Tra quote rosa silurate e false indignazioni azzurre, naufraga l’opportunità di un reale cambiamento del sistema politico italiano. “Quote rosa”…e già la mente vola a sigle di tutela ambientale: W.W.F., LIPU ed altre ancora. Una specie protetta e per fortuna non ancora in via di estinzione. È così che isitintivamente noi donne ci sentiamo quando per rivendicare i nostri diritti di rappresentanza nei diversi contesti socio-politici, si deve fare ricorso alla ‘imposizione’ di una legge. Eppure l’articolo 51 della Costituzione aveva dato chiare indicazioni in merito: «Art. 51. - Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. Nella prassi così non è stato, tanto da dover modificare il suddetto articolo costituzionale con un aggiunta: A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunita' tra donne e uomini., approvata solo di recente nel maggio del 2003. Nella lettura del Disegno di Legge, nella premessa, si evidenzia…”i dati statistici afferenti alle ultime consultazioni elettorali hanno confermato l’esistenza di una situazione di sottorappresentanza delle donne nelle istituzioni politiche che reclama specifiche misure di intervento, poiché testimonia un scollamento fra politica e società che rischia di mettere in crisi gli schemi della democrazia rappresentativa… da un lato si riscontra una presenza maggioritaria delle donne nel corpo elettorale, un loro elevato tasso di scolarizzazione, un alto indice di partecipazione alla vita professionale e sociale del Paese, dall’altro, non corrisponde un’adeguata rappresentanza delle stesse nell’ambito delle assemblee elettive. Una tale riflessione da parte del legislatore non fa altro che confermare lo stato di inadeguatezza che le donne hanno vissuto sulla loro pelle, trovandosi costantemente a dover replicare la giustezza della loro presenza, in una continua schermaglia con il mondo maschile che continua a rivolgersi a loro come ad una differenza in difetto e non come l’altra parte di un sistema democratico politico economico e sociale a cui tutti di diritto apparteniamo. Il ricorso ad un decreto legge, che di fatto interviene sulla tutela di rappresentanza politica da parte delle donne, sancisce due realtà evidenti e non confutabili. La prima riguarda la constatazione che nella nostra società non è ancora maturata l’idea o meglio una mentalità rivolta al riconoscimento delle differenze come valore che definisce dignità sia all’individuo che ai diversi frammenti o sfumature che formano la collettività stessa. La seconda che il nostro sistema politico presenta in effetti ampie separazioni con la realtà, tanto da risultare inefficace ed obsoleto anche rispetto a realtà internazionali considerate fino ad ‘ieri’ come democrazie immature o esordienti. Ad avvalorare questa seconda riflessione bastano i dati emersi in un articolo di Ilaria Storti che definisce il nostro sistema parlamentare fermo al paleolitico in termini di rappresentanza femminile… ‘Recentemente il partito regnante in Etiopia (dove le ultime elezioni si sono svolte tra le sparatorie ai seggi) ha imposto una quota del 30% di candidate donne alle votazioni nazionali. La bassa rappresentanza femminile alle Camere (7%) è stata giudicata una disgrazia nazionale. Al Parlamento europeo, il nostro Paese ha raggiunto dopo l’ultima competizione elettorale il 19% di presenza femminile (peggio di noi solo la Polonia con il 13% e Cipro e Malta con nessuna donna), contro una media europea del 30%’....E ancora…‘Nel Governo la presenza femminile è anche minore, il 10%, contro il 47% della Spagna, il 31 dell’Olanda, il 20 dell'Austria. Alla Camera bassa: Italia 12%, Olanda 38, Spagna 36, Austria 34. Alla Camera alta: Italia 8%, Olanda 32, Spagna 25, Austria 29. Nei partiti: Italia 15%, Spagna 32, Olanda 24, Austria 25’. L’iter della legge sulle cosiddette ‘quote rosa’ è risaputo: con 326 sì, viene approvata la legge sulla riforma elettorale: in cui vengono stabilite delle soglie di sbarramento sia per le coalizioni che per i partiti per poter eleggere deputati e senatori, ma diverse nei due rami del Parlamento; l’introduzione del premio di maggioranza e la struttura della scheda di votazione; viene invece bocciato l’emendamento sulla quota del 25% di donne nelle liste elettorali. Tra le lacrime della Ministra Prestigiacomo e le indignazioni generali dei rappresentati parlamentari (compresi quelli che avevano votato contro) il Parlamento italiano ha segnato ancora una volta il passo, consolidando la sua posizione di fanalino di coda nella Comunità Europea e dell’81 posto a livello mondiale per quanto riguarda la rappresentanza femminile parlamentare. Personalmente, come persona e come donna, all’indignazione iniziale si è sovrapposto la nausea di vedere ancora una volta l’incapacità, da parte del potere politico maschile, di cogliere l’opportunità del cambiamento. Se la questione della rappresentanza femminile in politica non deve essere legata ad una rivendicazione “femminista”, ma al concetto che le pari opportunità devono essere concesse a tutti all’interno di un sistema democratico, il siluramento delle quote rosa evidenzia ancora una volta come il sistema politico sia rigidamente in mano ad una lobby potente e ben consolidata, che sembra avere paura di lasciare che nella gestione politica (che significa soprattutto affari, soldi) possano introdursi altri elementi con cui rimettersi in gioco. Basta pensare a come nei partiti e nei sindacati la sottorappresentanza delle donne è evidente e constatabile. Come donna mi sento profondamente indignata dal costante ricorso a manovre e provvedimenti legislativi per poter ottenere diritti già spettanti, ma d’altra parte mi rendo conto che cambiare una mentalità “maschile” così ostinatamente chiusa demagogica risulta difficile. Allora, per non essere costantemente estromesse, sento utile, necessario, sano e giusto ricorrere a questo escamotage e rivendicare, con la forza delle Leggi, diritti che altrimenti verrebbero costantemente disconfermati. D’altra parte in altri paesi europei le quote rose sono già in atto da tempo e nell’ultima consultazione europea l’Italia ha dovuto adeguarsi alle indicazione europee in merito inserendo una quota femminile nelle candidature. Se una parte del mondo continua a sollazzarsi nel delirio del proprio opportunismo, l’altra metà del cielo continua con la tenacia che la contraddistingue, allenata da secoli di soprusi e silenzi, la sua lotta per una visibilità e rappresentatività legittime ed equanimi. Informazioni Utili BERLINO - La conservatrice Angela Merkel é diventatala quinta donna capo di governo nel mondo. E' il primo cancelliere donna nella storia della Germania e il solo premier donna in carica in Europa. SONO ATTUALMENTE GUIDATI DA DONNE I GOVERNI DI QUATTRO PAESI: - NUOVA ZELANDA: Helen Clark succede nel dicembre 1999 alla guida del governo a Jenny Shipley, prima donna premier di questo paese. - BANGLADESH: Begum Khaled Zia, vedova ed erede del presidente Ziaur Rahman, assassinato nel 1981, dirige di nuovo questo paese a maggioranza musulmana dall'ottobre 2001 dopo aver vinto le elezioni legislative. Era stata nel marzo 1991 la prima donna nominata capo del governo in Bangladesh (1991-1996). - SAO TOME E PRINCIPE: Maria do Carmo Silveira, governatore della Banca centrale è stata nominata nel giugno 2005 primo ministro di questo arcipelago lusofono del Golfo di Guinea. - MOZAMBICO: Luisa Diogo è stata nominata nel febbraio 2004 primo ministro. E' la prima donna a ricoprire questa carica in questo paese. DONNE ATTUALMENTE CAPO DI STATO: Cinque donne al mondo sono state elette democraticamente per occupare il ruolo di capo dello stato: - FILIPPINE: Gloria Arroyo guida il paese dal 2001. - FINLANDIA: Tarja Halonen è stata eletta nel febbraio 2000 presidente della repubblica, diventando la prima donna capo di stato nel paese. - IRLANDA: Mary McAleese è stata eletta una prima volta nell'ottobre 1997 presidente della repubblica d'Irlanda, ed è stata rieletta il primo ottobre 2004. - LETTONIA: Vaira Vike-Freiberga, prima donna eletta capo di stato nell'Europa dell'Est, ha assunto questa funzione nel luglio 1999. - LIBERIA: Ellen Johnson Sirleaf ha vinto il secondo turno delle elezioni presidenziali lo scorso 8 novembre con il 59,4% dei voti, ma potrà essere proclamata capo di stato solo dopo che saranno stati esaminati i ricorsi presentati dal suo avversario George Weah (40,6%). Diventerà anche la prima donna eletta a capo di stato di uno stato africano. - CILE: . Michelle Bachelet, prima ‘presidenta’ cilena, che si insedierà l’11 marzo - LA SVEZIA vanta la percentuale più alta di Ministre, e nel 1999 era l’unico paese al mondo con un numero maggiore di Ministre donne rispetto ai Ministri uomini. Dopo le elezioni del 1994, in Svezia le donne ricoprivano il 52 per cento degli incarichi ministeriali. Tale percentuale è scesa sotto al 50 per cento nel 1998, per poi raggiungere nuovamente i livelli più alti di rappresentanza presenza femminile nel mondo, il 55 per cento, nel 1999. La prima donna Prima Ministra della storia è entrata in carica nel 1960 nello Sri Lanka. A partire da allora, la carica di Primo Ministro è stata rivestita da una donna in 22 Stati diversi - quattro volte nello Sri Lanka, tre volte in Norvegia, e due volte in Bangladesh, India e Pakistan. (DATI FORNITI DALL’ANSA)
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