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“Sì, lo voglio” ...e poi?

Petula Brafa 14 agosto 2024


Se fosse capitata a bordo di una DeLorean in questi nostri giorni strampalati, tra le polemiche contro il romance e la letteratura femminile confinati al sentimentalismo, e in generale contro le donne che scrivono,  possiamo ragionevolmente supporre che, tenendo fede all’assioma calviniano per cui «Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire», Jane Austen (1775-1817) avrebbe trovato parole argute per castigare l’orgoglio e il pregiudizio di certi uomini, così lontani dalla fulgida magnanimità di Mr. Darcy. Per sua fortuna, invece, si gode sornionamente la gloria dell’eternità dal ritratto sulla banconota londinese da dieci sterline, a celebrarne il successo immortale delle opere.
Sia chiaro: all’epoca neanche lei ebbe vita facile. Dei romanzi, Ragione e sentimento (1811), Orgoglio e pregiudizio (1813), Mansfield Park (1814) ed Emma (1815) furono inizialmente pubblicati nell’anonimato, e solo una nota del fratello Henry all’edizione postuma di L’abbazia di Northanger (1818) e Persuasione (1818) rivelò al pubblico, che da tempo l’amava, il nome dell’autrice dietro la firma “by a Lady”, adottata prudenzialmente dall’editore contro le comuni riserve verso le abilità femminili.
Quanto quel preconcetto abbia pesato nell’accoglienza delle opere ce lo dice la critica. L’incoronazione tra i classici della letteratura - per gli indimenticabili personaggi, il ritratto della società inglese, la costruzione dei dialoghi, la scrittura vivace e ironica - e la popolarità mediata da cinema e televisione ne hanno ormai consolidato il riconoscimento, ma non è sempre stato così.
Tra le accuse dei detrattori ottocenteschi figurava quella che il filosofo Ralph Waldo Emerson (1803-1882) definì marriageableness, ovvero la ridondanza del tema della candidabilità alle nozze: «Tutto ciò che interessa in qualunque personaggio venga introdotto è ancora questo: egli (o ella) ha il denaro con cui sposarsi, e condizioni adeguate? ...  Il suicidio è più rispettabile» (in Selected Journals 1841-1877, Library of America, 2010).
Il disprezzo di Mark Twain (1835-1910) per la povera Jane assumeva addirittura tinte macabre: «Tutte le volte che leggo “Orgoglio e pregiudizio” mi viene voglia di disseppellirla e di spaccarle il cranio con la sua stessa tibia» (in Autobiografia di Mark Twain, a cura di S. Proietti, Donzelli Editore, 2014); e «Una buona biblioteca potrebbe essere avviata omettendo i libri di Jane Austen» è la dichiarazione che Jorge Luis Borges (1899-1986) gli attribuisce prendendone le distanze ma non troppo, se la scrittrice non trova posto nelle lezioni di Letteratura Inglese del 1966 all’Università di Buenos Aires (La biblioteca inglese. Lezioni sulla letteratura, a cura di M. Arias e M. Hadis, Mondolibri S.p.A., 2006).
«Non mi piace Jane e, in realtà, sono prevenuto contro tutte le scrittrici» – infine avrebbe replicato  Vladimir Nabokov (1899-1977) al suggerimento di inserirla nelle lezioni di Letteratura all’Università di Cornell (Ithaca, NY), salvo poi selezionare Mansfield Park per il corso e per il primo capitolo del libro, soffermandosi sulla tecnica del monologo interiore, definita «la mossa del cavallo», usata efficacemente dall’autrice per avvicinarsi o allontanarsi dalla rappresentazione dei propri sentimenti da parte della protagonista (Lezioni di letteratura, Adelphi, 2018).
Eppure circoscrivere i romanzi di Jane Austen solo alla marriageableness, sarebbe tradire l'ironia di uno dei più brillanti incipit della letteratura: «È una verità universalmente riconosciuta che uno scapolo provvisto di un ingente patrimonio debba essere in cerca di moglie. Per quanto al suo primo apparire nel vicinato si sappia ben poco dei sentimenti e delle opinioni di quest'uomo, tale verità è così radicata nella mente delle famiglie dei dintorni, da considerarlo legittima proprietà dell'una o dell'altra delle loro figlie»; e guardare il dito anziché la luna.
La narrazione sul matrimonio, infatti, non riguarda né il seguito al corteggiamento o alle vicende di equivoci e disvelamenti nella costruzione dei romanzi, né il racconto della vita in famiglia o della nascita di bambini. Il matrimonio sostiene la trama, ma il tema rivoluzionario dei romanzi è la felicità. L'ipotesi sul futuro individuale di una ragazza dell'epoca ha portata universale, e pone la felicità al di sopra del matrimonio, organizzato dalle famiglie secondo convenzioni e censo. Le pagine dedicate a Elizabeth Bennett brillano di modernità, ammettendo quale promessa di gioia l'equilibrio di caratteri tra uomo e donna, gli interessi, lo spessore emotivo di ciascuno, le affinità.
La modernità si esprime anche attraverso i dialoghi: Jane Austen è un'avida lettrice e attinge a William Shakespeare, costruendo scambi sempre efficaci. Non vediamo mai due ragazzi che parlano tra loro, ma solo ragazzi e ragazze che si confrontano in dialoghi verosimili, privi di invenzione. Diversamente dai ritratti di eroine e vittime di altri scrittori contemporanei, le sue protagoniste femminili sono consapevoli del ruolo assegnato dalla società: ne è prova il fatto che ciascuna interagisce in coppia con un'amica, la sorella o la protetta, perché da sola rischierebbe di cadere nella "sventura", nella perdita dell'onorabilità.
La felicità è un profumo che si offre alle aspettative dei personaggi, tra il sogno di un futuro ignoto e l'attrazione, che li fa scegliere l'un l'altro in occasione delle feste da ballo, luogo della vicinanza, del dialogo degli sguardi, dello scambio di simpatie e dell'innamoramento. «È l’amore un capriccio o un sentimento? / No, è immortale come la verità incorrotta. / Non è come un fiore che si sfoglia/ quando la gioventù cade dal gambo della vita, / poiché crescerà persino in regioni aride/ dove non scorre acqua/ né un raggio di speranza inganna le tenebre»  - sono i versi del sonetto di Hartley Coleridge (1796-1849), che Marianne legge a Elinor in Ragione e Sentimento, sul grande schermo interpretate rispettivamente da Kate Winslet e Emma Thompson, autrice della sceneggiatura premiata con l'Oscar (1996).
L'aspirazione alla felicità contiene in sé anche il desiderio di indipendenza. Quando i matrimoni non sono d'amore, le donne riescono comunque a conquistare uno spazio antesignano alla stanza tutta per sé auspicata da Virginia Woolf. Nella geografia dei luoghi narrati, le case sono sono spazi simbolici della loro espressione: così per Charlotte, moglie del reverendo Collins, che non riceve i suoi ospiti nella sala da pranzo, ma in una «sua» sala dove il marito non è invogliato a entrare.
Si comprende dunque il limite della critica nel tentativo di ricacciare la Austen nella letteratura di genere femminile, in un confine segnatamente definito dal luogo comune, adottato proprio dallo stesso Mark Twain non senza ironia nel Diario di Adamo ed Eva (1906): i toni sono comici, i due sono alla presa con gli elementi della creazione, l’entusiasmo verbale di Eva incontra il distacco di Adamo, non si parla di amore e felicità, eppure la scomparsa di lei lascia un vuoto che per lui non è soltanto di solitudine. 
Provocazione intellettuale o disillusione sentimentale, la felicità scivola da Twain a Borges che lo cita, e che invece su di essa si pronuncia eccome. «Felici gli amati e gli amanti e coloro che possono fare a meno dell'amore. Felici i felici» è una delle beatitudini di Borges in Elogio dell'ombra (1969), quasi come se la felicità fosse una professione di vita, una rivendicazione pari all'indipendenza del pensiero femminile,  affidata pioneristicamente alle parole di Elizabeh Bennett.
Di questa professione di vita il matrimonio finisce per nutrirsi ineluttabilmente, se vuole sopravvivere a sé stesso, ai cambiamenti imposti dal tempo, all'abitudine che sovrasta la passione del primo giorno. È felice chi sa essere felice, perché «Non puoi essere felice in amore se non hai un talento per la felicità», come spiega Yasmina Reza in Felici i felici (Adelphi, 2013), attingendo il titolo a Borges e ponendo a confronto la quotidianità di coppie di personaggi, messe alla prova dalle nevrosi interne al rapporto -  Robert e Odile Toscano litigano senza freni sulla scelta del formaggio al supermercato; Ernest e Jeannette Blot sulla disapprovazione della scelta di lui di essere cremato - oppure dalle vicende esterne: in questo caso, il dolore comune sigilla l'alleanza contro il mondo, offrendo l'immagine di una coppia solida e innamorata oltre ogni stucchevole parossismo, come accade a Pascaline e Lionel Hutner, devastati dalla psicosi del figlio che crede di essere Celine Dion.
«Cos’è che rende certi matrimoni così riusciti? Un casuale incontro tra due anime compatibili? Il bellissimo carattere di uno solo? La fortuna?», domanda ai lettori Ester Viola (Voltare pagina, Einaudi 2023), riflettendo sul romanzo corale di Yasmina Reza. «Non si parla abbastanza del dopo, di quando le cose si sono messe bene. Che succede dopo, quando l’amore si trasforma in dieci anni insieme ... da un certo punto in poi, due vuol dire che c’è uno che dà fastidio a un altro» e, quando l’odio di coppia apre mille quesiti, «l'incredibile assenza di risposte, quello è l’amore».
I più romantici dicono di appartenersi, i più disincantati propendono per l'armistizio, a proposito della palingenesi continua che accompagna la vita a due, rigenerando la dimensione temporale della coppia, fuori dai calendari. Nel conflitto tra l'entusiasmo del primo incontro e lo svilimento causato dal risentimento, scrive Roland Barthes, «il soggetto amoroso afferma l'amore come valore» non con la ripetizione, ma con il desiderio del ritorno all'esperienza sentimentale e di ricominciare.
Se è così, quanta tenerezza allora nel racconto di Italo Calvino per dipingere l'Avventura di due sposi (1958), cui i turni lavorativi negano la convivenza, e inducono alla proiezione uno dell'altra nel calore della sagoma nel letto, in cui lui dorme di giono, e lei di notte; e quanta ancora nel racconto graffiante di Raymond Carver per dire Di cosa parliamo quando parliamo d'amore (1981), con protagonisti due coppie di amici e l'aneddoto di un sinistro stradale, causato da un ragazzo ubriaco alla guida che travolge due coniugi anziani a bordo di un camper. Il ragazzo muore, l'uomo e la donna sopravvivono, bendati e ingessati dopo numerosi interventi chirurgici e la degenza in terapia intensiva, eppure è l'impossibilità di vedere attraverso i fori tra le fasciature a deprimere lui e a farlo soffrire per la distanza dalla compagna della sua vita.
           
Riferimenti bibliografici:

  1. Jane Austen, Orgoglio e Pregiudizio, Oscar Classici Mondadori, 1983
  2. Jane Austen, Emma, Newton Compton, 2010
  3. Jane Austen, Ragione e sentimento, Feltrinelli, 2013
  4. Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, Einaudi Tascabili, 2003
  5. Italo Calvino, L'avventura di due sposi in Gli amori difficili, Oscar Mondadori, 1993
  6. Italo Calvino, Perché leggere i classici, Oscar Mondadori, 2011
  7. Raymond Carver, Di cosa parliamo quando parliamo d'amore, Einaudi Super ET, 2016
  8. Yasmina Reza, Felici i felici, Adelphi, 2013
  9. Mark Twain, Il diario di Adamo ed Eva, Cavallo di Ferro, 2010
  10. Ester Viola, Voltare pagina, Einaudi, 2023
Petula Brafa

Pubblicista, laurea in Lettere e tesi sulla scrittrice Alba De Cespedes, e romana dal primo amore per le sue pagine nelle vie del quartiere Prati, maturato nell'andirivieni tra Roma, Catania e un borgo di mare ragusano. Ho collaborato negli anni con giornali e blog, agenzie di servizi editoriali e riviste letterarie. Credo nella letteratura e nella conoscenza umanistica, nel potere della parola e delle parole.

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