Via De Grasperi, 20 - 97100 Ragusa +39 348 2941990 info@operaincerta.it

Perché il divorzio era una cosa seria (e pure l'amore)

Petula Brafa 14 settembre 2024


«Rappresenta per me un lavoro non indifferente, ma ... riesco a tenermi veramente al corrente di tutti i problemi e le crisi della nostra generazione, nel nostro paese, e questo mi è molto utile anche per il mio lavoro di scrittore». Così, in una lettera del 26 ottobre 1952, la scrittrice italo-cubana Alba de Céspedes (Roma, 1911 - Parigi, 1997) commentava l'impegno per il settimanale «Epoca» e le risposte ai lettori nella rubrica Dalla parte di lei (1952-58), intitolata come l'omonimo romanzo.
Da giornalista, de Céspedes - già autrice di successo dopo la pubblicazione dei romanzi Nessuno torna indietro (1938), Dalla parte di lei (1949) e Quaderno proibito (1952) - non aveva mai smesso di scrivere articoli di cultura e attualità sin dagli anni Trenta, collaborando con «Il Piccolo», «Il Mattino», «Il Tempo», «il Giornale d'Italia» e «Il Messaggero». In fuga da Roma durante la guerra, con lo pseudonimo di Clorinda aveva tenuto per Radio Bari la rubrica radiofonica antifascista «L'Italia combatte»; e nel 1944 aveva fondato «Mercurio» (1944-48), mensile di politica, arte e scienze, accogliendo prestigiose firme di intellettuali, artisti, saggisti, giornalisti e scrittori. In tal senso, quella con «Epoca» sarebbe stata la collaborazione più duratura sotto la direzione di Arnoldo Mondadori fino all'avvicendamento con Enzo Biagi, le cui scelte editoriali avrebbero destinato alla chiusura la rubrica di posta nel 1958 e, due anni dopo, anche Diario di una scrittrice (1958-60), pagina dedicata a temi d'attualità e ad affreschi sulla società contemporanea.
L'esperienza di vita, la dimensione autobiografica, lo sguardo sulla realtà - e quello di de Céspedes, figlia di una gentildonna romana e di un diplomatico cubano, è più che mai cosmopolita, nella geografia affettiva tra Roma, Parigi e Cuba - confluiscono nelle opere e si declinano in una letteratura senza tempo, testimonianza della «alterità» della donna, secondo una prospettiva antipatriarcale di rivendicazioni libertarie sociali, giuridiche ed economiche. Le sue protagoniste seguono un percorso di formazione al di fuori delle convenzioni ovattate di rosa, sostituendo all'immagine tradizionale di moglie e madre il ritratto di una donna disincantata e consapevole di sé, tracciato dalle emergenze reali (Nessuno torna indietro, Prima e dopo) o dagli esiti dell'autoanalisi raccontata (Dalla parte di lei, Quaderno proibito). I punti di contatto e gli snodi letterari tra vissuto e narrato sono tuttora indagati dalla critica, che negli ultimi anni, attraverso lo studio dell'archivio privato, della corrispondenza e dei diari, ha riportato l'attenzione sulla scrittrice, tanto da promuovere la ristampa delle opere (Alba de Céspedes. Romanzi, I Meridiani, Mondadori, 2022, che comprende l'incompiuto Con gran amor); e, più recentemente, delle raccolte di racconti L'anima degli altri (1935, ediz. Cliquot 2022) e Invito a pranzo (1955, ediz. Cliquot 2024), di cui avrebbe dovuto fare parte anche il singolo Prima e dopo (1955, ediz. Cliquot 2023).
Per questo, dinanzi all'editoriale «Per l'amore non c'è perdono» («Epoca» n. 471 del 10 ottobre 1959), dedicato al divorzio, alla denuncia del vuoto normativo in materia, alla sovrapposizione tra legge e religione, e allo stigma sociale contro i «pubblici peccatori», l'analisi di de Céspedes da un lato mostra di attingere alla conoscenza privata; dall'altro, sviluppa il teorema sentimentale delle relazioni umane, con una visione lucida e oggi tanto attuale da amplificare la distanza dalle divagazioni cibernetiche degli incontri nelle chat odierne. Era stata lei, del resto, ad avere scritto invano a Mussolini nel 1941 affinché le concedesse il divorzio, così da convolare a nozze con il compagno Franco Bounous: «Eccellenza, / (...) Il mio, per Voi, deve essere, probabilmente, uno dei mille casi (...) Ma per me è la vita. / Se mi poteste vedere nella mia anima vi trovereste la più cupa disperazione (...) / Aiutatemi. Non so dirvi altro. Io che faccio mestiere di parole non so trovarne che una: aiutatemi. Vi rimarrà la certezza di aver compiuto una grande opera di bene, di aver permesso a una nuova famiglia di formarsi in pace e serenità (...)». E invece, non solo quell'opera di bene era stata disattesa, ma ancora anni dopo la cronaca offriva altre occasioni per denunciare ai suoi lettori l'inverosimiglianza della situazione italiana.
Passeggiando per le vie di Roma nell'ottobre del 1959, l'autrice trae spunto dalla rimozione della scritta «Viva Sophia Loren e Carlo Ponti», notata fino al giorno prima, per tornare con la memoria al Festival del Cinema di Venezia del 1958, e alle stesse apparse sui muri delle chiese della laguna, per accogliere l'arrivo dell'attrice e del produttore, dopo il matrimonio per procura in Messico. In quell'edizione, premiando la sua interpretazione a fianco di Anthony Quinn in Orchidea Nera di Martin Ritt, la giuria aveva assegnato a Sophia Loren la «Coppa Volpi», ma l'onda di affetto più sincera era venuta dal pubblico, che in fondo al cuore si era dissociato dalla notizia dell'annullamento del primo matrimonio di lui e dalla condanna dei due peccatori.
L'episodio dunque presentava il corto circuito tra la fattispecie illecita, la disapprovazione moralista e l'indulgenza della società italiana per il diritto all'autoaffermazione di sé, anche attraverso le scelte sentimentali, sollevando per de Céspedes l'urgenza di disciplinare giuridicamente lo scioglimento del matrimonio ben in anticipo sugli sviluppi parlamentari, atteso che la legge per il divorzio sarà emanata solo nel 1970. Dalla lettura dell'editoriale emerge dunque che, oggi come nel 1959, l'evoluzione della società avanza a velocità diversa da quella del Legislatore, e che le conseguenze del ritardo ricadono in varia forma sulla collettività.
Già allora l'attenzione dell'autrice lamentava la condizione finanziaria quale limite alla separazione dei coniugi: così nel caso di dipendenza della moglie dal marito, e così per la sostenibilità economica del divorzio, cui i più ricchi potevano accedere ricorrendo all'annullamento del matrimonio all'estero, a differenza di quanti convivendo si esponevano all'umiliazione dei concittadini nelle piccole comunità, o addirittura dei figli, che, una volta cresciuti e informati,  «invece di incolpare la crudeltà delle leggi italiane, incolpa[va]no i genitori».
Malgrado la Chiesa li ritenesse «pubblici peccatori», l'aumento delle nuove coppie depotenziava la condanna religiosa agli occhi di laici e credenti, anche in ragione del riconoscimento di personaggi pubblici e dell'accoglienza da parte di istituzioni e autorità: così era accaduto alla stessa Sophia Loren, ospite alla Corte d'Inghilterra e ai ricevimenti offerti dalle rappresentanze italiane all'estero, «denunziata con Carlo Ponti alla magistratura italiana da cittadini troppo facilmente scandalizzabili o accessibili ad influssi» .
Il matrimonio riguardava solo i coniugi, secondo de Céspedes, ed era «inumano imporre loro una convivenza non desiderata o ...una gelida vita solitaria». L'onestà intellettuale le imponeva di dichiarare che «nei Paesi dove non c'è il divorzio, i matrimoni infelici si correggono con l'adulterio»; e che la religione cattolica condannava divorziati risposati, e parimenti uomini e donne che avessero intrapreso nuove relazioni affettive, per il peccato sessuale, quasi fosse stato l'unico perseguibile tra le violazioni ai Comandamenti. Per l'amore non c'è perdono, è il peccato della carne a non essere perdonato, osserva l'autrice, a fare scandalo, come il nome del divorziato «pubblico peccatore» sui bollettini parrocchiali.
Vicina ai cambiamenti della società in Francia, dove invece vigeva il divorzio, de Céspedes coglieva la diversa sensibilità religiosa nel Paese, «perché non sempre i sentimenti religiosi sono più forti dell'amore e non tutti gli uomini sono eroi», riportando il testo integrale dell'art. 75 della Pastorale dei Sacramenti del 1951, e mostrando la più diffusa apertura della comunità cattolica ai risposati, pur non implicando l'approvazione della loro condizione «irregolare».
L'intervista a un padre missionario che viveva a Parigi, infine, confermava l'opportunità di riesaminare la nozione di «peccatore pubblico», l'esclusione degli altri peccati dallo stigma contro il divorzio e la definizione di scandalo. Nella Francia del 1959 un cittadino su cinque era divorziato, e il contrasto tra ciò che la società non considerava più riprovevole e quello che ancora lo era per la Chiesa, innescava nuovi interrogativi nella comunità dei credenti; e anche per i sacerdoti l'interpretazione dei precetti canonici non poteva prescindere dall'accoglienza di quanti, tra i lettori del Diario di una scrittrice, nel perdono dell'amore ancora cercassero una conferma alla propria fede.

 

Riferimenti bibliografici:

Petula Brafa

Pubblicista, laurea in Lettere e tesi sulla scrittrice Alba De Cespedes, e romana dal primo amore per le sue pagine nelle vie del quartiere Prati, maturato nell'andirivieni tra Roma, Catania e un borgo di mare ragusano. Ho collaborato negli anni con giornali e blog, agenzie di servizi editoriali e riviste letterarie. Credo nella letteratura e nella conoscenza umanistica, nel potere della parola e delle parole.

Contatti

Via De Gasperi, 20
97100 Ragusa

info@operaincerta.it

+39 3482941990

I nostri link

© Operaincerta. All Rights Reserved. Designed by HTML Codex