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Svuotare la casa dei genitori

Sara Sigona 14 aprile 2024


Svuotare la casa dei propri genitori è un compito a cui ogni figlio è chiamato.
Alcuni rinunciano in partenza ad ottemperarlo, preferendo conservare immutata la casa, altri delegano a familiari, ad amici o a estranei quest’impresa così difficile e complessa. È in ogni caso un’esperienza che segna profondamente, perché riavvolge il nastro registrato durante un’intera esistenza offrendo all’ascolto melodie ancestrali superate o quasi del tutto dimenticate.
Così aprire l’armadio della propria camera e scorgere l’adesivo scollato della Valentina di Crepax o ritrovare il volantino a favore dei giovani studenti, scesi in piazza Tienanmen, contro il regime cinese è un salto nel tempo per ritornare adolescenti o per ricontattare una passione civica e politica mai sopita.
È tra pile di libri, ritagli di giornali, collezioni di quadri e mille altri oggetti, mai pensati di essere eliminati, che svanisce ogni forma di lucidità, soggiogati dalle nostalgiche visioni che ripercorrono età e fasi esistenziali diverse.
Svuotare la casa dove si è nati implica il congedarsi da una vita passata, dal tempo dei sogni coltivati dai genitori tra occupazioni e passioni personali e di coppia. Per queste ragioni la casa, nonostante rimanga disabitata, continua ad essere illuminata da energie vivide che rendono ancora viva la tristezza ed acuta l’assenza. 
Nella casa di famiglia ci si confronta con il senso di sradicamento, seguito alla perdita di entrambi i genitori.  È proprio questo confronto che diventa una necessità per continuare a vedere nell’oscurità e nell’apparente vuoto. Ogni oggetto riflette un ricordo, la luce di ogni stanza rievoca attimi senza tempo, il silenzio sospeso tra odori mai svaniti rievoca voci, volti, gesti, parole quasi a sentire ancora viva la loro presenza in casa. In soffitta il ritrovamento di foto o di carteggi amorosi ci accosta ad un’intimità fino a quel momento sconosciuta e a una conoscenza di pezzi mancanti e di narrazioni inedite.  Eppure quella vita ha cessato di esistere da tempo e permane solo nel ricordo e in ogni pensiero che rende consapevole ogni figlio che quanto vissuto ha contribuito a farlo diventare la persona che è.
Bachelard scrive che la casa è il luogo potente di integrazione per i pensieri, i ricordi e i sogni dell’uomo. È un ponte tra passato, presente e futuro. Nonostante sia disabitata, reclama un nuovo corso, spesso manifestando i segni cedevoli del tempo e dell’incuria. Entrare in essa e attraversare la malinconia e la perdita, fa nascere un legame nuovo con la realtà. Così come scegliendo cosa tenere e cosa lasciare andare trasforma l’assenza in una presenza amica, piena di tenerezza e di rievocazioni rincuoranti. In questo senso dare piuttosto che buttare rimette in circolo energie, dona nuova vita ad oggetti e mobili, scongiura il timore che tutto sia perduto.
Più semplicemente occuparsi di casa dei genitori, svuotarla per chiuderla o per riaprirla è un modo per prendersi cura della propria storia e per ricongiungersi in modo fertile a sé. Solo
allora quell’insieme di ricordi della vita trascorsa diviene una compagnia, segreta e meditativa, capace di generare nuovi e creativi percorsi di vita.

La foto è dell'autrice

Sara Sigona

Giornalista pubblicista e insegnante, scrivo con la luce e con l’inchiostro sin da bambina. Fonte di ispirazione il viaggio lungo paesi del mondo e paesaggi esistenziali della contemporaneità.

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