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Carlos Henrique Raposo, in arte “Kaiser”

Meno Occhipinti 14 novembre 2023


È possibile diventare calciatore professionista, restare sotto contratto per ventisei anni con società più o meno importanti, non aver mai realmente giocato un minuto e, addirittura, non sapere nemmeno giocare a calcio? A dirla così sembrerebbe una cosa impossibile e invece è accaduto. C’è riuscito un “calciatore” brasiliano, Carlos Henrique Raposo, conosciuto anche come Kaiser, chiamato così perché somigliava a Beckenbauer o, secondo alcuni, perché era solito bere la birra Kaiser.
Ma partiamo dall’inizio. Raposo, classe 1963, ha un’infanzia infelice: vive in una discarica, perde la mamma da piccolo, viene cresciuto da due zie, vive in povertà e sogna di fare il calciatore per diventare ricco. In effetti, ci prova a giocare a calcio. Fa parte delle giovanili del Botafogo prima e del Flamengo dopo, ma non ha talento e infatti non viene mai schierato. Ciononostante uno scout del Puebla, una squadra messicana, lo nota e gli fa firmare un contratto. Ma anche in Messico non gioca nemmeno un minuto. Però Carlos inizia ad assaggiare la bella vita che fanno i calciatori e decide che quella dev’essere la sua.
È un bel ragazzo, alto, atletico, e, sarà questo a fare la sua fortuna, è quasi gemello di un giocatore che negli anni ottanta è all’apice della carriera, Renato Gaucho Portaluppi, un attaccante che ha giocato con le più importanti squadre brasiliane e che, per una stagione, è stato anche alla Roma.
Lo sappiamo tutti, i brasiliani amano il calcio, e lì i calciatori sono delle vere e proprie star. E Carlos approfitta proprio di questa somiglianza con il Gaucho per introdursi nel mondo dorato del pallone. E un po’ alla volta inizia a costruirsi una rete di amicizie che poi gli torneranno utili per restare in quel mondo.
Ma per arrivare ai piani alti del calcio brasiliano non bastava aver giocato con una squadra messicana. Così Carlos si inventa un contratto con i corsi dell’Ajaccio. All’epoca non esisteva internet, non c’erano i social, era quindi difficile andare a verificare cosa fosse realmente accaduto dall’altra parte dell’oceano. Inoltre, non potendo contare sulle sue doti tecniche, ha lavorato sul suo personaggio, un personaggio che poco a poco ha costruito: vestiti alla moda, frequentazione dei locali più “in” di Rio, sempre accanto a belle donne, dicendo a tutti di essere un calciatore. E per avvalorare la “sua verità” mette in circolazione delle foto nelle quali, con indosso la maglia del club francese, si atteggia a giocatore che sta disputando una partita.
Il primo grosso club a cascarci è il Botafogo, dove resta per due stagioni. In seguito viene ingaggiato da altre importanti squadre brasiliane (e qualcuna anche all’estero), a volte anche solo con contratti di pochi mesi (“Mi bastava intascare l’anticipo, se poi gli stipendi non arrivavano, poco male”). Senza però mai giocare un solo minuto, inventandosi infortuni, risse con avversari o con i tifosi per farsi squalificare, facendo insomma qualunque cosa pur di non scendere in campo. E la cosa è andata avanti per più di due decenni.
Ma a questo punto la domanda, come diceva Lubrano, sorge spontanea: com’è possibile riuscire a restare sotto contratto con tante squadre, e per tutto quel tempo, senza mai giocare? Grazie al suo fisico atletico, finché gli allenamenti si limitavano alla corsa e agli esercizi nessuno poteva immaginare di avere accanto un finto calciatore. I problemi sarebbero arrivati quando sul rettangolo di gioco arrivavano i palloni, ma lui aveva trovato la soluzione al problema: stare sempre dall’altra parte del campo, lontano dal pallone. Palla a destra e lui a sinistra (e viceversa). Inoltre è sempre stato molto bravo a ingraziarsi i favori di tutti, dentro e fuori dal campo, conosceva moltissime donne e le “passava” ai compagni e ai dirigenti. E poi, chi ha il coraggio di ammettere di essersi fatto fregare, di aver ingaggiato un giocatore che non sa giocare? Così, nel silenzio di tutti, Carlos è riuscito a strappare contratti da professionista per ventisei anni. Ma accanto alla sua vita pubblica, che è certamente a colori, ce n’è una privata, in bianco e nero: due matrimoni, entrambi falliti, un figlio che muore presto, la perdita della vista da un occhio. E quando, a quarant’anni, abbandona il calcio, scompare dalla vita pubblica e cade in depressione. Ad aiutarlo, anche economicamente, è il suo “fratello gemello” Renato Portaluppi. “Le squadre in cui sono stato hanno festeggiato due volte, quando sono arrivato e quando me ne sono andato”, ha dichiarato quando, nel 2010, ha iniziato a raccontare la sua storia.
Oggi Carlos lavora come personal trainer di bodybuilding in una palestra di Rio. Naturalmente allena solo donne. Per aver truffato tanti club non ha invece rimpianti: “Le squadre illudono un sacco di giocatori, qualcuno doveva pur vendicarli, no?”
Alla fine, che morale possiamo trarre da questa storia? La prima è che non è tutto oro ciò che luccica. La seconda è che chi ha scambiato fischi per fiaschi il più delle volte non lo ammetterà mai. E infine, che più grande è la truffa più facile sarà farla franca.
Ma il consiglio che mi sento di dare a tutti è di non provarci. Non tutti siamo Kaiser.

Meno Occhipinti

Meno Occhipinti, giornalista e scrittore, è nato a Ragusa nel 1961. È tra i fondatori di questo mensile e ha collaborato con il quindicinale La Città e con il portale di informazione Italianotizie.it
Ha pubblicato i romanzi Le parole sono chiuse (1996) e Fragili legami (1998). È stato l’addetto stampa del Padua Rugby e ne ha raccontato la nascita nel libro Ragusa Rugby, genesi di una passione (2018). Nel 2021, insieme a ‘U Gaddru, ha pubblicato Ragusa grande di nuovo, una raccolta di articoli satirici, e nel 2023 ha pubblicato Interviste, i musicanti, i teatranti, gli altri.

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