Maggio 2008

LA NECESSITÀ DELLA MORTE

Non ci può essere vita se non vi è morte


Filippo Camerini

“Un organismo è vivente in quanto nasce, si nutre, si riproduce e muore: le funzioni vitali essenziali” lo dice pure il sussidiario. Poi però capita che il portiere – mai saremo loro abbastanza grati per il contributo che danno alla divulgazione delle umane conoscenze – ci racconta che se pianti un rametto di geranio ne ottieni uno nuovo. Così anche se il genitore muore ne abbiamo un secondo derivato dal primo che va a cominciare una nuova vita: il clone! E questo processo continuato all’infinito significherebbe l’immortalità. Be’ ovviamente con l’uomo non sarebbe possibile: noi siamo intelligenti! Il clone è uno dei sogni più profondi dell’uomo: ipotesi del genere sono paventate da cartoni animati e fumetti come dai più audaci – e magari spregiudicati – programmi di ricerca. Eppure quasi la totalità delle cellule del nostro corpo si riproducono come i gerani. La mitosi – a scuola ci han detto – da una cellula ne produce due del tutto uguali; questo nella zanzara come nell’uomo – con buona pace di tutta la sua intelligenza. Tenendo le piante con un minimo di cura – consigliabile affidarle sempre al portiere – o mantenendo le cellule in un ambiente idoneo, continuano a riprodursi. Degli attenti giardinieri hanno pure notato che scegliendo dalla medesima pianta un rametto a portamento eretto o prostrato, la nuova piantina conserva, almeno inizialmente, questo portamento: una specie di memoria. Una trasmissione dell’esperienza? Analogie con questo fenomeno si riscontrano pure nelle cellule animali. Ma allora se le nostre cellule sono capaci di riprodursi uguali a se stesse in modo illimitato nel tempo, perché noi alla fine moriamo? Perché non possiamo accumulare le esperienze di un periodo lunghissimo ed acquisire una saggezza infinita? Uno scienziato (ma pure una gazzella che impara a scappare davanti ai leoni) che muore è qualcuno che lascia un percorso a metà; il suo successore dovrà ripartire da dietro, ricominciare un certo processo di apprendimento: studiare ciò che qualcun altro sapeva già. Sembrerebbe uno spreco immenso. Insomma con ogni morte noi perdiamo un tesoro in esperienze e sensibilità. Messa così, la morte appare come un vincolo, una zavorra all’evoluzione di conoscenze. Le nostre esperienze determinano il modo col quale ognuno si pone verso l’ambiente, verso gli altri, verso gli eventi. E’ davvero così deleterio che una legge biologica imponga una limitatezza temporale a tutto ciò? Per quanto riguarda il corpo, una menomazione, un danno permanente – in natura come nell’ambiente dell’uomo – viene risolta solo con la sostituzione generazionale. Una nuova generazione significa ripartire da zero, attraverso una nuova nascita con un corpo nuovo di zecca. Altrimenti saremmo una collezione di ferite ed amputazioni. Ma se la morte assolve questa funzione del rinnovo fisico, supponiamo che potrebbe pure avere la stessa importanza per quanto riguarda le nostre conoscenze. L’esperienza, ricchezza inestimabile di ognuno, determinando il nostro modo di vedere le cose è infatti pure un vincolo profondo. Solo la morte concede la totale libertà da un sistema di approcci – che possono pure essere sbagliati o non più pertinenti – e permette di ripartire da zero. In un mondo in evoluzione, la revisione dei punti di vista è fondamentale. La nostra capacità di dimenticare è molto più limitata di quella di ricordare e a quanto pare Madre Natura si direbbe convinta che cambiare idea sia molto più difficile che svilupparne una del tutto nuova. La natura avrebbe la stessa fiducia che noi si possa cambiare idea quanta che ci possa rispuntare un piede o una proboscide. Certo che per quanto riguarda le esperienze, buttare tutto quanto e ripartire da zero sembra proprio un peccato! Dal nostro amore per i nostri ricordi – belli e brutti, dalla stima per la nostra esperienza e per la propria personale visione del mondo è nata la civiltà. Il desiderio di ricordarsi agli altri ha portato ad inventare prima il disegno, la scrittura, le arti: contenitori di informazioni. Ma l’arte è un’invenzione dell’uomo non della natura. E’ invece la sovrapposizione delle generazioni che dà la possibilità di trasmettere in modo diretto informazioni e in parte anche modi di vedere a cervelli diversi, di un altro tempo – probabilmente meno vincolati o meno affezionati ad un determinato sistema di visioni del mondo. Mamma scoiattolo ha la possibilità di educare i suoi piccoli a distinguere le noci vuote da quelle piene. Ove le esperienze accumulate sono modeste le cure parentali divengono superflue; mamma lombrico neppure incontra la sua prole. Il modo migliore di assicurare che le nostre convinzioni siano verificate e sviluppate, sta quindi nell’affidarle a qualcuno più disposto di noi a metterle in discussione e magari a negarle completamente. Non è facile immaginare cosa succederebbe se ci portassimo dietro gli shock (e le loro convinzioni) della guerra, della fame, delle violenze o anche i giudizi su popoli, un tempo nemici – magari oggi non più validi? Dimenticarsi nelle generazioni, che popoli hanno guerreggiato permette ai loro discendenti di essere in pace. Secondo questa chiave di lettura, gli sforzi dell’attuale società di allungare la durata della vita naturale (come quella professionale), non hanno che l’effetto di conservare gli stessi modi di pensare. Paradossalmente il risultato non sarebbe un allungamento della vita ma della vecchiaia e quindi un invecchiamento della società (e dell’azienda). Mentre il contesto nel quale la vita ci chiede di operare si fa sempre più mutevole, noi stiamo diminuendo la nostra capacità di rispondere in modo appropriato. Gli inconvenienti di una simile situazione non sono sfuggiti ai moderni pensatori. Uno tra questi, il canadese Edward De Bono ha teorizzato il "lateral thinking", la visione laterale come metodica per “disincagliarsi” da una posizione mentale di partenza e arrivare a considerare scenari alternativi – un percorso per la creatività. Le sue attività vanno dagli studi sulla psiche a consulenze alle aziende alle quali vende percorsi mentali per permettere ad ingegneri e commercianti di mettere in discussione e superare le loro sicurezze. Un po’ – ma solo un po’ – di ciò che la Natura ottiene in modo molto più radicale con la morte. Nel contempo una simile organizzazione naturale significa che Qualcuno deve essere un grande ottimista, così convinto che ogni generazione sia in grado di riprendere e migliorare ciò a cui sono arrivate quelle precedenti, significa tenere per i figli quando discutono con i grandi, significa credere nella vita, nell’uomo, negli scoiattoli, negli elefanti...