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Matrimonio viennese

Vincenzo La Monica 14 agosto 2024


All’inedita quota di 65 metri quei due affondano forchettine da dessert nella notte di una Sacher Torte.
Una quindicina di metri più in basso, noi li seguiamo. Decisi a sormontarli presto, fidando sulla quieta velocità di 2,7 chilometri orari della ruota panoramica al Prater, che ci conduce tutti sotto una pioggerella che sporca i vetri delle carrozze e ammala di presbiopia il nostro gioco da voyeur.
Li seguiamo. Sono adesso a 50 metri e noi a 65. Le luci di Vienna sono le solite costellazioni capovolte delle metropoli by night viste dall’alto, ma quei due… quei due sono una cometa. Chissà quando ritorneranno alla nostra vista.
Facciamo ruotare, allora, una storia intorno all’asse di quei due. Prevediamone alcune orbite.
Ma che genere di storia vorremmo raccontare? Oh, andiamo: è notte è agosto è Vienna. Sarà una cara, vecchia storia d’amore.
Lui è ancora vestito come nell’ultimo passaggio (cent’anni fa, almeno) quando era devoto all’Impero degli Asburgo e a Thomas Mann: una giacca verde abete aperta sulla pancia prominente, la cravatta color idioma ignoto e due occhietti chiari appannati dalla miopia elargitagli da anni di filologia araba all’Institut fur Orientalistik. Le basette lunghe ben oltre il limite in vigore nel XXI secolo consolano l’inguaribile timidezza che lo affligge fin da quando era un bambino. E che ha innamorato lei fin dal primo incontro. E pensare che aveva sbagliato aula. Cercava quel corso su Freud e la psicanalisi. E, in qualche modo, l’aveva trovato lo stesso. E non le è pesato nemmeno di essere stata lei a chiedergli di uscire, alla fine di una lezione sulla Dottrina della virtù in Tommaso d'Aquino e Abu Ali Ahmad ibn Muhammad ibn Yaqub ibn Miskawaih. Con che sfrontatezza, alla fine di quella sera, gli aveva chiesto se gli sarebbe dispiaciuto avere un ibn Michael. Un figlio. Semplice semplice, come un arcangelo. Come suo padre. Nel giro della ruota, con le mani appoggiate una all’altra a sorreggere il mento lo guarda non ancora perfettamente a suo agio nell’abito a fantasia di fiori autunnali, lungo fino al polpaccio. Glielo ha regalato lui. Perché ricorda un caftano. Lo scollo a V profondo, castigato da un cardigan marrone. A Vienna la sera c’è umidità. Uno spostamento circolare come in uno dei cieli di Dante (il settimo, ovvio) raddrizza uno sguardo e lo indirizza nelle iridi di lui. Lei lo guarda piena di una gioia immensa.
Ci puoi scommettere: si sono sposati esattamente un anno fa.
Ma che si stanno dicendo le colombine? Niente. Non è per quei due l’amore colloquiale. C’è solo il silenzio tra loro. Così profondo è il sentimento che non hanno bisogno di parole per esprimerlo. Solo le loro mani parlano, portando alla bocca le ultime briciole del dolce direttamente dal piatto (lo hanno visto fare ai beduini, in viaggio di nozze) e avvicinandosi piano, fino a sfiorarsi e poi intrecciarsi all’altezza dell’indice e del medio. Con un piccolo “Toc” cozzano le fedi all’anulare. Sorridono, come quando, sempre al Prater, hanno visto le tartarughe che, con identico rumore, si accoppiavano.
Nella nostra carrozza, se stiamo attenti, possiamo sentire qualche clacson o una sirena, ma per quei due è come se Vienna stesse a migliaia di anni luce. E invece adesso è solo 30 metri più in basso. Il vagone in legno pensato da Francesco Giuseppe per passeggeri aerostatici del futuro (turisti dell’Europa Unita, giapponesi, whatsappatori di massa, quei due) si avvicina fino a sfiorare la terra. A furia di guardarlo mi evoca un ricordi d’infanzia. Il Cofanetto Sperlari così bello che non si incartava in una confezione regalo o la slitta di Babbo Natale, che di incarti, invece, traboccava?
Camerieri in guanti bianchi sparecchiano, nella carrozza dove quei due stanno indossando la giacche. Del loro quieto viaggio è rimasto un odore di legno umido, tabacco di pipa, polvere, piatti di carne. La mancia è generosa, ma non ha odore.
Quei due, adesso sazi, si allontanano mano nella mano. Un languore è andato via, un altro ne arriva. Conservano nel portafoglio il biglietto per la Wiener Riesenrad e sotto ai nostri occhi ne acquistano un altro per l’ingresso nel Regno del “Non ancora”, dove lentamente si consuma un incenso di cui ci giunge un profumo. Sì, Rumi è stato la tesi di dottorato di lui.  
E in una stanza d’hotel o all’ultimo piano di una palazzina Jugendstil tra pochi attimi quei due abbandoneranno il contegno borghese, i chili superflui, gli abiti e le milioni di pagine lette da destra a sinistra. Si trasformeranno nel pretendente al trono bizantino e nella sua amante dipinti da Klimt e fotografati in mille selfie al Belvedere: il maschio a quadrati, monocromo, aureo, la femmina aurea, policroma, a spirali. E stavolta fermandolo sull’uscio lei parlerà: "Quanto mi ami, Michael?"
"Quanto ti amo? Conta le stelle nel cielo. Raccogli le acque degli oceani con un cucchiaino. Conta a uno a uno i granelli di sabbia sulla riva del mare. Impossibile, mi dirai. Sì. Ed è altrettanto impossibile per me dire quanto ti amo. Tutto finirà, ma non il mio amore per te ".
Per l’ultima volta in questa notte sentiremo la voce di lei, implorante: "Baciami, Michael".
E obbedienti a quella parola d’ordine abbandoneranno la posa a labbra unite sulla soglia della camera e si troveranno fuori da qualsiasi cornice, lontani dagli occhi di tutti, dietro il pianeta più lontano, protetti dal buio di Oort, le vesti ai piedi di un letto in ferro allestito in una Cappella Sistina, dove quei due, adesso intenti solo ai sensi, realizzeranno il sogno alchemico di Rodolfo II e quello erotico di ciascuno di noi.

Vincenzo La Monica

Vincenzo La Monica è un operatore della Caritas di Ragusa dove si occupa di mobilità umana e dell’Osservatorio delle povertà. Ha pubblicato nel 2021 La scomparsa misteriosa e unica di Franco Battiato (La Vela editore) scritto a quattro mani con Giuseppe Piccinno. Sempre con Piccinno gestisce il blog di delicatessen letterarie ivandekerkhof.it. che ospita idee, vignette, memorie, raccontini e scorciatoie pensate e scritte a quattro mani. Nel 2022 ha pubblicato Palla a due (Abulafia editore) una dichiarazione di quasi amore per la pallacanestro e la sua città.

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