Sabbia e deserti popolo delle barche Folla delle carrette del mare Fatevi avanti, ora tocca a voi cominciare Sasso dopo sasso, figlio dopo figlio La costruzione di La torre di Babele! (da La torre di Babele, Giovanna Marini, 2007) Parco Piraghetto, Mestre-Venezia, qualche settimana fa. Abbiamo la fortuna di assistere a una delle numerosissime iniziative culturali, in particolare musicali, rassicuranti per l’ampiezza degli orizzonti proposti in questo nord est che per altri versi si percepisce come sempre più chiuso in asfittica difesa, iniziative che caratterizzano la prima edizione di un “Festival delle culture del Mediterraneo e dell’Est Europa-Venice MED(F)Est”, organizzato, in primis, dall’Assessorato alla produzione culturale (che brutta definizione, ma così è!) della Città di Venezia. Delle cinque diverse sezioni nelle quali il ricco programma è articolato, noi siamo a quella de “Le voci delle donne”, curata dal Servizio Cittadinanza delle Donne e Culture delle Differenze/Centro Donna Multiculturale di Villa Franchin, con la collaborazione di diverse associazioni di donne immigrate di Venezia e Mestre. Se mi dilungo in queste “referenze istituzionali” è perché, purtroppo, non è affatto scontato che esistano servizi e associazioni di questo genere, e soprattutto non è scontata la loro vitalità. La serata non è certo tra le più pubblicizzate o popolari, tutt’altro. E devo dire che anch’io ci sono stata un po’ trascinata da buoni amici, appassionati di canzone popolare oltreché di tango. Per di più, incredibile a scriverlo ora, oppressa dall’afa e dalle temperature di questi giorni, quella sera a Mestre faceva davvero freddo, e le sedie di fronte al palco erano bagnate, i piedi umidi. Con noi, poche persone, si arrivava sì e no alle 200. Però sul palco, spartano e pulito, di fronte a noi… una grande artista, anzi a dire il vero erano in due, tre. Due donne e una chitarra, tutto qui, ma non è poco quando si tratta di due voci meravigliose, in grado di stupire a ogni giro di strofa, potenti, varie ma soprattutto piene di storia, passione, ardore e verità. Non appena Giovanna Marini è salita sul palco, con la sua chitarra e con la sua compagna di canto di lunga data Patrizia Nasini, un sentimento si è immediatamente diffuso tra quei “pochi ma buoni” presenti al concerto ed è diventato palpabile nell’aria, una sorta di sollievo collettivo e di istantanea gratitudine per la luce di civiltà che la sua voce e la sua musica regalano con forza sin dal primo ascolto e sin dal primo brano. Dono tanto più prezioso in questa sorta di neo-oscurantismo politico culturale che pesa sulla vita di questo paese. E così, per tutta la durata del concerto, ci siamo sentiti immersi in una radura privilegiata piena di senso, del quale probabilmente non siamo stati in grado di cogliere che briciole rispetto alla ricchezza del linguaggio musicale colto e insieme popolare che caratterizza l’arte di Giovanna Marini, briciole che in parte tentiamo di restituire, con il duplice scopo di tenere viva in noi una luce che si è accesa e, chi lo sa, magari di passarla a qualcun altro che non avesse già avuto modo di incrociare questa voce nel suo percorso di ascolti. La prima volta che mi era capitato di ascoltare dal vivo, del tutto inconsapevolmente, Giovanna Marini e il suo Quartetto vocale (da lei creato nel 1976, a Roma, nell’ambito della Scuola Popolare di Musica del Testaccio, del quale anche Patrizia Nasini fa tuttora parte, dal 1981), fu in realtà a Bologna, in piazza Santo Stefano, nel giugno del 2000, in occasione della prima nazionale de I Tigi. Racconto per Ustica da Marco Paolini (altra voce umana d’artista civile alla quale siamo grati, in particolare da queste parti), nell’anniversario della strage. L’impatto di quel coro tragico di donne che accompagnava in modo dirompente la ricostruzione degli eventi messa in scena di Paolini, fu forte e immediato. Ma come spesso succede, purtroppo, poi non coltivato; seguito da un ascolto un po’ distratto dell’album realizzato con Francesco De Gregori poco tempo dopo, Il fischio del vapore, del 2002, lavoro che ha procurato a Giovanna Marini una notorietà per lei inusuale. L’ascolto dal vivo nel parco di una sera d’estate e di pioggia ha riacceso una lampadina. Cambia l’attenzione che si è in grado di dare, cambiano i bisogni. E le note acutissime, e le grida e lo strazio tragico e la dolcezza poetica e la vocazione civile di questa musicista romana che ha attraversato attivamente oltre mezzo secolo di storia di quest’Italia malata, possono costituire, proprio ora, una risposta non banale al bisogno di strade sensate, di memoria buona, di salvare dall’oblio voci e racconti preziosi anche per il nostro presente. Il concerto ha offerto un generoso e coinvolgente susseguirsi di stimoli e finestre aperte sulla storia del nostro paese e insieme sul percorso biografico e artistico variegato e mai banale, mai asettico, della Marini, dalla cronaca cantata dell’Attentato a Togliatti, con la quale la serata è stata aperta, all’appassionato e insieme ironico racconto del suo primo, fondamentale, incontro con Pier Paolo Pasolini in un salotto romano nel lontano 1958, dove lei, diplomanda in chitarra classica al conservatorio di Santa Cecilia, allietava le riunioni di circoli mondani-intellettuali suonando Bach, e il poeta di Casarsa le aprì la strada verso la bellezza e l’importanza del canto popolare, verso l’insospettata ricchezza della cultura orale. Proprio da lì, dall’amicizia con Pasolini ed Enzo Siciliano, prese il via la collaborazione di Giovanna Marini con le edizioni dell’Avanti! a Milano e con l’Istituto De Martino e tutto il suo lavoro di ricerca etnomusicale e sulla canzone popolare (incluse le collaborazioni con Gualtiero Bertelli e Paolo Pietrangeli). I racconti cantati hanno ricostruito la battaglia di libertà e umanità che ha portato alla legge Basaglia e alla chiusura dei manicomi; hanno poi rievocato Bella ciao, lo spettacolo di canto politico e sociale che scompigliò il festival di Spoleto nel 1964, con la cantante mondina Giovanna Daffini che mostra in diretta la forza dirompente della canzone popolare, il suo arrivare diritta al cuore, a prescindere dalla classe sociale e dal livello culturale di chi ascolta e a creare corti circuiti impensati. Dalle manifestazioni di popolo de I treni per Reggio Calabria agli anni di piombo, alla purtroppo sempre attuale vicenda di morte violenta mascherata da giustizia di Sacco e Vanzetti passando per La manifestazione in cui morì Zibecchi e dunque per l’uccisione di Carlo Giuliani al G8 di Genova, intervallando qua e là con il suo «ragionare ad alta voce» («per me […] uno degli archetipi del racconto orale insieme al Cunto siciliano di Cuticchio e ai Misteri di Dario Fo», così Marco Paolini in Quaderno dei Tigi, Milano 2005, p. 40). Canto civile, musica popolare e insieme colta, profondamente e coraggiosamente contemporanea. Il concerto al quale abbiamo assistito, come queste note, è stato, speriamo, solo un assaggio. Nell’attesa di poterla riascoltare dal vivo, magari con il suo quartetto al completo in una delle sue numerosissime cantate e nel contesto più raccolto di un teatro o di una chiesa, ci accontentiamo di riattraversare la sua musica in due cd conquistati nella ressa informale di un pubblico avido che ha assalito la scorta offerta da Giovanna a conclusione della serata. In particolare suggeriamo, oltre alla più accessibile riscoperta de Il fischio del vapore, i 17 brani della Cantata per Pier Paolo Pasolini, nella registrazione dal vivo del novembre del 2000, a 25 anni dalla morte, in una chiesa di San Vito al Tagliamento (in provincia di Pordenone) della quale, oltre allo struggente Lamento per la morte di Pasolini (eseguito a due voci anche a Mestre, l’altra sera), ricordiamo almeno la messa in musica di molti versi del poeta, da La meglio gioventù. Suite furlana (1944-1949), La nuova gioventù (1975) e I Turcs tal Friùl (1976), in un connubio magistrale tra musica e poesia, dove il suono della lingua friulana si arricchisce e gioca con altri risvolti sonori, in un continuo andirivieni tra melodie e timbri foclorici e ardite sperimentazioni vocali e compositive contemporanee, senza paura. Altro cd raccomandato a un ascolto paziente e timoroso: La torre di Babele (2007), cantata articolata in 16 brani (uno dei quali, L’eroe, dura da solo oltre 18 minuti), sempre per quartetto vocale, conclusa da Giovanna Marini nel dicembre 2004 e ispirata alla tragedia dell’11 settembre, strutturata in un’opera molto complessa, un «progetto drammaturgico che – come scrive Ignazio Macchiarella nell’introduzione al raffinato libretto bilingue (italiano e francese) che accompagna il cd e nel volume Giovanna Marini (Actes Sud, 2007) – pare rappresentare l’angoscia e al tempo stesso il compiacimento dei nostri giorni, fra le paure scatenate dalle tragiche dinamiche dei rapporti tra popoli e culture nello scenario delle sostanziali disuguaglianze nord/sud […] e il riconoscimento di una prosperità delle condizioni di vita e delle relazioni interindividuali come mai accaduto nella storia dell’uomo». E in un’opera con un simile titolo è evidente che, accanto al richiamo immediato all’attentato e al crollo delle torri gemelle di New York, c’è l’enorme questione della babele delle lingue con le sue molteplici sfaccettature. E non è certamente aspetto secondario che nell’opera di Giovanna Marini, così come gli stili musicali anche le lingue delle parole poetiche e dei racconti epici si alternino e si mescolino passando e facendo passare anche l’ascoltatore con acrobazie spazio-temporali non usuali dall’italiano contemporaneo e poetico dei molti testi scritti da Giovanna Marini in prima persona ai dialetti e alle lingue di poeti popolari delle diverse regioni d’Italia, dalla Puglia del canto di Matteo Salvatore Padrone mio, alla “passione laziale” ricostruita da Alessandro Portelli (Morte di Gesù), a Uèi, “lamento per il fidanzato morto in guerra”, registrato in Basilicata e trascritto da Giovanna Marini, all’Abruzzo e a una Ciociaria medievale, fino alla splendida Ma che sarà mai l’amore, testo di Corrado Sannucci, musica di Giovanna Marini. Come avrete capito da questa breve incursione, la ricchezza tematica, stilistica, musicale e testuale che caratterizza, in generale, l’universo artistico di Giovanna Marini è davvero impressionante, e gli strumenti culturali utili per comprenderlo al meglio non sono certo pochi né tutti a portata di mano. Ma, nello stesso tempo, è un linguaggio che resta ancorato a un sostrato di verità popolare e in questo sta la sua forza speciale, preziosa e magica, anche molto femminile, antica e vitale. Si veda, in internet, www.giovannamarini.it, con scheda biografica e soprattutto la ricca discografia e bibliografia; ma si veda anche musicaitalia.free.fr, a riprova dell’interesse coltivato, Oltralpe, per la musica popolare italiana, in particolare proprio grazie al lavoro artistico, di ricerca etnomusicale e didattico di Giovanna Marini. Per la distribuzione dei cd più recenti www.nota.it. Nell’ambito dell’itinerante “Venice MED(F)Est” (www.venicemedfest.it), vorrei ricordare almeno altri due tra la trentina di appuntamenti musicali proposti: due gruppi di diverso stile e impatto ma accomunati dal coraggio della mescolanza, che hanno entusiasmato il pubblico danzante nel Forte Marghera (Mestre) e quello più pensoso al Teatro Fondamenta Nuove (Venezia): la spumeggiante musica del mondo dell’ormai nota Orchestra di Piazza Vittorio nel primo caso (il 13 luglio) e Gerardo Balestrieri con il suo progetto “Un turco napoletano a Venezia” nel secondo (il 3 agosto), che ha visto suonare insieme sullo stesso palco musicisti veneziani, napoletani, turchi, argentini, a rivisitare e riproporre raffinatamente le più classiche melodie della canzone napoletana arricchite di antiche sonorità e affascinanti abbellimenti mediorientali.
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