Luglio 2007

SÌ, NUOTARE!

Viaggi in dimensione ridotta: Il nuotatore di John Cheever


Salvatore Scribano

A cosa serve la letteratura se non a farci entrare di più nel mondo, nella vita, a prendere coscienza di cosa ci manca e di cosa abbiamo, invece, in abbondanza? Come potremmo “orientarci” se non ci fosse anche l’ausilio di qualche esempio letterario, un romanzo o un racconto? Come faremmo a viaggiare così tanto pur rimanendo comodamente seduti in poltrona se non avessimo con noi qualche buon libro? Ho la vetusta quanto banale idea che si può fare il giro del mondo in poche pagine e penso spesso in relazione alle letture che faccio: riconnetto argomenti a trame, immagini o dimensioni che rubo alle pagine di autori che amo (o che detesto, perché no?). Per il viaggio, ad esempio, il collegamento è stato rapido ed immediato: “Il nuotatore” di John Cheever (1912-1982), scrittore americano autore di romanzi e raccolte di brevi novelle, premio Pulitzer nel 1979. Forse qualcuno avrà visto l’omonimo film del 1964 interpretato da Burt Lancaster, con sceneggiatura un po’ rimaneggiata, ma tratta proprio dal racconto di Cheever. Tutto il racconto ruota intorno all’originale “viaggio” del protagonista, Neddy Merrill: una nuotata. Si tratta, in verità, di un percorso simbolico e spaventosamente realista dell’esistenza, che si affida a due dimensioni fondamentali, lo spazio ed il tempo, subordinate alla presenza forte di due costanti, la stagione estiva e l’elemento acqua. Neddy Merrill è un aitante uomo di mezz’età che, in un infuocato mattino estivo, ozia insieme ad un gruppo di amici e alla moglie sul bordo di una piscina dei ricchi sobborghi della Contea di Westchester, New York. Soliti discorsi, solite battute sui fiumi di vino e alcol versati la notte precedente in uno dei soliti party all’interno di uno dei soliti curatissimi giardini della zona. È questa la vita di Neddy che, un po’ come un semidio greco, un novello Narciso, siede sul limitare dello specchio verdognolo dell’acqua della piscina. E in questo paesaggio di luce, di silenzio condito da inutili conversazioni, Neddy decide di partire. Niente di straordinario, si badi: stabilisce di tornare a casa propria a nuoto, attraversando i 15 chilometri che lo separano dal suo giardino, nuotando nelle piscine di tutte le famiglie amiche della Contea. Cheever introduce il primo elemento che contraddistingue non solo il viaggio di Ned, ma un viaggio in generale: la scelta di una meta. In questo caso, oltre al luogo da raggiungere inserisce anche il modo, il mezzo: la nuotata. Alla base di un viaggio c’è sempre una componente di progettualità, un principio di organizzazione e di scelta senza il quale non si concretizza alcuno spostamento. In Neddy questa fase iniziale è improvvisa, semplice, stravagante, ma lucida, coraggiosa, focosa, come lasciano intravedere anche le sue descrizioni fisiche (“Merrill poteva essere paragonato ad una giornata d’estate […]”) e caratteriali (“La sua vita non era condizionata, e il piacere che gli dava questa constatazione non poteva essere spiegato con un complesso di fuga”). Emerge così un altro elemento fondamentale: la libertà. Il viaggio è sinonimo, metafora della libertà. Non solo di movimento, ma anche e soprattutto di pensiero. Neddy inizia la sua avventura con un tuffo: un gesto veloce, scattante, un’immersione in un elemento diverso, altro, che conferisce quel pizzico di “mistero”, di incertezza al suo viaggio, rendendolo subito attraente oltre che bizzarro. “Le uniche mappe e cartine a cui fare riferimento erano nella memoria o nell’immaginazione, ma erano abbastanza chiare”. Sono le nostre mappe mentali a farci viaggiare ancor prima di essere partiti: si vive di sensazioni non ancora provate, si fantastica, si annaspa nel tentativo di prefigurarsi un luogo, un sapore, un colore, insomma si favoleggia del viaggio come se lo si avesse già compiuto, come se lo si stesse raccontando a qualcuno. Un viaggio è quasi più bello nei momenti che lo precedono che in quelli che lo costituiscono: ovvero in un viaggio è più importante il percorso della destinazione. Magnifica è la costruzione di questo viaggio che inizia sotto i migliori auspici, sotto segni quasi divini: “Era una stupenda giornata, e il fatto di vivere in un mondo così generosamente fornito di acqua gli sembrava un dono del cielo, una benedizione”. Fin dalla prima piscina che incontra sul suo cammino Neddy si sente accolto, riconosciuto dagli amici: i Graham gli offrono da bere, gli Hammer non sono a casa, ma la loro piscina è lì, a sua disposizione, un tassello libero lungo il suo percorso. I tuffi nelle piscine proseguono e, man mano che Neddy si addentra nelle acque di questo suo fiume immaginario, il pomeriggio avanza e le condizioni che hanno fatto da sfondo alla partenza variano. All’orizzonte si profila un temporale, il cielo si incupisce e Neddy è costretto ad una sosta non programmata nello spogliatoio dei Levy: “[…] Ned si sentì percorrere da un brivido”. Sono i primi particolari con cui Cheever introduce il cambiamento: nel paesaggio, negli elementi naturali, nelle sensazioni a pelle del protagonista, nel viaggio e in tutta la storia. La piscina successiva è una delusione: i Lindley l’hanno svuotata, il posto sembra stranamente trascurato, abbandonato. Qualcosa di indefinibile, una specie di malessere imprevisto induce Neddy a pensare ai suoi amici, a tutte queste persone che, presenti o assenti sul suo cammino, abitano in qualche modo la sua vita e si legano in ricordi confusi ad inviti, serate mondane, momenti senza contorni precisi. Come in ogni viaggio che si rispetti, oltre a tappe necessarie, Cheever costruisce anche situazioni inattese da gestire: Ned deve attraversare la statale 424. A piedi scalzi, in costume da bagno è impreparato, impacciato, goffo nell’affrontare un tratto di strada che faceva parte del percorso fin dall’inizio, ma che ora lo fa titubare: “Non aveva firmato niente, non aveva giurato niente, non aveva sottoscritto impegni con nessuno, nemmeno con se stesso”. Ned, pur combattuto, non riesce a tornare indietro, è determinato nell’andare avanti, non può fermarsi: un gioco, uno scherzo, una cosa divertente è diventata all’improvviso seria. “Nello spazio di un’ora, più o meno, aveva percorso una distanza che rendeva impossibile il suo ritorno”. Cheever ricorda che in ogni viaggio, appena ci si ferma un attimo, appena si prende un po’ di riposo, arriva il pensiero del rientro, una sorta di “paura” del momento del ritorno. Un istante di nostalgia, che può imprimere un cambio di direzione a tutte le sensazioni che animano il viaggio. Per Ned questo smarrimento dura fino a che un’auto guidata da un vecchio rallenta e gli permette di attraversare. Un tuffo nella piscina comunale, nell’acqua che puzza di cloro e poi di nuovo nei giardini di coppie amiche. Ma la cordialità delle persone muta; alcuni lo salutano con un misto di stupore e di pietà. Parole bisbigliate, mormorii a proposito della sua casa venduta, delle sue povere bambine… Niente di chiaro nella sua mente, fino a quando Neddy arriva alla piscina dei Biswanger dove viene trattato con freddezza, come “uno che viola i domicili privati”. Qui Ned sente la padrona di casa dire alle sue spalle: “Sono andati in bancarotta da un giorno all’altro, ora non hanno altro che il reddito, e lui è arrivato qui una domenica, ubriaco, e ci ha chiesto di prestargli cinquemila dollari…”. La linea narrativa di Cheever non si interrompe nonostante l’introduzione di elementi di “disturbo”, mantiene una forza che non distrae il protagonista né il lettore: Ned continua nel suo viaggio per piscine e giunge a quella di una sua ex amante che lo riceve con estremo distacco. Come se questo non bastasse, anche la piscina, l’acqua, l’elemento primordiale e purificatore cominciano a fargli uno strano effetto: si sente stanco, le bracciate lo affaticano, il suo crawl perde in perfezione e alla fine della nuotata non riesce ad issarsi sul bordo, ma è costretto ad utilizzare la scaletta. È sfinito e in cielo non vede le costellazioni di mezza estate: perde i suoi punti di riferimento e gli viene da piangere. Il cambio di ambiente continua imperterrito a calare sul mondo e su Ned che, per la prima volta nella sua vita di adulto, guarda alle cose, alle persone e al sè con cui ha a che fare con spirito critico: sente freddo, è sbigottito, sgomento. Ma affronta ancora due piscine, con movimenti sempre più impacciati, lenti, da principiante e non da nuotatore provetto quale lui è. A questo punto Cheever ci mostra Neddy mentre imbocca il vialetto che porta a casa sua: è curvo, si appoggia alla staccionata. Le finestre sono buie. Il cielo è immerso nel buio. Però lui è riuscito nel suo intento: ha attraversato a nuoto la Contea. La casa ha un aspetto trascurato e tetro. È chiusa: “Gridò, batté con i pugni sulla porta, tentò di abbatterla a spallate, e poi, guardando attraverso le finestre, vide che la casa era disabitata”. Cheever termina qui il racconto: Neddy Merrill è arrivato. Ha compiuto e concluso il suo viaggio. Non è tornato al punto di partenza, ma ha percorso un cammino. Il suo “naturale” cammino. Il viaggio di Ned è intenso, ha una grande ricchezza di sensi, di contenuti semantici, di “nuances” emozionali che rendono il racconto di Cheever un piccolo gioiello della narrativa. Di questo scrittore, amico di Carver e vicino a Fitzgerald, è stata coniata la definizione “il Cechov americano” che ben suggella il risultato raggiunto nell’equilibrio di rapporto tra scrittura e realtà. Forse Ned è Cheever stesso, è ciascuno di noi; non va in vacanza, non compie un’escursione né una semplice passeggiata, non esce a farsi un giro, ma viaggia. In queste pagine niente ha più efficacia, più forza della parola “viaggio”. Si tratta di un viaggio su dimensioni diverse, in dimensioni diverse. Di un viaggio “vero” e completo. Ned viaggia per piacere, forse anche un po’ per noia; per conoscere, per rivedere, per incontrare; per cambiare aria, per dimenticare; per un periodo di tempo non quantificabile (un’ora?) eppure terribilmente lungo; dentro i ricordi, dentro i sogni, nell’oblio e nella speranza. Viaggia con il corpo senza spostare i pensieri. Quando si muovono i pensieri, il corpo perde progressivamente energia. Il viaggio di Ned è uno dei viaggi più significativi a cui mi è capitato di assistere, di partecipare, con quel carosello di riferimenti sulle stagioni della vita: la forza dell’estate che declina nei colori autunnali e perde ogni speranza nel freddo della notte invernale. Leggo e rileggo spesso questo racconto: ogni volta scopro una sfumatura diversa e mi immergo nell’allegoria del viaggio=vita, l’allegoria che forse amo di più. Anche più di quella che la letteratura classica rintraccia in Ulisse, Giovanni da Mandeville, Gulliver, Don Chisciotte, Capitan Nemo... È quel viaggio che, in un modo o nell’altro, facciamo tutti, con la valigia sempre pronta, con il desiderio tenace di guadagnare un altro giorno. Ancora uno. Un’altra nuotata. Ancora una.