’opera di abili intagliatori, capaci di rispondere alle richieste dei committenti o di convincerli ad osare audaci incroci ed ibridazioni. Ce li immaginiamo mentre discutono: “Le colonne le voglio come quelle della chiesa X. La cornice della finestra simile a quella del palazzo del barone Y. Il portale? Il n. 5 del libro Z”. Di questi accordi si trova qualche testimonianza nei volumi dei Notai Defunti (consultabili presso l’Archivio di Stato di Ragusa, sezione di Modica), dove si conservano i contratti stipulati tra le istituzioni ecclesiastiche ed i mastri intagliatori. Ulteriori testimonianze del loro lavoro sono reperibili nei libri contabili delle chiese. Costretti dalla responsabilità di amministrare denaro pubblico i tesorieri ecclesiastici annotavano anche le spese più minute.
Invece la documentazione sulle architetture civili è minima, forse perduta, o mai esistita. Con probabilità gli accordi si concludevano con una stretta di mano, basata sulla reciproca fiducia. Per questo il nome dell’ignoto Maestro dei Mascheroni resta ancora misterioso. Con buona probabilità era uno degli operosi membri della famiglia Cultraro (forse Pietro o Costantino). Egli non ha solo talento scultoreo: ha anche inventiva, fantasia ed ironia. Gode della fiducia incontrastata dei committenti che gli lasciano ampia libertà. Quella che troviamo nel palazzo Cosentini (attiguo alla già citata chiesa dell’Itria), in cui il nostro Ignoto Maestro si scatena in composizioni fantastiche e realistiche allo stesso tempo. Nel registro inferiore sbeffeggiano il viandante maschere che sembrano nate dalla pietra che si accartoccia come foglia, ma che hanno anche grossi nasi e orecchie. Allegorie di vizi? Rimandi a leggende e “cunti” a noi oggi ignoti? Cosa ci vuole dire la maschera dallo sguardo celato sotto una ricca benda e uno “scorpione” (così sono chiamati da queste parti i gechi) tra i denti? C’è qualche rapporto con un’altra dello stesso balcone (chiamato della Maldicenza) che inforca gli occhiali? Chi ci vede meglio? Forse il bendato, che riesce ad acciuffare la preda.
Ma è nel registro superiore che la curiosità viene ancora più stuzzicata. Ci sono volti caratterizzati fin nei più minuti dettagli. Le figure centrali di ogni balcone sono forse membri della famiglia? Quante sono le caricature di persone realmente esistite? Sono rappresentati i mestieri praticati nella vivace piazza sottostante, quella degli Archi? I gruppi di musici rimandano a feste che il padrone di casa organizzava? Nessuno ci potrà dire chi è l’astrologo (u strolicu, in dialetto ragusano) uomo di carte e di sapienza, i cui lunghi studi hanno costretto ad inforcare gli occhiali. Oppure se la bella donna dai seni scoperti posta nella parte più lontana della chiesa del Purgatorio fosse solo emblema di prosperità, oppure ritratto di una meretrice, che non lontano praticava. Quale strana moda faceva indossare agli uomini collane a grossi grani, simili a pomi, e grandi orecchini? Quanto frequente nella realtà era l’uso del turbante, che così spesso adorna i capi dei nostri antenati di pietra? Guardando queste chimeriche figure anche i contemporanei avranno riso, criticato, fatto congetture o si saranno offesi per qualche riferimento troppo scoperto e non molto lusinghiero.
Ma dove la mente dell’Ignoto Maestro mostra tutta la sua capacità di concentrare in un volto un sentimento, un’emozione, un carattere è nelle chiavi di volta del Palazzo Bertini: tre ritratti maschili, definiti dalla vulgata quello del Povero, del Nobile e del Ricco. Essi rappresentano, al di là di ogni possibile riferimento a ignoti personaggi reali, la beffarda insolenza di chi non ha nulla da perdere, la cieca alterigia di chi si sente superiore e l’arroganza sbruffona di chi pensa di potere comprare ogni cosa.
La stessa libertà espressiva si trova nelle opere scultoree di Palazzo Beneventano a Scicli. L’intero edificio è trattato come un monumento in scala urbana: il centro della composizione è il capriccioso cantonale, dalle gigantesche borchie martellate; in basso la rassicurante immagine di un santo, in alto l’imponente blasone della famiglia, sorretto da due teste, i cui tratti africani sono stati enfatizzati secondo i più ovvi stereotipi. Traccia del commercio di schiavi, ancora praticato tra le due sponde del Canale di Sicilia?
Il committente di un edificio così appariscente e monumentale si è affidato alla creatività del   Maestro, lasciandogli piena libertà. Nella tipologia della chiave di volta figurata sfodera nuove immagini, non caricaturali come quelle di palazzo Bertini, ma fantasie grottesche, oscillanti tra il comico ed il demoniaco, che non sono licenze popolaresche, ma colte citazioni.
A completare l’insieme sono i cagnoli dello stesso palazzo, vertice espressionista della scultura tardo barocca. Come un pugno allo stomaco la pietra diventa urlo, materia percorsa da energia dinamica. Liberate da cartocci e foglie d’acanto le maschere deformi della parte sommitale si fondono con plastici volumi che sfuggono come una deflagrazione dal centro del balcone. Se della razionalità settecentesca in terra iblea troviamo solo pochi segni (negli ordinati piani urbani dei centri ricostruiti dopo il terremoto del 1693), con queste sculture saltiamo direttamente ad illustri anticipatori dell’impeto romantico, a Francisco Goya con la sua onirica e visionaria pittura nera o all’esplosiva foga di Beethoven. Entrambi convergono a risultati simili sul finire del Settecento, quando la smania di progresso si andava trasformando in violenza. Se è impossibile e fantasioso ipotizzare un’influenza diretta, ancora più interessanti appaiono i risultati a cui giunge il nostro artista.
Non conosciamo il suo nome, forse non sarà mai scoperto, ma anche solo ipotizzare la presenza di un Ignoto Maestro dei Mascheroni potrebbe restituire dignità ad una mente artistica assolutamente originale e fuori dagli schemi tradizionali.
Per motivi di impaginazione non è possibile fornire il corredo completo di immagini. Tutti i dettagli citati sono facilmente reperibili in rete, nella bibliografia e sitografia allegata:
Paolo Nifosì, Giuseppe Leone, Mastri e maestri nell’architettura iblea, Silvana, 1985.
Sabina Montana, Maschere di pietra e di teatro, in «Kronos» (Rivista del Liceo Classico “Umberto I” di Ragusa) n. 26 anno 2008.
Marcella Burderi, I mascheroni negli Iblei. Intervista con lo storico dell’Arte, http://www.dailyslow.it/mascheroni-iblei-nicosi/ 2014
Paolo Nifosì, I mascheroni tardobarocchi siciliani. I cagnuoli, https://www.ragusanews.com/2014/08/14/cultura/i-mascheroni-tardobarocchi-siciliani/45943
Francesca Laganà, Ragusa: alla scoperta dei mascheroni tardo barocchi, Catalogo e documentazione multimediale, 2017. https://issuu.com/francesca3704/docs/catalogo_completo

Gaudenzia Flaccavento

Dopo aver lavorato nell’ambito della gestione dei beni culturali, da circa vent’anni insegna Italiano e Storia negli istituti superiori.
Ha anche insegnato Storia dell’Arte presso la Struttura Didattica Speciale di Lingue nella sede di Ragusa dell’Ateneo di Catania. Ora si dedica nel tempo libero all’Associazione Insieme in Città, che si occupa di Urbanistica Partecipata e cittadinanza attiva. Anima, con altre amiche, il gruppo di lettura L’ora dei Libri.
Dopo aver scritto saggi di Storia dell’Arte, storia dell’Architettura e di Urbanistica, da poco sta sperimentando la scrittura narrativa. Alcuni suoi racconti sono già stati pubblicati in raccolte edite localmente..

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