Eleonora Duse, nata a Vigevano (PV) il 3 ottobre 1858, muore a Pittsburgh (USA) il 21 aprile nel 1924, è di certo una delle più grandi attrici vissute tra il XIX e XX secolo. Figlia di commedianti in continua perigrinazione, calcò la scena alla tenera età di soli quattro anni a Chioggia; cresciuta a “pane, stenti e copioni” e continuando la sua carriera di attrice, ha interpretato fino al 1909 il ruolo delle protagoniste delle più famose opere di Shakespeare, Dumas, Zola, Ibsen, lavorando anche nel 1884 in Cavalleria Rusticana del nostrano Verga, in cui interpretò il ruolo di Santuzza. Dal matrimonio con l’attore Tebaldo Cecchi, nacque una figlia, Enrichetta, ma nel frattempo ebbe una forte intesa con il letterato Arrigo Boito. Successivamente conoscerà D’Annunzio con cui condividerà dieci anni della sua vita, in un amore lungo e tormentato, durante il quale per ben otto anni fu musa ispiratrice, l’ingrato scrittore le dedica due opere: La Città morta e Il Fuoco. Sarà proprio quest’ultimo romanzo ad alimentare il pettegolezzo che tanto animava la borghesia di quel tempo, proprio perché la protagonista dell’opera, Foscarina, è un’attrice ed è il personaggio modellato sulla Duse. L’opera ricca di rinvii mondani e della vita della coppia più chiacchierata di quel tempo, permetterà al D’Annunzio di trasmettere alle folle la sua idea di teatro, fortemente suggestionata dalla sua stessa musa. La recitazione di Eleonora si è distinta per l’assoluta negazione dei barocchismi e delle stranezze vocali tipiche delle attrici del suo tempo, la naturalezza del suo volto e delle sue espressioni la rendevano pura e priva di sovrastrutture caricaturali. Recita in tutta Europa ma solo in lingua italiana, molti gli spettatori e letterati stranieri che restavano esterrefatti dalla capacità comunicativa dell’attrice, pur non comprendendone la lingua. La Duse era di certo un’attrice moderna, controcorrente, tanto che venne soprannominata la “Divina”, la sua sensibilità diversa da quella dei suoi contemporanei la spingevano verso il Novecento. Impersona proprio sul palco il concetto del grande attore -mattatore, secondo il quale l’attore riesce ad esprimere la propria grandezza facendo del testo ciò che vuole, tutto in lei è grande, il gesto, l’impostazione della voce, il suo ergersi sugli altri attori e il suo dominare il pubblico. Anton Cechov nella sua tenuta di campagna a Melichovo nel 1895 scrisse il dramma dal titolo “Il gabbiano” e ricorre alla Duse per la sua incontrastabile fama; infatti nel dialogo tra Konstantin e Sorin, il giovane drammaturgo nel tentativo di spiegare allo zio quanto piena di sé fosse la madre Arkadina, attrice famosa ma ormai al tramonto anche della propria bellezza, cita proprio la Divina:
KONSTANTIN: Le fa rabbia che su questa piccola scena avrà successo la Zareènaja e non lei. Una rarità psicologica, mia madre. È indubbiamente ricca di talento, intelligente, capace di singhiozzare su un volumetto, di impararti a memoria tutto Nekrasov, di curare i malati come un angelo; ma provati a lodare in sua presenza la Duse! Oh-oh! Lei sola è da elogiare, solo di lei si deve scrivere, per lei bisogna urlare, andare in delirio per l'eccezionale interpretazione della Dame aux camélias o della Voluttà della vita. Ma poiché qui, in campagna, questo narcotico non esiste, lei si annoia, si infuria, noi tutti siamo suoi nemici, tutti colpevoli. Inoltre è superstiziosa, ha paura delle tre candele, del numero tredici. È avara. Odessa ha settantamila rubli in banca, lo so per certo. Prova a chiederle un prestito, si mette a piangere.
SORIN: Ti sei immaginato che la tua commedia non piacerà a tua madre e sei già tutto agitato. Calmati, tua madre ti adora.
Un’attrice libera, chiusa e riservata, diventa punto di riferimento per chi vive in teatro e crede nel teatro moderno, il suo modo di fare teatro ha ispirato persino K. Stanislavskij nel fondare il Teatro d’arte di Mosca nel 1898.
Dopo qualche grande delusione nel 1909 Eleonora si ritira dalle scene, ma si reinventa, è sempre amatissima, osannata dalla critica, riesce a riunire intorno a sé molte artiste e si lascia affascinare dall’arte nuova: il cinema. La recitazione della Duse era caratterizzata da una grande capacità di “entrare” nei personaggi forte del proprio istinto; era calibrata e sicura, piena di toni e sottotoni, sorretta da una voce mirabile di cui non ci resta traccia sonora. Ineguagliabile la gestione del suo corpo che possiamo ammirare nel film muto Cenere del 1916, tratto dal romanzo di Grazia Deledda, che volle realizzare solo a condizione di scegliere il soggetto nonché gli artisti che l’avrebbero attorniata.
Nel 1921 cedendo alle insistenze di impresari e critici, incapace di rassegnarsi alla vecchiaia, la Duse torna alle scene con una compagnia di cui è a capo e che la porta in tournée oltre i confini, fu la prima donna italiana a conquistare una copertina del Time il 30 giugno del 1923.
Eleonora Duse, rivelatasi all’età di vent’anni al Teatro Carignano di Torino, divenne un’artista di fama internazionale, calcò i palchi della Norvegia, della Danimarca, della Svizzera, della Francia, del Belgio, della Svezia, per poi giungere fino all’America del Sud e del Nord. Vissuta a cavallo di due secoli, protagonista della prima guerra mondiale, si prodigò in quel frangente nelle opere assistenziali, usando anche il teatro portato al fronte come strumento di conforto, cercando di usare la parola come mezzo consolatrice. Eleonora Duse nata nel 1858 e morta nel 1924, in quell’epoca in cui non vi erano i mass-media e i social con quali mezzi e strumenti riuscì a diventare la Divina conosciuta in tutto il mondo? Nell’epoca in cui l’unico mezzo di comunicazione di massa era la “parola stampata” come ha potuto una donna e la sua arte divenire cosmopolita? Nessun reel, nessuna diretta, nessun blog, nessuna tv o documentario, solo viaggi lunghi ed interminabili, corrispondenza epistolare, telegrammi e la propria fama, proprio quella che la precedeva in tutti i palchi che è stata capace di calcare fino alla fine dei suoi giorni negli USA.
Il Corriere del Teatro del 31 Agosto 1912, di lei scriveva questo: “E’ sempre da dubitare che le notizie riguardanti Eleonora Duse sian fantastiche o inesatte. La grande attrice non divulga facilmente le sue intenzioni e i suoi progetti d’arte; ma appunto per questo, i novellieri hanno bisogno di mostrarsi ben informati, intessono intorno alla persona di lei una quantità di voci e di fatti che non hanno nessuna rispondenza con la realtà. ……………… Eleonora Duse non reciterebbe più. Non per disdegno, né per stanchezza, né per diffidenza verso i pubblici di ogni nazione; ma perché ella sente che il culmine massimo, trionfale della sua vita e della sua espressione artistica è stato raggiunto, e che ripresentarsi sulle scene sarebbe una vanità o un’avidità che sempre sono state lontane dal suo temperamento di gran signora e di grande artista. Diciamo subito che questa risoluzione, se vera, è di una magnificenza inaudita. Non è un sacrificio, ma un insegnamento; non un atto di cordoglio ma un’affermazione di nobiltà. Per solito, le creature di teatro, al momento opportuno, non sanno abbandonare la scena, cioè il luogo in cui nacquero, e vissero, pur tra stenti e letizie. L’amore per essa e l’ambizione accecano assai spesso le loro pupille e il loro spirito. Non hanno più la percezione della loro decadenza e della loro inefficacia. Ogni officio umano ha la sua parabola, ma l’artista di teatro vuole sottrarsi a questa fatalità, e si esibisce all’infinito, fino a quando l’inerzia delle membra non sopraggiunga assoluta e crudele. Anche questa resistenza estrema ha la sua parte di bellezza; ma l’artista non appartiene a sé stesso; egli è di tutti, degli altri, della massa anonima che ha un solo desiderio: godere, rallegrarsi con spettacoli di giovinezza e di forza. In generale, quanto più un artista è stato possente e vittorioso, tanto meno comprende la necessità della rinunzia e del silenzio. Egli incomincia ad avere una fiducia enorme nel pubblico verso il termine della sua carriera e mentre dubitò à suoi tempi migliori, adesso è sicurissimo del suffragio delle folle. E nel giudizio delle folle c’è, rispetto all’attore declinante, un’ammirazione strana in cui entra un elemento detestabile per un artista: la pietà. Una pietà dolce, un compatimento generoso espresso per via di battimani e di grida, ma compatimento sempre e pietà. La forza del vero artista è nell’orgoglio. La folla deve essere, per lui, qualche cosa di opaco e d’informe ch’egli deve illuminare; è un nemico che deve domare col sorriso, col singhiozzo, con l’urlo, col canto, ma sempre con la sua sola potenza, con le sue sole energie. …………….. L’aspetto fisico è un elemento indispensabile alla grandezza di un artista; non diremo la beltà statuaria che talvolta può sottrarre forza alla sincerità dell’abbandono, ma la sanità e la freschezza. L’arte del trucco e la vibrazione dell’anima e l’intelligenza possono fare di un giovane il più nobile dei vegliardi; un travestimento contrario, una voce sibilante, un piccolo immedicabile incidente fisico, posson destare repugnanza. Questo pericolo e questa decadenza non investono di certo Eleonora Duse. La più espressiva delle attrici nostre, colei che è veramente illustre e che segna una traccia incancellabile nella storia del teatro è ancora nella pienezza della sua genialità e del suo vigore. Le sue recitazioni sarebbero ancora una festa dello spirito e degli occhi: noi assisteremmo ancora a spettacoli profondi, ricchi di rivelazioni inattese, nelle quali l’anima umana e l’anima del drammaturgo, troverebbero la loro più alta e inarrivabile espressione. Ma Eleonora Duse ha il timor sacro di non apparire più come una volta, di defraudare di una sola linea di bellezza, di un sol battito di commozione le immense adunazioni dei suoi ascoltatori. Nei suoi anni più fervidi, nelle occasioni più solenni non s’è forse rifiutata spesso di recitare sol perché sembravale che in quelle sere la sua salute fosse malferma, e i suoi nervi agitati soverchiassero di troppo il suo ardore? Tutto ciò che poteva apparire come un capriccio, una stravaganza di attrice, e non era invece che una stupenda probità d’arte. Creatura di passione, di acutissima sensibilità, di sincerità e di orgoglio, Eleonora Duse dovea concedersi intera, dare tutta la sua potenza all’opera d’arte e all’emozione della folla. Sotto apparenze di abbandono, di languore e tal volte di stanchezza, la grande tragica racchiude una somma incredibile di energia, è satura di quel chiuso fuoco che sa divampare con fiamme dominatrici e tenaci. ……………….. E. Moschino” .
Liliana Sinagra, classe '78, libera professionista nel campo dei servizi tecnici nella vita lavorativa, fin da ragazzina scopre la sua passione per il teatro in una compagnia amatoriale e nel tempo frequenta una scuola triennale di teatro contemporaneo presso il Teatro Zeta di Termini Imerese (Pa). Con all'Associazione Culturale Kairòs di Sciara (Pa) cura la regia di commedie dialettali portate in scena dagli adolescenti del proprio paese. Curatrice degli eventi del Festival del Torto Nella Valle dei Racconti fin dal 2019, nel 2021 viene nominata vice presidente dell'Associazione Culturale Nella Valle dei Racconti che si occupa dell'organizzazione dell'omonimo festival e della promozione culturale del territorio della valle del fiume Torto. Sensibile alle tematiche sociali, ha ideato vari progetti artistici, tra cui un video contro il femminicidio realizzato con gli attori del Teatro Zeta e la fotografa Olga Flaccomio. Coordinatrice delle ultime due edizioni del Dedalo Festival di Caltabellotta (AG) accanto al direttore artistico Ezio Noto.
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