Ho avuto sempre un rapporto controverso e difficile con il mezzo televisivo. Ricordo che quando ero andato a vivere da solo, avevo fatto installare nella mia nuova casa due televisori: uno piccolo nella camera da letto e un altro a schermo piatto, 40 pollici, nel salotto.
Avevo fatto anche l’abbonamento alla più importante televisione satellitare, per poter vedere film, programmi culturali e di approfondimento scientifico comodamente seduto nel salotto di casa o coricato a letto. Invece non avevo mai visto fiction e serie televisive (fatta eccezione per le prime serie de Il commissario Montalbano), o quei programmi “strappalacrime” e di intrattenimento molto in voga nei canali commerciali, e non solo.
Purtroppo quella scelta si era rivelata una “trappola”. Trascorrevo molte ore davanti al televisore, a guardare film fino a notte fonda. La mattina però, alle 6:30, la sveglia impietosa suonava per ricordarmi che dovevo alzarmi per andare a scuola.
Avevo quindi deciso di liberarmi da quella che era diventata una vera e propria dipendenza. Dapprima avevo tolto il televisore dalla camera da letto, illudendomi così di poter gestire meglio quel rapporto “malsano” con la TV. Ben presto mi ero reso conto di non aver risolto la situazione, anzi era peggiorata perché molte volte mi ero addormentato sul divano del salotto con il televisore acceso per tutta la notte.
Da lì la decisione drastica, netta, senza ripensamenti: dopo aver disdetto l’abbonamento alla TV satellitare, avevo regalato il televisore 40 pollici ad un mio fratello. Ormai da più di 15 anni vivo senza televisore a casa. E ci vivo bene!
Nel 2003, a settembre, quando ancora avevo il televisore a casa, avevo sentito che presto sarebbe iniziata nel più importante canale di una televisione commerciale, la nuova serie della trasmissione del sabato sera, campione di ascolti in quegli anni, C’è posta per te. Non avevo dato alcun peso a quella notizia perché non avevo mai visto quella trasmissione, pur sapendo di cosa trattasse.
Un mercoledì pomeriggio, mentre mi trovavo a casa per tenere una lezione di recupero di latino al figlio di un’amica, avevo sentito suonare alla porta ed ero andato ad aprire. Con grande sorpresa mi ero ritrovato davanti un postino, dietro di lui un operatore con la telecamera e una piccola folla di miei compaesani, visibilmente incuriositi da quello che stava accadendo.
Per istinto avevo chiuso subito la porta, per riaprirla dopo pochi secondi perché nel frattempo il postino aveva suonato di nuovo, rassicurandomi che non si trattava di uno scherzo e che era tutto vero!
Dopo aver risposto alle domande di rito da parte del postino, per accertare l’identità della persona “cercata” ed aver ricevuto la famosa busta con l’altrettanto famosa frase: “Signor Antonio c’è posta per te”, avevo fatto accomodare in casa un responsabile della produzione.
Questi mi aveva chiesto se immaginavo chi mi avesse cercato. Avevo risposto di non avere idea chi potesse essere. Quindi la proposta se ero disponibile ad andare a Roma per partecipare alla trasmissione. A quella proposta avevo risposto di sì, curioso di sapere ed incontrare il mittente della missiva. Alla fine, avevo firmato la liberatoria per la gestione dei diritti di immagine da parte della produzione, dandoci appuntamento al venerdì successivo negli studi televisivi di Cinecittà. Nei due giorni che mancavano al viaggio e alla registrazione della puntata del programma, nel mio piccolo paese non si parlava d’altro che della partecipazione del “professore” (così vengo chiamato dalla gente del mio paese) a C’è posta per te. La notizia era arrivata anche nel liceo dove tuttora insegno, ancora prima che potessi chiedere al preside i due giorni di permesso necessari per la trasferta romana.
A scuola ero stato letteralmente “bombardato” dalle domande dei colleghi e degli studenti, curiosi dei particolari sulla consegna della busta, ed ero rimasto piacevolmente compiaciuto dalla divertente richiesta del preside che voleva essere salutato dalla conduttrice del programma durante la trasmissione.
Venerdì mattina un’auto con conducente era venuta a prendermi a casa e mi aveva portato all’aeroporto di Catania, dove al banco check-in della compagnia di bandiera avevo trovato un biglietto aereo a mio nome. Arrivato a Fiumicino un’altra auto mi aveva accompagnato in un albergo della capitale, sulla via Nomentana, con una camera prenotata e il ristorante disponibile fino alla colazione del giorno dopo.
Alle 18:00 in punto ero a Cinecittà, negli studi dove viene registrata la trasmissione. Ero passato dalla sala “trucco e parrucco”, poi nello studio della trasmissione ancora vuoto per avere le indicazioni necessarie su come muoversi durante la presentazione del mio “caso”; infine ero stato portato in una stanza, dove ero rimasto da solo fino alle 20:00, ora d’inizio della registrazione della puntata.
Alle 20:00 una simpaticissima addetta di studio mi aveva accompagnato in una sala vicina allo studio dove vi erano altre persone che aspettavano come me di partecipare alla trasmissione. Mi era stato detto che sarei stato il quarto nella scaletta.
Dopo quasi due ore di attesa, che avevo ingannato con la lettura di un libro che, per fortuna, mi ero portato dietro, era arrivato il mio turno! Prima di entrare nello studio, mi era stata messa una cuffia che trasmetteva ad altissimo volume la canzone Jump dei Van Halen e accompagnato in una specie di piccolo tunnel dove avevo ritrovato il postino che mi aveva consegnato la busta.
Poco dopo avrei capito il motivo della cuffia con la musica “sparata a palla”: per non sentire le ultime battute della presentazione che la conduttrice stava facendo su di me.
Ad un certo punto un addetto di studio mi aveva tolto da dietro la cuffia e avevo sentito la voce della conduttrice dire al postino: “Fabrizio, il professore Antonio ha accettato l’invito?” E il postino risponderle: “Sì, M., il professore Antonio ha accettato l’invito ed è qui con noi.”
Ero entrato in studio, accompagnato da un fragoroso applauso e accolto dal saluto e dalla stretta di mano di M. che indossava un attillatissimo tubino bianco e nero. Mi aveva fatto accomodare sul pouf di fronte alla grande busta chiusa e aveva iniziato la serie rituale di domande, alle quali avevo risposto, dicendo di essere sereno ma curioso allo stesso tempo, perché non mi aspettavo una situazione “scomoda” o preoccupante, non avendo particolari “scheletri nell’armadio” da nascondere.
Alla fine M. aveva aperto la busta per svelare chi mi aveva mandato a chiamare. Un po’ sorpreso, mi ero ritrovato dall’altra parte della busta gran parte della mia ex classe 5^ B, diplomatasi l’anno precedente. Dopo interminabili secondi di silenzio, avevo permesso alle ragazze e ai due ragazzi del gruppo di poter parlare per conoscere il perché mi avevano mandato a chiamare.
Gli ex studenti avevano iniziato ad elencare alcune caratteristiche del loro prof di Lettere: simpatico, giovanile, ironico, sempre disponibile se c’era da partecipare alle loro feste di compleanno, ad una serata in pizzeria o in discoteca.
Ma, allo stesso tempo, autorevole, esigente se c’erano dei compiti in classe da svolgere o delle interrogazioni fissate nei giorni che precedevano le vacanze di Natale o Pasqua, o durante i giorni del Carnevale.
E se c’era da stimolare i suoi studenti e richiamarli ai loro impegni, non aveva fatto mancare anche dei brutti voti. Saverio, il classico studente scavezzacollo (adesso è un ufficiale della Polizia di Stato), gli aveva rinfacciato simpaticamente l’1 preso in un compito di latino!
Quindi mi avevano chiamato a C’è posta per te per chiedermi il conto: farmi pagare pegno per il trattamento avuto negli anni del liceo. O meglio, i pegni, perché erano quattro i pegni che avrei dovuto pagare: togliere il pizzetto e il baffetto che portavo da diversi anni, cercare e prendere una moneta di 1 euro in una scatola piena di vermi, fare la ceretta alle gambe o al petto, infine, prendere una schifosissima blatta bianca da una boccia di vetro piena di altre blatte.
A quelle richieste avevo subito manifestato a M. le mie perplessità sull’assolvimento di tutti i pegni, soprattutto quello di togliere il pizzetto. M., che durante la presentazione dei pegni aveva avuto sempre un sorriso sornione, mi aveva risposto che, se non avessi assolto a tutti i pegni, non avrei saputo quale sorpresa i miei ex studenti mi avevano preparato.
Così, all’improvviso, vedo materializzarsi dietro la busta la stupenda figura di Francesca Neri, la mia attrice italiana preferita, icona di bellezza e di fascino! A quella vista avevo subito detto a M. che avrei pagato i quattro pegni ed anche altri, pur di parlare con la mia attrice del cuore e di poter ballare un “lento” con lei.
Francesca Neri mi aveva salutato dicendomi che le ragazze e i ragazzi della classe le avevano parlato molto bene di me, e che anche lei avrebbe voluto avere al liceo un prof come me. Inoltre, le avevano riferito quello che avevo detto di lei durante alcune mie lezioni: cose che l’avevano compiaciuta e che l’avevano fatta anche arrossire.
M., incuriosita, mi aveva chiesto cosa trovassi di così particolare nella bellezza della giovane attrice italiana. Molto semplice: nel parlare ai miei i studenti della centralità della figura femminile nella poesia e nella letteratura di tutti i tempi, nel presentare personaggi come Beatrice per Dante, Laura per Petrarca, Lesbia per Catullo, per me il riferimento attuale di quel canone di bellezza era (e rimane) proprio Francesca Neri!
Per andare corto, mi ero sottoposto al pagamento dei quattro pegni (di cui il più fastidioso era stato la ceretta nella zona dei capezzoli), M. aveva aperto la busta e così avevo potuto abbracciare l’attrice e ballare con lei un romanticissimo lento sulle note di Against all odds di Phil Collins, attorniati dai miei ex studenti.
Dopo la trasmissione la serata era continuata allegramente in un ristorante romano dove con la mia ex classe avevamo ricordato i bei momenti trascorsi nei cinque anni vissuti insieme al liceo, avevamo parlato dei progetti e dei sogni che avrebbero portato avanti e avrebbero cercato di realizzare nel loro prossimo futuro.
Ci eravamo lasciati per rientrare nei rispettivi alberghi. Prima di prendere sonno, mi era venuta in mente un’affermazione di Andy Wharol, iniziatore e figura centrale del movimento artistico della Pop Art: “Nel futuro ognuno sarà famoso per 15 minuti”. Io e i miei ex studenti avevamo vissuto quei 15 minuti di notorietà!
Ero ritornato un’altra volta in televisione, o meglio, nel 2011, avevo fatto partecipare, la mia 5^ C Bilinguismo, alla trasmissione televisiva di Rai3, Per un pugno di libri. La classe era stata chiamata per gareggiare contro una corrispettiva classe del Liceo Scientifico di Cascia.
Arrivati a Roma in aereo, eravamo stati accompagnati con un pullman negli studi della Rai dove si registrava la trasmissione. Io con la collega del liceo umbro seguivamo la trasmissione da una saletta adiacente allo studio, mentre le due classi si confrontavano sul romanzo dello scrittore ungherese Arthur Koestler, Buio a mezzogiorno.
La gara era stata avvincente e dall’esito incerto sino al gioco finale che aveva decretato la vittoria della mia classe e la conquista di un centinaio di libri che sarebbero stati destinati alla biblioteca del liceo.
Anche quella volta l’avventura si era conclusa con una passeggiata serale per il centro di Roma e con la degustazione di un buonissimo panino con la porchetta mangiato ai piedi del Colosseo, prima di rientrare con l’ultimo volo in Sicilia.
Vive a Licodia Eubea, piccolo centro della provincia catanese, nel comprensorio dei Monti Iblei. Da 35 anni lavora nel mondo della scuola come docente di materie umanistiche nei licei. Scopre la scrittura durante gli anni universitari, come naturale espressione del proprio mondo interiore e della relazione con l’Altro, alternando la scrittura poetica a quella dei racconti. Ha curato, inoltre, la prefazione e la presentazione di numerosi libri e la realizzazione di numerose mostre.
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