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Il ballo mascherato della vita

Sergio Guastella 14 marzo 2024


In ambito cinematografico ciak è un termine onomatopeico che evoca il suono dello strumento con cui si comunica agli attori l’avvio di una scena. Una piccola tavoletta, nulla di più; che però ha il potere di dare l’abbrivio ad ogni recita.
Ciak è nient’altro che un comando, una prescrizione, una cadenza. Un tempo oltre il quale l’attore smette di essere ciò che è ed assume le sembianze del personaggio che deve interpretare.
Dal ciak, fino al successivo stop, tutto si svolge secondo le sequenze che qualcuno ha già fissato in un copione. Da quel momento, è il regista che indica le movenze, suggerisce i tempi e prescrive le pose. Persino le luci, le riprese, i trucchi e i costumi sottostanno al ciak. Niente esisterebbe se non scoccasse quel suono netto ed imperioso che avvia ogni scena.
È il ciak che determina ogni comportamento degli interpreti ed è dal ciak che deriva ogni susseguirsi di azioni. Dal ciak in poi nessuna variante è ammessa rispetto al copione, nessuno scostamento dal volere di chi dirige la scena.
Ma è nella vita, come e più che nel cinema, che i ciak identificano il momento ineludibile da cui tutto parte e secondo cui tutto si verifica. L’aire da cui si svolge il nastro della nostra esistenza.
Già la prima sculacciata dell’ostetrica che avvia il neonato piangente alla recita della vita è un vero e proprio ciak. Dà l’incipt al viaggio che ciascuno di noi intraprenderà per una meta ignota, ma su una rotta già tracciata.
La sveglia che al mattino ci rapisce dal tepore del letto, la campanella che a scuola doma l’energia dei ragazzi costringendoli nello spazio ristretto di un’aula, la timbratura all’ingresso del posto di lavoro, la campana che la domenica richiama in chiesa i fedeli, la marcia nuziale di un matrimonio, il primo vagito di un figlio appena nato da cui deriva l’assunzione del ruolo genitoriale, sono tutti ciak d’iniziodi varie recite che il ballo mascherato della vita ci impone.
Anche la diagnosi di una malattia che ci fa rimpiangere ciò che abbiamo irrimediabilmente perduto e muta il senso della nostra vita, il rimorso che ci fa promettere un cambiamento che non attueremo mai, il primo capello bianco che ci annuncia la senilità, il lancio pubblicitario che ci trasforma in assetati consumatori, l’accesso ad una professione che impone la conformazione a condotte e forme doverose, sono tutti punti di svolta che ci impongono un cambio di scena. Avvisi inderogabili dell’impellenza di assumere un ruolo diverso da quello precedente e da quello che seguirà. Abbrivi senza ritorno da cui deriva, ci piaccia o meno, la nostra condotta.
Tutti gli uomini recitano ma, come diceva Marlon Brando, solo gli attori vengono pagati per farlo.
Sono pochi quelli che riescono a discostarsi dal copione e a recitare a braccio. Gli uomini liberi, gli illuminati e gli artisti che sublimano le loro arti disubbidendo alle regole prescritte della vita.
Gli altri, interpretano solo parti che il copione impone loro. Nel susseguirsi frenetico delle scene dell’esistenza e in attesa del conclusivo stop.
E senza nemmeno la consolazione di essere pagati…

Foto di AxxL Jane Shaw, Pixabay

Sergio Guastella

Sergio Guastella è nato e vive a Ragusa dove, da sveglio, esercita per passione la professione forense e, quando dovrebbe dormire, sfrutta l’insonnia per immaginare altre vite.
Ha pubblicato Il Capitano (2014).
Il suo racconto Cose dell’altro mondo è stato pubblicato (2021) nel volume I racconti dell’ultimo bicchiere edito da LC Publishing Group.
Altro racconto Aspettando Totò è stato pubblicato (2023) nella raccolta di Autori Vari Racconti di Donnafugata edita da Kreativamente Editrice.

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