Confesso che non ho il pollice verde. Fino a quando non ho avuto tra le mani un oliveto, pensavo che gli alberi servissero solo a fare ombra e frutta (la sintesi clorofilliana ancora oggi mi crea qualche problema). Poi ho visto anche le olive, e la loro trasformazione da fiore in frutto e in olio: magia. Ma nonostante ciò la magia non è riuscita a distogliermi dalla mia “distrazione” o, se vogliamo, dal mio interesse relativo nei confronti della flora.
Eppure l’ombra non è un elemento trascurabile perché oltre a dare sollievo al corpo produce aria fresca e infatti, dicono, che bisogna piantare più alberi contro questo maledetto riscaldamento globale, e dicono bene.
Un giorno però tutto è cambiato. È bastata una sola gita alla Foresta Umbra, a due passi da dove vivo, al centro del Gargano, per cambiare la prospettiva.
Si chiama Umbra proprio perché fa ombra, il sole non ci arriva e ci sono alberi immensi: faggi, aceri, tigli querce, cerri e sottobosco a volontà.
Fauna altrettanto interessante e varia: lepri, scoiattoli, (i cinghiali non li metto nell’elenco perché quelli ormai sono anche in città e fra un po’ prenderemo l’aperitivo insieme), caprioli, picchi, donnole, cervi e altri ancora.
È un’area naturale protetta all’interno del parco naturale del Gargano. Essendo altina, c’è ‘nfriscu ‘i pararisu! Non lo dico a caso. È un paradiso per i naturalisti, per gli amanti delle passeggiate e delle… mangiate, in alcune zone ben determinate sono allestiti altari di arrusti e mancia da fare invidia a qualsiasi amante del barbecue.
Mi godo l’aria, mi godo la vista, ma il beneficio più importante è per la mente e per lo spirito. Si sente tutta la cura e la protezione di cui gode l’area che restituisce senza sconti a chi la frequenta, forme varie di benessere dell’anima.
Perché, con tutta la buona volontà, non sono un naturalista. Degli alberi io vedo la maestà, e ogni maestà che vedo, tipo quella della montagna, o quella del mare, io faccio pensieri che riguardano la bellezza, la potenza che sa esprimere la natura e penso a qualcosa che va oltre l’uomo, non posso farci nulla. Lo so che gli alberi sono piantati dall’uomo e curati, soprattutto, dall’uomo. Lo prendo come un segno di ringraziamento, un atto dovuto dell’uomo nei confronti di ciò che è indubbiamente più grande di lui. Veramente la Foresta è una metafora, un abbraccio immenso che ti accoglie all’interno del quale avverti di essere in un posto speciale, che, tutto sommato, non conosci anche se ci sei stato più volte. Ogni volta che c’entri, senti di non osare nulla che possa profanare il luogo, che possa disturbare, anche uno scoiattolo o una lucertola, perché l’intruso (discreto si spera) sei tu. È un tempio che incute rispetto, si parla a bassa voce per paura di disturbare il silenzio che a tratti è preteso e cercato. Un silenzio che si fa ascoltare, e i rumori che senti sono amalgamati con esso. Alzi lo sguardo e vedi un cielo di foglie con il sole che filtra raramente, quasi sbircia al di sotto degli alberi, anche lui discreto. Insomma, per me, un posto di meditazione che mi dà un senso di pace e a sua volta, pianta dentro di me un seme di speranza. Quale speranza? Quella di vedere che il rispetto portato a questa piccola porzione di terra possa allargarsi a tutto il pianeta che stiamo maltrattando in ogni modo. Il rispetto verso la natura è come ho detto sopra, rispetto verso noi stessi perché ‘u rispiettu è misuratu, cu lu porta l’avi purtatu.
Guglielmo Tasca è nato a Scicli (RG) nel 1962. Si è laureato al Dams e negli anni ha approfondito lo studio delle musiche e delle tradizioni popolari siciliane.
Nel 1996 ha vinto, insieme a Rinaldo Donati, il premio Recanati per la canzone d’autore con il brano Beddu nostru Signuri. Ha inciso numerosi dischi e si è esibito su palcoscenici.
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