Ci vorrebbe il porto d’armi per indossare un sorriso, infatti è un arma che mette a tacere tutto e tutti. In primo luogo mette a tacere proprio le parole. Esiste un motto sufi che recita: “le parole restano sulla riva”. Perché non bastano le parole, per quanto si sappia usarle. Spesso le parole “non dicono” perché non ci riescono e allora rimangono ancorate mentre il sorriso salpa insieme al sentimento. Quanti sorrisi ci sono? Non lo so, tanti quante le sfumature di ogni singolo sentimento, fate il conto se ci riuscite. Ci sono sorrisi per ogni occasione, per rispondere, di circostanza, per alludere, per scacciare qualcuno o qualcosa, per distrarsi semplicemente, per disarmare: una gamma infinita. Spesso non viene compresa l’importanza del sorriso, gli si preferisce accademicamente, eruditamente, il serio, la tragedia. “Il riso abbonda nella bocca degli stolti”. Io direi che è stolto colui che riporta questa affermazione.
Quando è nato il sorriso? Probabilmente con l’uomo, ed esiste da sempre. Perché esistono in ogni luogo, in ogni cultura, in ogni tempo, in ogni espressione artistica i “buffoni”? C’è una profonda relazione con l’antropologia: “sembra possibile che follia e buffoni, come religione e magia vengano incontro ai bisogni profondamente radicati nella società umana. I tratti comuni fanno ritenere che questi bisogni possano essere: la violazione dei tabù, l’irrisione dell’autorità e dei simboli religiosi e laici, il rovesciamento della lingua e del comportamento, e una presente oscenità “ (Peter L.
Berger “homo ridens”)
La maschera del Carnevale permette il passaggio, seppur momentaneo, dal basso all’alto (in senso sociale). Nelle opere letterarie, teatrali, cinematografiche e artistische questo passaggio è costituzionale ed è li che il sorriso diventa arma letale, perché uccide le convenzioni, il normale e santifica l’eccezione, l’anomalia e, per dirla con un termine tecnico, l’incongruo, linfa della comicità. Così ha soffocato il Medio Evo, ha deriso il fascimo in maniera anarchica e in maniera irriverente. I folli operano una sorta di magia facendo emergere un mondo ”altro” rispetto al mondo ordinario e lo fanno vedere in modo critico, ridimensionato e meno acquiescente. Con una battuta potremmo dire che i folli hanno sempre rappresentato l’opposizione (quella che adesso latita). Certo, il comico fa paura e non solo all’autorità, ma anche e soprattutto alle coscienze. Questo svelare che esiste un’altra realtà più vera rispetto a quella ordinaria, rimanda ad un ambito che è stato sempre di dominio della religione. Nella religione c’è la promessa, la liberazione dalla misera condizione umana, il tutto diventa trascendenza ma anche nel comico c’è una sorta di ascesi, nel senso letterale: stare fuori dalla realtà ordinaria con prospettive che oltre alla risata danno anche altri pensieri di ben altro peso e consistenza. Insomma, sia l’umorismo, sia la fede si occupano dell’incongruo nella nostra vita. Pensate all’uomo di Pascal, sospeso tra il nulla e l’infinito. Pensate come il riso ridimensiona tutto: anche le superpotenze diventano piccole di fronte al sorriso, anche le ambizioni più estreme e lungimiranti sembrano poca cosa di fronte all’infinito sviscerato dal sorriso.
È come la salute il sorriso, finche c’è non ce ne accorgiamo, quando non c’è ci manca. Il sorriso è così potente che ce lo ricorderemo sempre, anche quando va via la persona che ce lo ha lasciato e, spesso, diventa la sua firma. Il sorriso è l’anima che parla, insieme agli occhi. Il sorriso è una cosa seria.
Guglielmo Tasca è nato a Scicli (RG) nel 1962. Si è laureato al Dams e negli anni ha approfondito lo studio delle musiche e delle tradizioni popolari siciliane.
Nel 1996 ha vinto, insieme a Rinaldo Donati, il premio Recanati per la canzone d’autore con il brano Beddu nostru Signuri. Ha inciso numerosi dischi e si è esibito su palcoscenici.
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