“C’era una volta…” segna l’inevitabile inizio delle favole. Allo stesso modo, anche il finale è quasi sempre già scritto con l’inequivocabile “E vissero felici e contenti”.
In genere questo epilogo coincide con il termine delle avventure o sventure di sfortunate principesse e incompiuti principi con un maestoso matrimonio.
La struttura narrativa di queste favole è quella che si incontra nei romanzi della scrittrice inglese Jane Austen, autrice tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo di capolavori della letteratura classica come Orgoglio e pregiudizio o Ragione e sentimento. La scrittura della Austen è elegante, piena di ironia e attenzione per i cambiamenti del suo tempo e tratta molteplici argomenti che spaziano dalle disuguaglianze sociali, alle leggi sul patrimonio e le successioni ereditarie, alle ambizioni maldestre, all’importanza dell’onore e della reputazione, alla furfanteria di bassa lega.
Al di là delle nobildonne e dei giovani rampolli di famiglie dell’alta società inglese, delle avventure estive a Bath, delle descrizioni dei paesaggi, delle feste da ballo, il protagonista sempre presente e indiscusso di tutti i romanzi è senza dubbio il matrimonio.
Epilogo o inizio della storia? La nostra autrice possiede senz’altro uno spirito femminista e moderno, che trasferisce alle eroine dei suoi racconti, Elisabeth Bennet o Marianne Dashwood. Così facendo delinea principi solidi di riconoscimento del proprio valore gettando un occhio critico verso retaggi culturali già arcaici.
Ma quale che sia il cammino che conduce alle ultime pagine, il lieto fine è comunque segnato dal matrimonio. Tuttavia il lettore più attento capirà che la Austen lascia sempre intendere che le nozze non debbano rappresentare uno scopo di vita a tutti i costi.
È in questa sfumatura che traspare lo spirito più femminista e moderno della scrittrice. A detta della nipote Caroline (nel suo Memoir), raramente la zia esprimeva un’opinione, ma in una delle rare eccezioni in cui evidentemente si lasciò andare per amore della nipote Fanny, Jane non esitò a sostenere un’opinione precisa: “ti supplico di non impegnarti oltre, e di non pensare di accettarlo a meno che non ti piaccia davvero. Qualsiasi cosa è preferibile o più tollerabile dello sposarsi senza affetto”. Sono le parole pronunciate in Orgoglio e pregiudizio.
Del resto questa scrittrice aveva abbastanza esperienza dei legami matrimoniali più o meno riusciti e soprattutto considerava con sguardo disincantato e certo come un affetto poco convinto avrebbe resistito poco alla prova del tempo e delle difficoltà.
Forse pensava proprio a questo, quando scrisse con spirito anti conformista e moderno l’inizio dell’ultimo capitolo di Mansfield Park:
“Oh! che perdita sarà, quando ti sposerai. Sei troppo simpatica nel tuo stato di nubile, troppo simpatica come nipote. Ti odierò quando i deliziosi giochi della tua mente saranno soffocati nell’affetto coniugale e materno. […] Le tue critiche alle quadriglie mi hanno estremamente divertita. Bella cosa, per una signora irrimediabilmente legata a una sola persona! Dolce Fanny, non credere cose del genere su di te. Non spargere nel recinto della tua immaginazione, una calunnia così maligna sul tuo intelletto. Non parlare male del tuo buonsenso, solo per gratificare la tua fantasia. Il tuo è un buonsenso che merita un trattamento più onorevole. Tu non sei innamorata di lui. Non sei mai stata realmente innamorata di lui”.
Il tema del matrimonio in Jane Austen, dunque, appare controverso e mai banalmente affrontato. Non mancano considerazioni quasi brutali sulle fatiche di una relazione familiare forzata, sul peso insostenibile del dovere far nascere e crescere dei bambini. Crudele la frase indirizzata alla nipote Fanny secondo la quale “le donne nubili hanno una terribile propensione a essere povere il che è un argomento molto forte in favore del matrimonio”.
Parole che fanno il paio con quelle pronunciate da Charlotte Lucas in Orgoglio e pregiudizio: “Non sono romantica, lo sai. Non lo sono mai stata. Voglio solo una casa confortevole, e considerando il carattere, le relazioni sociali e la posizione di Mr. Collins, sono convinta che le possibilità di essere felice con lui siano favorevoli quanto quelle della maggior parte delle persone che iniziano la loro vita matrimoniale”.
A questo punto del romanzo la voce onnisciente della narratrice si colloca a metà tra il commento acido e l’ironico: “La stupidità con la quale egli era stato favorito dalla natura metteva al riparo il suo corteggiamento da qualsiasi fascino che avrebbe fatto desiderare a una donna di vederlo durare a lungo, e a Miss Lucas, che l’aveva accettato solo per il puro e semplice desiderio di una sistemazione, non importava certo quanto in fretta fosse ottenuta quella sistemazione”.
Infine giunge amarissima la constatazione sulla condizione femminile dell’epoca:
“Certo, Mr. Collins non era né intelligente né piacevole; era una compagnia noiosa, e il suo affetto puramente immaginario. Ma comunque sarebbe stato un marito. Senza aspettarsi molto dagli uomini e dal matrimonio, sposarsi era sempre stato il suo obiettivo; era l’unica soluzione onorevole per una signorina istruita e di scarsi mezzi, e per quanto fosse incerta la felicità che se ne poteva trarre, era sicuramente il modo più piacevole per proteggersi dalla miseria. Quella protezione l’aveva ormai ottenuta, e a ventisette anni, senza mai essere stata bella, era consapevole della sua fortuna”.
Tuttavia la giovane Elisabeth di belle speranze, pur cercando di ammorbidire il proprio giudizio nel colloquio con l’amica, non può fare a meno di riflettere amaramente su quel matrimonio:
“Charlotte moglie di Mr. Collins era un quadro umiliante! E alla sofferenza di vedere un’amica abbassarsi e perdere la sua stima, si aggiungeva la penosa convinzione che sarebbe stato impossibile per quell’amica essere anche solo in parte felice nel destino che si era scelta”.
La contrapposizione tra amore romantico e matrimonio d’interesse è, dunque, uno dei temi ricorrenti nei romanzi di Jane Austen, ma rimane in una sfera irrisolta, con oscillazioni che fanno pendere il giudizio ora da una parte, ora dall’altra, sempre però con un atteggiamento che privilegia una visione realistica e poco propensa a passioni cieche. L’impetuoso “sentimento” di Marianne Dashwood in Ragione e sentimento si scontra con la realtà di un Willoughby nient’affatto disinteressato, e persino lei ha comunque una visione concreta del matrimonio, visto che, pressata dalla sorella, non può fare a meno di parlare di soldi:
“Eppure duemila l’anno è un’entrata molto modesta”, disse Marianne. “Una famiglia non può vivere bene con un’entrata più bassa. Sono certa di non essere esagerata nelle mie esigenze. Un appropriato numero di domestici, una carrozza forse due, e cavalli da caccia, non potrebbero essere mantenuti con meno.”
Anche in Mansfield Park la situazione matrimoniale della madre di Fanny Price, sposatasi per amore e contro il parere della famiglia, è descritta con crudo realismo:
“Una famiglia numerosa e che continuava a crescere, un marito non più abile al servizio attivo, ma non meno propenso alla compagnia e al bere, e un’entrata molto esigua per provvedere ai loro bisogni, la resero impaziente di riprendere i rapporti con quei parenti che aveva sacrificato con tanta indifferenza”
In Persuasione, tuttavia, il peso sembra oscillare verso l’amore romantico e disinteressato, come recita la frase più celebre del romanzo:
“In gioventù era stata costretta alla prudenza, da adulta aveva imparato ad amare con passione; la naturale conseguenza di un inizio innaturale”.
Anche in questo caso, però, le parole pronunciate sul finale da Anne Elliot in difesa del comportamento avuto di fronte alle pressioni di Lady Russell, stemperano un giudizio troppo netto: “Ma voglio dire che era giusto da parte mia sottomettermi a lei, e che, se avessi fatto altrimenti, avrei sofferto di più nel proseguire con il fidanzamento che nel rinunciarvi, perché ne avrebbe sofferto la mia coscienza. Ora come ora, per quanto sia concesso un sentimento simile alla natura umana, non ho nulla da rimproverarmi; e se non sbaglio, un forte senso del dovere non è certo una dote negativa da parte di una donna”.
Forse la frase più tranchant sul matrimonio si trova in Emma ed è quella pronunciata da Mr. Woodhouse padre della protagonista, che, refrattario a qualsiasi cambiamento e custode del focolare domestico, non vedeva motivo di augurarsi altri matrimoni dopo quello dell’amica Miss Taylor, pregando la figlia di non combinarne altri, visto che “sono cose insensate, e spezzano dolorosamente la cerchia familiare”.
Per Jane Austen, invece, fu una morte prematura a troncare quegli affetti che, nel restare nubile, aveva creduto di preservare.
Formazione tecnica, studi umanistici, lavoro sociale e, oggi, responsabile delle risorse umane di una Fondazione. Da oltre vent’anni professionalmente divisa tra numeri ed essere umani, parole e cifre, discipline artistiche e rendiconti. Ho collaborato con varie testate giornalistiche e faccio parte del consiglio di disciplina del CROAS. Operaincerta, dunque, ma stabile nei valori essenziali, primo su tutti, la famiglia. Scrivere, come leggere e viaggiare, sono passioni per condividere esperienze, impressioni e sogni.
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