“Piantiamola” evoca un grido fermo, una voce veemente e accorata con cui pronunciare B A S T A!
BASTA a ciò che è insostenibile, perché palesemente iniquo per l’uomo.
Vivo a Pozzallo, la città più a sud di Tunisi, e qui negli anni, a due chilometri da casa, migliaia di migranti sono sbarcati al porto, tra la commozione di pochi, che hanno memoria della Storia e la logorrea di tanti che vorrebbero restassero a casa loro. A settembre scorso nella zona industriale ha aperto il primo CPR, centro per i rimpatri veloci dove i migranti sono trattenuti contro la loro volontà annientati da fitte reti di protezione. Perché il mondo non può essere di tutti?
Ne parlo con Peppe Cannella, psichiatra e psicoterapeuta, supervisore Save the Children, Passwork, Fo.Co, docente dell’Istituto di Psicoterapia della Gestalt HCC Italy, nonché psichiatra e psicoterapeuta presso MEDU – Medici per i Diritti Umani, organizzazione umanitaria indipendente e senza fini di lucro che ha l’obiettivo di curare e testimoniare, portare aiuto sanitario ai più vulnerabili, e - a partire dalla pratica medica - denunciare le violazioni dei diritti umani.
Peppe Cannella è un professionista dalla grande sensibilità. In lui occhi, mente e cuore si allineano compiutamente, per dirla alla Cartier - Bresson. Pertanto gli chiedo di condividere la sua visione sulla situazione dei migranti e sulle vicende dell’umano, chiamato quotidianamente a sostenere questo tempo.
Rispetto alla complessità della situazione legata ai migranti, ai rifugiati, a quale aspetto prioritariamente diresti BASTA?!
Alla parzialità d’informazione veicolata costantemente dai media sul tema. In varie aree del pianeta in cui ci sono guerre, scontri, povertà, cambiamenti climatici, ci sono centinaia di migliaia di persone che provano a trovare fortuna verso il nord nel tentativo di migliorare le proprie condizioni di vita. Non è chiaro però che le medesime persone, pur disponendo di risorse finanziarie, non possono decidere di sposarsi in Europa in aereo e arrivare agevolmente in Italia o in Spagna perché i governi europei non concedono loro i visti di accesso. Ne consegue che le rotte clandestine, attraverso cui i migranti percorrono migliaia di chilometri rischiando la vita, attraversando il Mediterraneo con i barconi, esistono in quanto è impossibile transitare dall’Africa verso l'Europa legalmente. Questo non si sa e non si dice!
È ora che l’Europa avvii un ragionamento socio – politico per creare dei canali legali di accesso a persone che provengono da aree meno fortunate e interrompere così il meccanismo perverso dei trafficanti passeur e dell’immigrazione clandestina.
Come parte di Medu, offri supporto psicologico ai migranti, ai rifugiati, cosa vedi nei loro occhi?
Ultimamente c'è un numero elevato di persone che si spostano per motivi economici, per povertà. Un numero in aumento rispetto a quello dei richiedenti asilo, di coloro che, secondo le norme ordinarie sul diritto d’asilo, si muovono a causa di guerre e scontri. Di solito chi abbandona il proprio paese, è spinto dalla logica “fuggire o morire”. Chi lascia la propria casa, la propria famiglia, la propria terra, i propri affetti, l’odore del posto in cui vive, intraprendendo un tragitto complicato e difficile, non può più rimanere, non ce la fa più.
Chi arriva in Sicilia, di solito sopravvive anche alle rotte. Quindi quello che si coglie subito nei loro occhi è la gioia di essere salvi, poi nei giorni successivi s’intravede un grande timore per il futuro. Cresce la paura di poter essere nuovamente detenuti, chiusi tra le reti di recinzione degli hotspot o supercontrollati dalla polizia nei centri temporanei di accoglienza, dopo essere stati rapiti, trattenuti e imprigionati nelle carceri libiche. Con una domanda di fondo “Cosa sarà di me in un’altra prigione? Cosa ho fatto per avere tutto questo?”
Ferite invisibili che si sommano a quelle visibili del corpo per quanto hanno subito durante il viaggio per raggiungere l’Italia.
Migrante, rifugiato, richiedente asilo: “l’uomo è l’uomo”. In questo tempo le discriminazioni non sono più basate su ragioni biologiche. Si fa strada un razzismo più culturale, che cela l’incapacità di leggere tra percorsi di vita differenti le medesime tappe. Tutto questo poi incarnato da governanti europei impazziti…
Se sono impazziti i governanti, sono in grave difficoltà anche gli umani, i cosiddetti umani medi. La tua riflessione richiama due livelli di discussione: 1) nel mondo in cui viviamo, a livello planetario, tutto è diventato estremamente liquido, volatile, tutto si trasforma, diviene, tutto è estremamente veloce. Non ci sono più le certezze di base di una volta, manca la densità, la struttura. Si respira un grande senso di precarietà che alimenta un'ansia che incombe. Si vive correndo e questo genera un’angoscia di fondo che spinge gli umani ad aggrapparsi a chi gli dà delle risposte certe, ferree, solide. È come se ci fosse una richiesta inconsapevole collettiva di sicurezza a cui i sovranisti e le nuove destre nazionaliste con un linguaggio che si serve di dichiarazioni ad effetto e di motti che suonano come parole d'ordine, danno un riscontro di certezza;
2) il razzismo di oggi, almeno in Europa e in America del Nord è un razzismo che definirei economico, basato sul ceto. Se un gambiano invece che arrivare in Sicilia, in Italia o in Europa col barcone attraversando il Mediterraneo, approdando a piedi scalzi, arrivasse in Mercedes, con un ISEE da centomila euro, non penso che avrebbe problemi a inserirsi, a trovare spazio. Ciò che viene respinto è il diverso, soprattutto povero, che chiede lo spazio di un processo da attivare, il tempo di un percorso per riscattarsi, per rifarsi una nuova vita. In questa veste il povero non viene accettato perché, nell’immaginario collettivo sottrae il lavoro a chi è già nei guai e non ha abbastanza danaro. Questo è sufficiente a far partire la caccia al diverso povero.
Spesso quando si discute di migranti all’incalzare della domanda “Ma tu cosa faresti al suo posto, se fossi povero o vivessi in un paese in guerra”, quasi mai si ottiene dall’interlocutore una risposta congruente. Anzi si liquida la conversazione con l’epiteto “devono stare a casa loro” …
In questi ultimi 30/40 anni in Europa e in Italia, la dimensione dell’“I care “ovvero “Tu mi interessi come persona, tu mi stai a cuore” è drammaticamente crollata. Piuttosto quello che emerge prepotentemente è la tensione a salvare prima se stessi e poi, forse, l’altro. Questo vale con i più marginali compresi anche i migranti. Si assiste quasi a una mutazione cromosica degli umani che diventano umanoidi, privati dello slancio vitale verso l’altro. Da un punto di vista sociologico, l'uso costante della tecnologia accelera i processi di velocità in cui tutto si trasforma ed è immateriale. Quando ragazzi o adulti passano moltissimo tempo con il cellulare, in realtà hanno surrogato la relazione con l’altro, affievolendo gli aspetti emotivi di un incontro in cui non sono coinvolti il corpo e i sensi. Dinanzi all'altro in difficoltà marginale, un migrante o anche una persona del nostro quartiere, non si nutre alcun interesse, non si percepisce alcun sentire, in un vuoto emozionale che parla di corpi desensibilizzati, vittime di un’anestesia emotiva dilagante e di un’ignoranza profonda su come si sentono le emozioni.
Nei prossimi decenni occorrerà un grande investimento nella scuola volto alla crescita umana dei ragazzi a cui si dovrebbe insegnare non solo la storia, la matematica, l’economia…, ma a sentire e a percepire le sensazioni e le emozioni mentre si sta con gli altri, pari ed insegnanti.
Da bambini abbiamo tutto quello che ci serve per sentire e capire l’altro, poi cresciamo e cambia tutto…Perché?
Quando nasciamo abbiamo le potenzialità dell'infinito. Nella crescita diverse sono le direzioni verso cui espandere i nostri potenziali. La maggior parte di ciò che incide su cosa diventiamo, viviamo, sentiamo, vediamo il mondo e stiamo con gli altri non è genetico, piuttosto ha a che fare con il cantiere educativo del bambino che cresce, che impara a relazionarsi, che si fa storia. Quando un bambino o un ragazzo hanno delle difficoltà di vario tipo, dipende dal cantiere in cui si cresciuti. Se cambiamo i contesti, le modalità di stare tra di noi e permettiamo questo anche ai bambini, riconoscendogli il diritto alla pienezza dei sensi, alla coccola, a vivere senza essere troppo veloci, a stare rilassati senza essere multitasking, a toccarci, a vederci e a riabbracciarci, gli umani di una volta ritorneranno.
Ognuno può fare qualcosa per questo, la scuola, le agenzie educative, la famiglia. Il punto è come i genitori vivono oggi il tempo, costretti come tutti a correre, impediti a stare, anche in relazione piena con sé stessi e con i loro figli.
Il tuo fare mi riporta alla bellezza del libro Sacro Minore, con cui il poeta Franco Arminio fotografa il sacro minuscolo del quotidiano dei nostri corpi che si incrociano, si incastrano e si allontano sullo sfondo di una natura meravigliosa. Se dovessi definire cosa sia sacro oggi per te…
È sacro darsi tempo, stare con ciò che c'è usando i sensi senza il pressing della velocità e delle cose da fare, respirando. Se mentre cammini, respiri, guardi il mare o osservi la strada che percorri, finirai inevitabilmente per chiederti “perché sto correndo?”
Grazie al respiro con cui prendiamo e buttiamo l’aria, ci rendiamo conto che siamo in relazione col mondo. L'aria è il diverso da noi che facciamo entrare e facciamo uscire. Se usassimo questa metafora anche nell’incontro con chi è diverso da noi, allora l'altro, dinanzi a noi, sarebbe una persona che ci permettiamo di respirare e a cui diamo anche il nostro alito vitale. Il segreto oggi è rendersi conto che il tempo è prezioso e utile a vivere meglio la profondità, a guardarsi negli occhi. C'è una bella frase di un giornalista, a proposito delle guerre, che dice che i conflitti che portano alle guerre nascono da sguardi mancati. Se ci si guarda negli occhi da vicino, difficilmente ci si farà la guerra, piuttosto si troverà insieme una soluzione. Infatti i potenti che ordinano le guerre non stanno sul fronte, ma nel chiuso delle loro stanze, lontani dallo sguardo sulle persone e su quanto vivono.
Un’ultima cosa ancora sui migranti… cosa serve?
Dinanzi alla logica sovranista e fascista con cui l’Italia gestisce, con emergenze decennali, la dimensione dei migranti, accogliendoli con le reti e i muri dei centri di accoglienza, legittimando la deportazione di chi fugge per non morire in paesi in via di sviluppo come l’ Albania sotto il silenzio di pensatori, filosofi, uomini di cultura, gente comune, servirebbe il ritorno a una militanza attiva che non è solo scrittura, pensiero ma soprattutto azione. Grazie ad essa, le minoranze morali di questo paese (che in questo momento sono minoranza su questi temi) nei quartieri, nelle città, in ogni luogo si dovrebbero muovere, essere attivi, presenti e parlare, testimoniare e agire affinché questo trend possa essere invertito. Non è facile né impossibile. Il mio è un appello alla militanza attiva, non d’assalto, ma all’essere presente con i corpi, nell’esserci e stare a fianco di chi è in difficoltà, principalmente come cittadino, testimone attivo nella città pulsante dove si vivono le marginalità e i problemi.
Giornalista pubblicista e insegnante, scrivo con la luce e con l’inchiostro sin da bambina. Fonte di ispirazione il viaggio lungo paesi del mondo e paesaggi esistenziali della contemporaneità.
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