"C'è solo un modo per spuntare le armi degli studiosi revisionisti. Scrivere libri migliori dei loro, dimostrare con maggiore ragione di loro il proprio assunto. Altrimenti di Irving, etichettato terroristicamente dai colleghi e penalizzato dalle corti di giustizia britanniche, si rischia di fare a torto o a ragione una vittima: e c'è sempre qualcuno disposto a simpatizzare con le vittime. Gli studiosi come Irving vanno ascoltati, scientificamente controllati, intellettualmente contestati. [...] " Così lo storico Franco Cardini cinque anni fa, in margine a una sconfitta in tribunale già subita dallo stesso Irving. Il tribunale di Londra aveva riconosciuto la fondatezza delle accuse rivolte a Irving, declassando il riduzionismo/negazionismo dal novero delle teorie storiografiche che si confrontano e scontrano liberamente nel campo della ricerca scientifica, a quello più modesto, ma non meno pericoloso, delle controversie ideologiche e politiche. David Irving Con la condanna di Irving, se ne fa una vittima? C'è già chi simpatizza con questo storico-ideologo? Forse sì. Ma forse il giuridically correct - applicato per sanzionare uno storico a quanto pare irriducibile a letture univoche - non è la soluzione del problema. Il vero problema con cui misurarsi (soprattutto per gli storici, cfr. sopra Cardini), mi sembra piuttosto la decostruzione delle prassi retoriche che il negazionismo adotta per produrre consenso ideologico. Su come sia possibile negare l'evidenza documentata della Shoah s'interroga il filosofo Massimo Donà, convinto che una società in cui qualsiasi negazione della verità fosse messa a tacere dall'affermarsi della verità stessa, in quanto autoevidente e inconfutabile di per sè, non sarebbe in ultima analisi diversa da quell'universo concentrazionario i cui effetti sono sciaguratamente negati da storici come David Irving. Il caso recente ci consente di porre una domanda: chi si riconosca nell'antifascismo (di fronte, in casa nostra, al disegno revisionistico di legge - appena accantonato - sui reduci di Salò), potrà dirsi soddisfatto della sentenza sul negazionista inglese? Abbiamo forti dubbi se rispondere di sì. Se la negazione della verità storica (da destra, nel caso in questione) possa (debba) essere messa a tacere con l'applicazione d'una legge. La sanzione penale sulle opinioni sembra incrinare la simmetria oppositiva destra/sinistra. Da entrambi i lati che ospitano sistemi di valori opponibili tra loro, sembra rendersi necessaria piuttosto una difesa convinta della libertà d'espressione in quanto valore incondizionato. Larga parte dell'opinione pubblica potrà (giustamente) giudicare scandalosa - restando in casa nostra - la volgare provocazione dell'ex ministro Calderoli nei confronti dell'Islam, quindi giusta un'azione giudiziaria nei suoi confronti, ma "siamo sicuri che, una volta imboccata questa via, questa stessa opinione pubblica o un'altra diversamente composta non troverebbe altrettanto giusto punire, ad esempio, uno studioso il quale conducesse una critica distruttiva delle religioni con argomenti giudicati offensivi per la coscienza dei credenti, e, in quanto blasfema, censurabile e perseguibile dalla legge? Stiamo attenti: - ammonisce lo storico Massimo Salvadori nel suo "Irving, Calderoli e il libero pensiero", la Repubblica 23/2/06 - la minaccia che non solo gli Stati autoritari ma anche gli Stati democratici recidano il legame con le libertà politiche e civili è sempre incombente." Non dovrebbero, destra e sinistra, fare attenzione a garantirsi reciprocamente il dialogo, nell'esercizio libero della negazione, anche la più radicale?
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