Aprile 2006

VIAGGIO IN sicilia

Il racconto di un viaggio in Sicilia fatto da un viaggiatore francese, tra cliché e paranoia.


Philippe Roland

Il mio solo ed unico soggiorno in Sicilia risale all'estate 1996. L'implacabile opera del tempo sulla memoria mi lascia oggi solo i ricordi più marcanti. Potrebbero essere i paesaggi aridi, il caldo asfissiante, i campi di olivi, il mare caldo e blu o il mostruoso e sonnecchiante Etna. Potrebbero essere gli uomini con i volti segnati e camicie bianche o le donne vestite di nero ed arcuate dopo una vita di lavoro nei campi o nei lavatoi. Ma in realtà tutto ciò non rappresenta i ricordi del viaggio, quanto, devo confessarlo, le attese ed i cliché con i quali arrivavo nell'isola. Il caldo e le terre bruciate dal sole furono all'appuntamento, ma il mare non era così blu, e le spiagge siciliane erano zeppe di turisti come i peggiori luoghi della Costa Azzurra. L'Etna, io ebbi modo di vederlo dal finestrino dell'auto, lungo la strada che conduceva alla nostra destinazione finale. L’età media della popolazione era molto meno elevata di quella immaginata e l’abbigliamento era ben più colorato. I cliché hanno vita dura se rapportati alla realtà, approfittiamone per ricordare che questo ci deve spingere a viaggiare sempre di più... La mia fantasia non aveva certamente previsto tutto e le sorprese furono numerose. Così, gli usi automobilistici e la relatività della precedenza a destra agli incroci in città, spesso sostituita dalla precedenza al clacson più forte o alla sfrontatezza. Constatavo anche, stupendomi, il frequente uso di strade secondarie a due corsie come autostrade a quattro corsie! Arrivarono pure gli incantevoli giardini di agrumi, di fico e di mandorle (cambiamento radicale rispetto ai meli della mia infanzia!). O anche i pittoreschi mercati in cui tutti gli acquisti si possono mercanteggiare a colpi di "quanto costa?" Citiamo anche le lunghe passeggiata della sera con il loro incessante andirivieni lungo le vie principali dei paesi o i caffé densi e gustosi a 300 lire, da bere in un solo sorso. Ne tralascio e ne dimentico ma a distanza di dieci anni sono questi i ricordi che sgorgano spontaneamente dalla mia memoria. Può anche essere che li mescoli con quelli del passaggio in Campania dello stesso anno. Fui anche colpito dalla carenza d'acqua e dalla presa di coscienza che poteva trattarsi di un bene molto prezioso. Spesso dal rubinetto non colava che un filo d’acqua ed esistevano sistemi di recupero delle acque piovane. A volte bisognava anche andarla a prendere alla fonte. Infine, la reputazione di essere molto accoglienti, dei nostri ospiti, non fu smentita. Il siciliano è molto accogliente, quasi troppo, preoccupato per il benessere dei suoi ospiti, a scapito talvolta della sua intimità. Non sfuggimmo neanche agli addii teatrali e punteggiati de calde lacrime. Ma è possibile che questo fenomeno sia ristretto solo ad alcune famiglie? In effetti, in fin dei conti, l'avvenimento più grande di quel soggiorno fu probabilmente l'incontro che credemmo di fare col simbolo più terribile della Sicilia, sto parlando della Mafia! Incontro probabilmente immaginario e contrassegnato del marchio di un attacco di paranoia collettiva che colpì ad Agrigento il piccolo gruppo di tre persone di cui facevo parte. Tuttavia è questa storia che resterà per sempre incisa nelle nostre memorie. Questo pseudo incontro si materializzò quando un pomeriggio facemmo conoscenza con un uomo a cui accordammo velocemente i tratti del perfetto membro della piovra. Aveva un lavoro apparentemente fittizio di venditore di frutta, dei privilegi (non pagava nessuna delle sue consumazioni), un evidente statuto di uomo conosciuto e rispettato da tutti. Ci poneva anche molte domande, talvolta losche, sulle nostre vite o sulle caratteristiche della nostra automobile. Questo non toglieva niente al suo lato simpatico e quando c'invitò a mangiare al ristorante noi accettammo di buon cuore. Ma perché diavolo c'invitò in un ristorante localizzato nei sobborghi oscuri della città, vicino ad una zona industriale degna del migliore romanzo giallo? Perché diavolo quando arrivammo, non trovammo che saracinesche abbassate e nessuna traccia di ristorante aperto? Perché diavolo l'uomo, seduto dal lato del passeggero, perse allora la sua serenità e la sua giovialità, cosa che ravvivò le nostre paure e scatenò un panico al quale cedemmo quindi di cuore? "Parti e accelera!!" mi urlò la mia amica. Cosa che feci di scatto, ed il motore prese allora tanti giri quanto i nostri cuori. Quanto al terzo membro del gruppo, lui teneva saldamente il manico il suo coltellino piegato nella tasca. “Porco D.! Porco D.!!” e altre bestemmie dello stesso stile, gridò diverse volte l’uomo. Stranamente, non chiedemmo alcuna spiegazione supplementare su questo episodio rocambolesco, neanche l'uomo d'altronde, poiché riflettendo, il nostro improvviso panico era in effetti sorprendente. Andammo, come se non fosse successo niente, a mangiare con lui in una zona della città più rassicurante. Fin dall'indomani facemmo il possibile per non incrociare più la sua strada evitando accuratamente la sua zona di predilezione. E la Mafia in tutto questo, mi direte voi? Visto che poteva trattarsi, ve lo concedo, semplicemente di banale criminalità. Così questa storia aveva avuto fino a quel punto due momenti: il primo era stato un incontro affascinante, il secondo aveva visto quell’uomo diventare un potenziale malfattore, un brigante e, perché no, un assassino di turisti. Il terzo momento fu, infine, l'apparizione dell'ombra dell'Organizzazione! È probabilmente in quel momento che la nostra paranoia si è manifestata veramente. Interpretavamo oramai qualunque segno, qualunque dettaglio come una prova che stavamo diventando complici di un attentato. In effetti, eravamo persuasi adesso che quell’uomo fosse in realtà un Padrino e che i suoi sicari avevano approfittato della nostra cena con lui per installare una bomba nella nostra automobile. Una bomba che sarebbe certamente esplosa al nostro passaggio davanti al tribunale, saldamente sorvegliato a quell’epoca da numerosi carabinieri ben armati. Oppure davanti ad una casa dove, avevamo dedotto, abitava un magistrato minacciato per il semplice fatto di essere sorvegliata giorno e notte da due uomini armati. I funesti disegni dell'organizzazione non ci facevano dubitare, eravamo destinati a morire come martiri e un funerale di stato ci aspettava, senza parlare delle tensioni diplomatiche che ne sarebbero seguite. Sudavamo freddo ad ogni nuovo passaggio davanti a questi edifici durante il resto del nostro breve soggiorno in città. L'espressione “stringere le chiappe” acquistava allora tutta la sua cruda realtà, tanto temevamo l’esplosione. Ma non potevamo certo andare a confidarci con le autorità. La dignità teme il ridicolo. Facemmo coraggiosamente fronte. Tutti sappiamo che il mese di agosto 1996 non fu segnato da un terribile attentato ad Agrigento, e che quindi questo non costò la vita a tre infelici turisti francesi. Avevamo sventato i piani di un Padrino. O avevamo più sicuramente ceduto alla nostra immaginazione traboccante, nutrita, è vero, per tanti anni, con forti dosi di fatti di cronaca e di film insanguinati che hanno generosamente dato una spaventosa reputazione alla bella Sicilia.