Gennaio 2007

DONNE E POLITICA

Ricordare la Shoah significa non solo cancellare uno scomodo passato, ma soprattutto creare un avvenire diverso. Senza un’altra tragedia così grande.


Marinella Tumino

La Repubblica Italiana riconosce, con la legge 211/2000, il 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Aschwitz, come Giorno della Memoria al fine di ricordare l’olocausto, le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che si sono opposti al progetto di sterminio e, a rischio della propria vita, hanno salvato e protetto i perseguitati. Uno degli artisti più annoverati della generazione “storica” dei cantautori, Francesco Guccini, per ricordare le vittime dei campi di concentramento, nel 1964, ha composto un pezzo sullo sterminio che l’autore ha simbolicamente rappresentato scegliendo la vittima più indifesa e innocente, un bambino, il quale, nel freddo intenso di un inverno polacco, è diventato “polvere…nel vento”. La storia del pregiudizio e della persecuzione antiebraica in Europa e nel mondo è molto antica; tuttavia, la decisione di sterminare gli ebrei fu sancita alla Conferenza di Wannsee (20 gennaio 1942) quando i capi delle SS si incontrarono per approvare la “soluzione finale” a quello che essi consideravano “il problema ebraico”. Lo sterminio di milioni di persone (si trattava non solo di ebrei ma anche di zingari, omosessuali, portatori di handicap, oppositori politici) venne messo a punto con sistematicità e determinazione. Una volta partito, il processo divenne continuo: dal Belgio, dall’Olanda, dalla Grecia, dalla Norvegia, gli ebrei venivano rastrellati e deportati nei campi di concentramento. Per la deportazione venivano usati vagoni merci e il viaggio poteva durare da due a dodici giorni, in rapporto alla destinazione assegnata. Lo strumento principale di tale piano fu il campo di concentramento, il lager, che aveva lo scopo di annientare, moralmente e fisicamente, i prigionieri, che venivano sfruttati fino alla morte attraverso il lavoro, se non eliminati immediatamente al loro arrivo nei campi o quando non più utili al sistema. I campi furono moltissimi (tra principali e satelliti se ne contano circa 1.200) e ciascuno ebbe una propria fisionomia. Pochi furono i sopravvissuti alle sevizie, ai forni crematori, alle camere a gas e, nonostante siano passati poco più di 60 anni dalla loro liberazione, chi è ancora in vita continua a restare “prigioniero” del ricordo. Tra questi voglio citare Elisa Springer, ebrea austriaca che, a 26 anni, fu deportata ad Auschwitz e si salvò per una serie fortunata di coincidenze. Da allora, trasferitasi in Italia, non ha mai parlato della sua storia e delle sue umiliazioni; ha soffocato i suoi ricordi, ha addirittura nascosto sotto un cerotto la sua marchiatura e ha ricacciato in fondo all’anima il suo dramma infinito. È stato il figlio che ha voluto sapere e capire e l’ha spinta a interrompere il suo silenzio. Così lei, prigioniera del ricordo, ha scritto un racconto di morte e resurrezione per liberarsi appunto dall’angoscia di quei terribili anni vissuti tra la vita e la morte, tra la speranza e l’angoscia. La vera cassaforte dei ricordi sul lager è la memoria individuale che viene aperta dai sopravvissuti i quali, con molta sofferenza, hanno testimoniato per fissare sulla carta la loro esperienza. Non si può non ricordare, in quest’occasione, la giovanissima Anne Frank e le pagine commoventi e vibranti del suo diario, grazie al quale lei ha continuato a vivere. Anne nacque in Germania, ma fu costretta a trasferirsi in Olanda, ad Amsterdam, nel periodo in cui furono pubblicate le “Leggi Razziali”. C’è da dire che la famiglia Frank era ebrea-liberale: i genitori di Anne, pur essendo legati alla religione ebraica, non erano stretti osservanti. Quando nel 1940 l’esercito tedesco invase pure l’Olanda, oltre al Belgio e alla Francia, gli Ebrei furono schedati; in seguito furono costretti all’isolamento e, infine, perseguiti e sterminati. Così i Frank si rifugiarono in una soffitta, l’“Alloggio Segreto”, situata nello stesso edificio che ospitava la grande ditta di Otto Frank, in Prinsengracht); fu allora che iniziò il periodo di clandestinità e che durò ben 25 mesi, durante il quale essi, con altri 4 amici, furono aiutati da alcuni fedeli impiegati di Otto Frank. Il 4 agosto 1944 tre ispettori della SD, il Servizio di Sicurezza Nazista, fecero irruzione nell’edificio. Essi risultarono essere a conoscenza di tutto e, con la minaccia delle armi, costrinsero uno degli impiegati ad indicare il nascondiglio in cui le famiglie Frank e Van Peels si nascondevano. Naturalmente tutti i prigionieri vennero deportati in vari campi di concentramento, in uno dei quali Anne, dopo otto mesi di lunghe sofferenze e dopo aver anche assistito alla morte della sorella Margot, morì, proprio qualche giorno prima che il campo venisse liberato dai russi. L’unico superstite del rifugio segreto fu Otto Frank, il quale, nel 1947, fece pubblicare L’alloggio segreto, diario in forma di lettere dal 12 giugno 1942 al 1 agosto 1944 scritto dalla figlia Anne, in una tiratura di 500 esemplari. In questo modo egli realizzò il desiderio della figlia. “Voglio essere utile, far divertire la gente. Intendo restare viva, ma anche dopo la mia morte! E perciò sono grata a Dio che mi ha donato alla nascita il talento della scrittura, la possibilità di esprimere ciò che è in me” (Anne Frank, 25 marzo 1944). Il diario, in breve tempo, riscosse un enorme successo e così milioni di persone hanno potuto conoscere l’Olocausto. Il diario fu per Anne l’amica intima che non era riuscita a trovare, cui aprirsi con completa confidenza ed abbandono, cercando nel colloquio con Kitty (nome dato, appunto, a questa amica immaginaria) di estraniarsi dalla terribile realtà che la circondava. Questo diario, giustamente celebre, è diventato uno dei documenti più toccanti di quell’oscuro periodo ed è, nello stesso tempo, lo specchio dell’animo di un’adolescente gentile, sensibile, desiderosa di aprire il suo cuore a fondo e completamente. Nel maggio del 1960 l’Alloggio Segreto, situato su uno dei canali della capitale olandese, venne inaugurato come museo e diventò pure sede della “Fondazione Anne Frank”. La casa sul canale che ospitava gli uffici della ditta del signor Frank è stata trasformata in area di ricevimento e spazio espositivo in cui il lavoro educativo su Anne Frank, sull’antisemitismo, sul razzismo e sui pregiudizi va ampliandosi sia a livello nazionale che internazionale. Concludo esortando a non dimenticare mai che il valore e la dignità di un uomo non derivano dal colore della pelle, dalla religione o dalla lingua, ma sono insiti in ogni essere che popola questo crudele, duro, meraviglioso mondo. Ricordare la Shoà, quindi, significa non solo non cancellare uno scomodo passato, ma soprattutto creare un avvenire diverso con la speranza di riuscire ad evitare un’altra tragedia così grande. E perché il desiderio di conquista e di superiorità dell’uomo sull’uomo svanisca nel tempo e col tempo. “Questa terribile guerra finirà una volta per tutte e noi torneremo ad essere di nuovo esseri umani e non soltanto ebrei” (Anne Frank, 9 aprile 1944) Vittime della Shoah in Italia Arrestati e deportati 6.806 Arrestati e morti (*) 322 Arrestati e sopravvissuti (**) 451 Totale identificati 7.579
* di essi 42 non furono in realtà arrestati: si suicidarono o furono uccisi mentre sfuggivano all’arresto o morirono per gravi disagi o privazioni.
** numero indicativo. Non è possibile al momento elaborare tabelle complete. Si tratta di evasi, liberati o altri casi. Per i dati si è fatto riferimento al sito della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea CDEC Le immagini sono state prelevate da www.wikipedia.it e www.deportati.it