Dicembre 2007

LA VOCE DEL SILENZIO

Il silenzio è sempre più compresso tra persone che parlano di silenzio


Daniela Ferrara

“Perché non taci?”, disse un giorno il Re… Sembra l’inizio di una favola ma è vita vera o, come si dice oggi, “reality”. Il giorno in questione è il 10 novembre scorso, l’autore dell’invettiva è niente popò di meno che il Re di Spagna, il luogo è il vertice Ibero-Americano a Santiago del Cile e “l’intimato” il Presidente sudamericano Chavez che, durante il suo intervento, non si lascia sfuggire l’occasione di togliersi qualche sassolino dalla scarpa con i “cugini” di lingua dando del fascista all’ex premier spagnolo Aznar e interrompendo continuamente il ministro Zapatero che cerca di ribattere. “Porquè non te callas?”, esplode alla fine il monarca che, furibondo, decide pure di lasciare il tavolo della Conferenza. Certo, è un invito al silenzio fuori dal protocollo, quello di Juan Carlos, che suona più come un “vaffa” che come un richiamo alla compostezza dei ruoli. Regale ma pur sempre un “vaffa”. E, in quanto tale, osannato e pubblicizzato via etere in tutti i modi perché non c’è da meravigliarsi – Beppe Grillo docet – mandare al diavolo esponenti politici aumenta l’indice di gradimento. Anzi, più un’azione è inaspettata e discutibile più è appetibile, proprio perché codificata ormai come “normale”. È il riflesso di questi tempi schizofrenici e volgari in cui “stai zitto”, “taci” o ”chiudi il becco”, (il più delle volte accompagnati ad un prosaico “cretino”!) sono le espressioni più eleganti e usuali a cui ricorriamo per comunicare, anche se più che di comunicazione si dovrebbe parlare di prevaricazione verbale. Nel “botta e risposta” continuo e fragoroso delle nostre vite non possiamo non ritagliarci lo spazio per un po’ di silenzio. Dobbiamo “decelerare” e riuscire ad immaginarci sordi in un mondo di sordi, dove a farla da padrone sia il silenzio inteso come quiete. Il silenzio è d’oro, dicevano gli antichi. Forse perché il rumore è di piombo, è logico dedurre. In una società assordante come la nostra, in cui ogni rumore ha un peso, l’assenza del silenzio diventa il peso maggiore e la sua ricerca (anche attraverso la spiritualità o il ricorso ad altre discipline) una meta preziosa ed agognata. Ma il silenzio non è solo l’antitesi del rumore, la sua assenza. Il concetto di silenzio che evoca pace, contrapposto ai rumori di fondo delle nostre vite, è un prodotto sociale, frutto di un modus vivendi condizionato dagli eventi e dall’evoluzione della storia. Ma esiste anche il silenzio di uno sguardo, di un bacio rubato, di un’emozione qualunque. Il silenzio della preghiera, il silenzio del contatto e del distacco, il silenzio infranto, il silenzio generato dalla violenza e il silenzio arrendevole della vecchiaia, che diventa saggezza. C’è il silenzio che ci lascia senza parole e il silenzio di chi non ha niente da dire, diverso dal precedente e molto più diffuso. Provate a chiedere ad un bambino cosa ne pensa del silenzio. Vi dirà che non gli piace e che lo vive come un castigo, un divieto, un’insopportabile costrizione. “Fai come ti ho detto e non fiatare”, “Vai nell’angolo…in silenzio!”, “Facciamo il gioco del silenzio!”: sono alcuni esempi del silenzio come status “imposto” (e non ricercato), a cui sono legati i nostri ricordi di bambini vivaci e iperattivi, che, se perpetuato e “deviato”, ci accompagnerà anche nell’età adulta a volte con conseguenze estreme, come nel caso dei tanti efferati delitti di cronaca che altro non sono che la dimostrazione di un disagio, di un silenzio dell’anima che fa male e della prepotente volontà di confinare a quello stesso silenzio anche gli altri, negando la possibilità di un contraddittorio, proprio come quando da piccoli si doveva subire l’imposizione al silenzio dei più grandi. Ma questa è psicologia spicciola e personale sulla quale è opportuno che cada il silenzio. Meglio distrarsi, piuttosto, con una bella canzone. Magari La voce del silenzio di Bocelli (Mina)…