Maggio 2006

LA LINGUA DEL CALCIO

Breve analisi del linguaggio calcistico con sorpresa


Gianni Giampiccolo

Il giornalista sportivo spesso si presenta come una cosa a parte rispetto al giornalista tout court, come se fosse su un altro livello, una specie di critico d'arte dello sport, una razza di osservatori speciali, che non devono scoprire ma descrivere i fatti dello sport; un mestiere quello di giornalista sportivo che sembra lontanissimo dal classico cronista di nera, che infatti spesso lo giudica come uno di serie B, all'acqua di rose. Per fortuna a mettere tutti d'accordo è stato un lumbard DOC: Gianni Brera. Brera è riuscito a raccontare lo sport portando la sua scrittura ad uno standard letterario, riuscendo a mescolare l'italiano forbito con il dialetto del nord, in uno stile obliquo, capace di raccontare non solo il grande campione, ma tutto il mondo che lo circonda. Brera inventa parole nuove per raccontare il calcio e il ciclismo, la sua cronaca diventa subito storia e ce lo immaginiamo fumare la sua famosa pipa mentre scrive gli articoli, come una specie di Maigret della Bovisa, sornione e ironico. Brera purtroppo ci ha lasciato, ma è rimasto un erede, Gianni Mura, che dalle pagine di Repubblica, continua sul solco di Brera, a raccontare lo sport con uno stile inconfondibile, un italiano scarno e puntuale, che si accende quando durante le tappe del Tour de France, racconta il clima e le tradizioni delle ragioni francesi che la gara attraversa. Mura è un affabulatore, uno dei primo adepti dello Slow Food di Carlo Petrini e la sua scrittura è speziata con il lardo di colonnata e colorata di rosso del vino delle Langhe. Proprio contro la diversità del giornalista sportivo si espresse negli anni settanta Pasolini, dai suoi scritti corsari. Anche il grande intellettuale, da buon italiano, non riuscì ad esimersi dal parlare di calcio. In un articolo del “Giorno” del 3 gennaio 1971, intitolato “Il calcio è un linguaggio con i suoi poeti e prosatori”, attacca la pretesa dei giornalisti sportivi di “accampare pretese un po' superbe”, ma mette soprattutto l'indice sul calcio come un vero e proprio linguaggio, con un suo sistema di segni non verbale, come può essere quello della pittura o della moda, dove l'unità minima della lingua calcio è “un uomo che usa i piedi per calciare un pallone” (podema). I podemi sono ventidue (come i fonemi) e le “parole calcistiche” sono infinite, come sono infinite le possibilità di combinazione dei podemi; mentre la sintassi si esprime nella partita, che è un vero e proprio discorso drammatico. Pasolini poi nell'articolo si diverte a giocare con il linguaggio e individua dei sottocodici, in particolare un linguaggio fondamentalmente prosastico e un altro poetico, non come distinzione di valore, ma solamente tecnica. Così Pasolini individua in Corso un giocatore che gioca un calcio in poesia (oggi Zidane) mentre Bulgarelli gioca un calcio in prosa (oggi Gattuso); e ancora Rivera gioca un calcio in prosa, ma una prosa poetica, da “elzeviro”; Mazzola è più poeta di Rivera: ogni tanto interrompe la prosa e inventa lì per lì due versi folgoranti: come la Letteratura italiana, che Pasolini definisce letteratura degli “elzeviri”, eleganti ed estetizzanti. La poesia del Calcio brasiliano Il poeta continua a divertirsi nell'articolo, facendo un parallelo tra la letteratura di un paese e il suo tipo di calcio: così il calcio brasiliano è un calcio poetico, basato sul dribbling, mentre quello italiano è un calcio in prosa, basato sul catenaccio e le triangolazioni: l'articolo uscì nel 1971 e Pasolini ricorda la sconfitta dell'Italia ad opera del Brasile, come la vittoria del calcio poetico contro quello in prosa. Il Calcio italiano: prosa pura L'articolo è molto divertente e Pasolini lo correda con alcuni schizzi, che mostrano le caratteristiche del calcio poetico e di quello italiano. Dagli anni '80 il linguaggio del calcio si è completato e forse ha raggiunto la perfezione con Biscardi e il suo processo, finito miseramente in questi giorni. Aldo Biscardi, prima dalla Rai e poi da La7, ha creato un teatrino seguitissimo che voleva, e c'è riuscito, portare i classici discorsi da bar in un'ottica nazionale, ammantandosi anche di una moviola super tecnologica e presenze illustri, anche politiche. Da ricordare alcune frasi storiche di Biscardi, come quando, parlando del suo Processo, disse che era il posto dove negli anni le polemiche erano "fioccate come le nespole", dove non si deve parlare tutti insieme ma "massimo due o tre per volta", e dove le ecchimosi "vanno e vengono" in una celebre puntata in cui truccarono da moribondo un tecnico della tv per convincere che era stato massacrato dagli ultras.