“È il mestiere più antico del mondo.” È la frase che ricorre in ogni dibattito, in ogni talk-show che abbia come oggetto la prostituzione o la sua regolamentazione. Poche parole che hanno il sapore di una velata giustificazione, quasi come se, ancorare una pratica di sostanziale abuso a un comportamento millenario e tradizionale, possa spiegarne l’esistenza o addolcirne la violenza. “È il mestiere più antico del mondo”. E, come ogni luogo comune, ha un fondo di verità. Si sa, infatti, da fonti letterarie, storiche, giuridiche, da ritrovamenti archeologici, di quanto la prostituzione fosse diffusa nelle civiltà antiche. Postriboli e bordelli erano presenti ovunque, dall’Egitto a Babilonia, presso i Fenici e presso gli Israeliti. Legislatori ebrei, greci e romani si preoccuparono più volte di approntare regole e comportamenti per le prostitute comuni, che generalmente provenivano da famiglie di umili origini o erano schiave. La stessa Lupa di Roma, che secondo la leggenda allattò i gemelli Romolo e Remo, era probabilmente una prostituta, una prostituta nutrice. Nelle civiltà antiche, accanto alla prostituzione comune, che non differiva di molto dal commercio di corpi che conosciamo ancora oggi, era presente anche un’altra pratica: la prostituzione sacra. In tutte le civiltà del bacino del mediterraneo e del Medio Oriente è stato riscontrato un culto che, con diverse forme e diverse modalità, è riconducibile ad una divinità femminile. Ishtar, Astante, Militta, Afrodite: con nomi diversi si usava indicare una dea con caratteristiche molto simili. La prostituta sacra era una donna consacrata per un periodo di tempo o anche per tutta la vita alla dea. Doveva fungere da tramite tra il mondo terreno e quello divino. La prostituzione sacra era impregnata di valenze mistico-religiose che mancavano in quella comune. La ierodula incarnava in se stessa la dea, e attraverso l’atto sessuale restituiva all’uomo energia, fecondità, benevolenza e buoni auspici. L’atto sessuale diventava così il mezzo propiziatorio attraverso cui il fedele poteva mettersi in contatto diretto con la divinità e ricevere i suoi benefici. Una delle testimonianze più importanti è quella tramandata da Erodoto, a proposito della prostituzione sacra a Babilonia: “… La più turpe delle usanze babilonesi è questa: ogni donna del paese deve recarsi al santuario di Afrodite una volta nella vita ed unirsi ad uno straniero. Molte, rifiutandosi di mescolarsi alle altre, orgogliose della loro ricchezza, si fanno condurre al tempio su un carro coperto e restano lì, seguite dalla servitù. Le altre fanno in questo modo: nel santuario di Afrodite siedono molte donne con una corona di corda sulla testa; alcune vengono, altre vanno. In ogni direzione ci sono passaggi attraverso i quali gli stranieri scelgono. Quando una donna è seduta lì, non può tornare a casa prima che uno straniero, dopo averle gettato in grembo del denaro, non si sia unito a lei fuori dal tempio. Gettando il denaro egli deve pronunciare queste parole: “io invoco Militta”. Gli Assiri chiamano infatti Militta Afrodite. La somma di denaro è quella che ciascuno vuole offrire, perché la donna non lo respinge, e non è ammesso, infatti il denaro diventa sacro. La donna segue il primo che ha gettato il denaro e non può rifiutare nessuno. Dopo essersi congiunta con lo straniero e dopo aver compiuto il suo dovere verso la dea, può tornare a casa e, da quel momento, nessuna somma di denaro basterebbe per possederla. Quelle belle vanno via presto, quelle brutte restano per molto tempo, non potendo adempiere il proprio obbligo. Alcune restano anche per tre o quattro anni” In Grecia, uno dei luoghi ove la prostituzione sacra veniva esercitata era Corinto. Strabone informa della presenza presso il tempio di Afrodite sull’Acrocorinto di oltre mille ierodule. È certo che ci si rivolgesse al tempio anche in occasione di calamità e guerre, per fare sacrifici ed per implorare l’aiuto della dea. Ateneo riporta che durante le guerre persiane, dopo una vittoria, i Corinzi eressero statue in onore delle prostitute sacre che avevano aiutato i soldati con le loro preghiere, e i loro nomi vennero incisi su una tavoletta che venne donata al tempio. Anche in alcuni luoghi della Magna Grecia la prostituzione sacra era conosciuta e praticata. A Locri Epizefiri era praticata in onore di Afrodite Ctonia, ed il culto della dea si installò probabilmente su una religiosità preesistente a quella greca. Anche Erice riveste un significato importante riguardo al legame con la divinità femminile. Sia il fondatore, Erice, appunto, che Enea, di passaggio per seppellire il padre Anchise, discendono, secondo la leggenda, da Afrodite. Anche qui, come a Locri, i culti greci si innestarono su elementi di religiosità autoctona che già si rifacevano ad una divinità femminile. Si sa che presso il santuario di Afrodite veniva esercita la iera porneusis, e che il culto di Venere Ericina venne importato anche a Roma, ma, come dice lo storico francese Dumezil “il culto della dea fu rigorosamente romanizzato: non vennero accolte né la prostituzione sacra né altre pratiche siciliane”. Con il passare dei secoli, in tutte le civiltà dove la prostituzione sacra era presente, il carattere mistico-religioso dell’unione carnale tra un uomo e la dea-sacerdotessa, si affievolì, lasciando pian piano il posto esclusivamente a un elemento erotico, legato all’ebbrezza del piacere sessuale. Con l’avvento delle religioni monoteistiche, la prostituzione sacra venne vietata. Nella Bibbia (Deuteronomio 23, 18-18) si legge “Non vi sarà alcuna donna dedita alla prostituzione sacra tra le figlie d’Israele, né vi sarà alcun uomo dedito alla prostituzione sacra tra i figli d’Israele. Non porterai nella casa del Signore tuo Dio il dono di una prostituta né il salario di un cane, qualunque voto tu abbia fatto, poiché tutti e due sono abominio per il Signore tuo Dio”.
© 2023 Operaincerta. Design by W3Layouts