Il 2024 è un anno olimpico, nel senso che questa estate, dal 26 luglio all’11 agosto, a Parigi, si disputeranno i trentatreesimi Giochi Olimpici dell’era moderna. “Era moderna” perché le Olimpiadi nacquero nell’antica Grecia, come celebrazioni atletiche e religiose, e si sono svolte, con cadenza quadriennale, dal 776 a.C. al 393 d.C ad Olimpia (nomen homen). Durante quegli anni, quei secoli, si sono svolte 292 edizioni dei Giochi e la loro fine fu decretata dall’imperatore romano Teodosio che li definì pagani e, di conseguenza, li vietò.
Le Olimpiadi rinacquero nel 1896 grazie al francese Pierre De Coubertin e la prima edizione dei Giochi moderni si svolse ad Atene.
Rispetto alla prima edizione ateniese, alcune discipline sono state escluse, altre sono invece state ammesse. Solo cinque sono sempre state presenti: atletica leggera, ciclismo, scherma, ginnastica e nuoto.
Il rugby union (per intenderci, il nostro rugby a XV) è stato sport olimpico solo per quattro edizioni, 1900, 1908, 1920 e 1924, per poi essere escluso, probabilmente a causa della pessima immagine che aveva dato di sé dopo la grande zuffa che ci fu tra i tifosi francesi e quelli statunitensi, spettatori della finale tra le due nazionali. Negli anni successivi c’erano state diverse richieste di riammissione, ma il Cio, il Comitato Olimpico Internazionale, li aveva respinte tutte. E solo nel 2016, ai giochi di Rio de Janeiro, il rugby, ma nella formula a Sette (Seven) era entrata a far parte degli sport olimpici.
Sia per l’edizione brasiliana che per quella successiva, a Tokyo, le nazionali italiane, la maschile e la femminile, non sono riuscite a qualificarsi. Il perché di tale incapacità lo abbiamo chiesto a Paolo Ricci Bitti, giornalista de “Il Messaggero” e grande esperto dello sport con la palla ovale.
Paolo, come si spiega la mancata qualificazione delle nostre nazionali Seven, anche considerando che nel ranking mondiale del rugby a XV le nostre due nazionali, maschile e femminile, hanno una posizione di tutto rispetto?
La verità sul rugby a 7 e l'Italia è divisa in due parti, entrambe amare. La prima per l'ineluttabilità, la seconda per la grave miopia di chi regge le sorti del movimento italiano.
Ci vuoi spiegare meglio?
Parliamo della prima verità. Il rugby è tornato in forma ristretta alle Olimpiadi nel 2016 e quindi nel 2021, ma gli azzurri e le azzurre non avrebbero potuto raggiungere la qualificazione nemmeno se si fosse stati tanto lungimiranti da “lavorare” sul Seven fino dai primi passi del nuovo Millennio, magari recuperando quella tradizione che negli anni Settanta e Ottanta era stata cementata da tanti tornei fioriti, soprattutto nel periodo estivo ed autunnale, nella penisola. Il più importante, con partecipazioni internazionali di alto lignaggio, era quello di Rovigo, all'epoca la Melrose italiana. Ma le iniziative erano dei club, mentre la Fir già all'epoca non ritenne utile investire nel “7” tanto che alla prima Coppa del Mondo nel 1993 venimmo spazzati via dalla Scozia padrona di casa e da Tonga vincendo solo (e di un punto, 15-14) con la piccolissima Taiwan. Epperò non bisogna pensare che se da allora si fosse creduto nel Seven sarebbe stato possibile partecipare alle Olimpiadi. No, finché la formula sarà assurdamente ristretta a 12 squadre, gli azzurri non riusciranno mai a qualificarsi: in Europa un posto è inevitabile che vada alla Gran Bretagna che unisce i migliori inglesi, scozzesi e gallesi, uno alla Francia e il terzo e ultimo se lo piglia l'Irlanda, che pure inizialmente non aveva creduto troppo a questo rugby. Gli altri 9 posti sono spartiti con criteri geografici che fanno sì che arrivino ai Giochi anche squadre assai più fiacche dell'Italia, ma tant'è: a Tokyo per i maschi sono andati Giappone, Fiji, Stati Uniti, Nuova Zelanda, Sudafrica, Kenya, Corea del Sud, Canada, Gran Bretagna, Argentina, Australia e Irlanda. Ovvero almeno quattro squadre a ipotetica portata dell'Italia (Corea del Sud, Giappone, Canada e Stati Uniti), mentre per le donne ecco Giappone, Nuova Zelanda, Stati Uniti, Canada, Australia, Kenya, Cina, Gran Bretagna, Brasile, Fiji,Francia e Russia. Ovvero 6 nazionali concretamente battibili dalle azzurre: Giappone, Stati Uniti, Kenya, Cina, Brasile e Russia. Perché il Cio non porti a 16 il torneo olimpico (3 giorni bastano e avanzano) è un grande mistero doloroso non solo per l'Italia.
E la seconda verità?
La seconda è che l'impossibilità di qualificarsi ai Giochi Olimpici, compresi quelli del 2024 a Parigi, è diventata una giustificazione, mai ammessa, per non dedicare abbastanza risorse e abbastanza attenzione al Seven con il risultato che anche se nel 2028 il torneo venisse allargato a 16 nazionali sarebbe comunque difficile qualificarsi per gli azzurri e per le azzurre, costretti ad affrontare la concorrenza anche di paesi europei come Spagna e Portogallo che invece da anni hanno puntato sul “7” sia per cullare il sogno olimpico sia perché hanno capito, e non ci voleva molto, che questo gioco è propedeutico al rugby XV e che risulta anche utilissimo per la diffusione di mete e placcaggi anche in zone, ahinoi preponderanti in Italia, dove si stenta a mettere insieme abbastanza giocatori e giocatrici per una squadra a 15. Periodicamente si sente parlare di progetti, di accademie, di investimenti nel Seven, ma la realtà è che non ci si è mai creduto veramente, denotando grave miopia. E agli azzurri e alle azzurre sarà necessario, chissà fino a quando, il binocolo per vedere giocare i migliori.
La foto è presa dal Federugby.it
Meno Occhipinti, giornalista e scrittore, è nato a Ragusa nel 1961. È tra i fondatori di questo mensile e ha collaborato con il quindicinale La Città e con il portale di informazione Italianotizie.it
Ha pubblicato i romanzi Le parole sono chiuse (1996) e Fragili legami (1998). È stato l’addetto stampa del Padua Rugby e ne ha raccontato la nascita nel libro Ragusa Rugby, genesi di una passione (2018). Nel 2021, insieme a ‘U Gaddru, ha pubblicato Ragusa grande di nuovo, una raccolta di articoli satirici, e nel 2023 ha pubblicato Interviste, i musicanti, i teatranti, gli altri.
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