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Un libro, figlio e padre

Giuseppe Cusumano 14 giugno 2024


Un libro senza bugie né sconti, uno di quelli buono da leggere quando il grecale tumultua fra le imposte di legno salmastro, o mentre il tuo treno per Torino Porta Susa sibila tra soffioni di tarassaco. Un libro con una copertina non troppo ruvida al tatto, con sopra una foto vintage di un capillare di borgo, con le basole di arenaria o i muri di tufo muffito, e un accenno di crepuscolo impressionista sopra tegole scure – o meglio, un volumetto in cuoio e lacci, come vergato con la china da un amanuense?
Quel genere di libri che la maggior parte delle persone evita già dal titolo, e in fondo sarebbe un titolo che non richiama alcunché se non specchi, forse il mistero tremulo delle aspettative, e un certo agnosticismo; o un altro che magari vorresti tirare fuori tu, da quella tua malinconia di allodola nella foschia, t’inventeresti come un titolo asciutto, tipo “Starnutire tra girasoli girati” oppure “Senza méta, ma fino a un certo punto”.
Chissà se saremmo capaci di percorrere le nostre pagine, lentamente una dopo l’altra, mescolando quel mio spettro daltonico tra i paesaggi dell’anima col tuo svagato incedere microbiologico, rendendo complementari il frastagliato novilunio delle mie marine desolate a quel tuo susseguirsi di colonne lastremate, e quella tua alternanza di timpani erosi che gettano ombre di ipotenuse doriche tra sterpi di cicale. Oppure se ci affideremmo agli estri del momento, alle mie iperboli musicali e alle tue sinusoidi da bradipo, alla combinazione di slang e prose slegati da ogni retaggio classico e scientifico, tra i miei surreali calembours e le tue argute metafore.
Ci troveremmo a inventare un libro di allergia alla lavanda, di sudori acri e di omelette alla salvia, di disorientamenti preterintenzionali e di notturni a tempera come su una tela, e di esperimenti retorici mentre ci alterniamo alla guida e gli sgangherati gangli del nostro colorato trabiccolo traballano (oh! una allitterazione!), descrivendo murales con pastelli d’ocra e labirinti d’orti e pergolati di tralci selvatici, in cui tu favoleggi di accordi che io non so, in cui io mormoro ritornelli anglofoni che tu non decifri, e che l’oblio mi ha via via levigato come sapone di casa.
Mi farai portare la vecchia Olivetti di mio nonno, anche se la lettera ‘r’ a volte balbetta un po’? Il suono tambureggiante dei tasti sui fogli ingialliti mi riporterebbe a quel tepore di ghisa del suo studio nel seminterrato, riusciresti a immaginare un ritmo più proustiano di quello sotto le fronde resinose dei pini marittimi o nel dondolio dei cipressi? Che poi, inserire un ciuffo di pagine che sanno d’antan donerebbe al nostro libro l’aura di un feuilleton post-moderno tra le casse d’un ‘bouquiniste’, non trovi? A te verrebbero meglio le idee mentre improvvisi qualcosa di blues sulla tua ‘Echo’ acustica, esporresti con calma quel concetto secondo il quale si impara di più da tre persone false che non da trecento vere; che è la sporadica coltellata a fortificarti piuttosto che il profluvio di carezze; e io aggiungerei – da incallito pagano – che neppure i paramenti sacri e i salmi responsoriali sarebbero in grado di mascherare un animo gretto, con una pulsione da sinedrio, o almeno non per sempre.
Sarebbe un libro di silenzi divenuti sintassi, con punteggiatura essenziale, il diario di due esistenze che in fondo si assomigliano e colgono dalla vita quello che i suoi alberi offrono di essenziale al passaggio, e hanno l’umiltà di restare ad ascoltare e il candore di chiedere. Lo porteremmo in rilegatoria – questo nostro libro - pregando di mantenere tutte le pagine non battute al loro esatto posto, e decideremmo di smettere di correggere ancora – lo sai che io sono maniacale nelle correzioni, tu più puntiglioso nelle impaginazioni – e finiremmo per fare stampare un’unica copia: quella nostra soltanto, non pretenderemmo chissà che.
Riusciremmo davvero a scrivere quel libro, mentre le nostre vite viaggiano insieme (da quando ci sei)? 

Giuseppe Cusumano

Giuseppe Cusumano è nato nel 1968 in un paesino del Polesine che oggi non esiste più, da genitori etnei di Militello in Val di Catania. Vive a Ragusa da oltre 40 anni e scrive quasi da sempre, da mancino corretto: ama la musica, nuota e si diletta di fotografia, ha praticato calcio e arti marziali, si nutre di libri, di natura e di umanità.
Risulta curioso, poco ortodosso, distrattamente attento, dotato di ottima memoria - e anche per questo dicono soffra di ‘retrotopia’.
Di professione Malaùssene, da nove anni coordina un Progetto di volontariato (nato in Ambasciata e radicato presso la missione di Kitanewa) per la costruzione di scuole di ogni ordine e grado nella regione di Iringa, in Tanzania, e continua a farsi correggere i compiti dalla sua prof di lettere.
Ha pubblicato diversi racconti e articoli, un diario di viaggio africano (Quaderni tanzani, OperaIncerta Editore), un romanzo (La terza banca, La Zisa Ed., recensito su Repubblica), e incredibilmente una raccolta di poesie (Minimalia, Libro Italiano World Ed.).
Saltuariamente ha scritto su un blog, ma non è cosa sua.
In compenso, a breve pubblicherà il suo nuovo romanzo, ambientato in Africa, dal titolo Agli elefanti invece sì, editore cercasi.

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