Settembre 2009

IL CATTIVO IMMIGRATO

Intervista a Leggio e La Monica della Caritas ragusana


Davide Allocca

Ragusa. Domenico Leggio e Vincenzo La Monica, rispettivamente il direttore ed il responsabile del settore immigrazione della Caritas diocesana di Ragusa, ovvero la prima linea della battaglia per l’integrazione e la multietnicità della comunità iblea che guarda al futuro. Tra leggi nazionali sempre più restrittive e rigurgiti xenofobi in un mondo che cambia, OI ha chiesto loro di parlare delle ricadute sociali degli ultimi provvedimenti (ma non solo) sul fenomeno immigrazione, in particolare sul territorio ibleo. Immigrazione, questione aperta. Quali sono gli effetti sulla realtà iblea del pacchetto sicurezza recentemente approvato in sede nazionale, secondo la Caritas? “Queste misure non garantiscono affatto la sicurezza dei cittadini, italiani. Non si può pensare di cancellare con un colpo di spugna gli “irregolari” presenti sul territorio. Anzi si rischia di gettarli tra le braccia di organizzazioni criminali che offrono loro la garanzia di quei servizi primari negati dallo Stato. Se si aggiunge l’assenza endemica di progetti di integrazione, è chiaro come in questo caso abbia prevalso l’aspetto ideologico”. Non certo un giudizio tenero… “Non può essere altrimenti. Un esempio: come si può contestare il reato di immigrazione clandestina (per giunta, probabilmente, incostituzionale), se la sanzione di tale reato non può essere retroattiva alla legge? E’ evidente l’inapplicabilità di questa legge. Non solo: mancano alcuni elementi decisivi: troppo onerosi i costi del permesso di soggiorno (circa 200 euro) per un servizio scadente, il mancato aumento del personale delle forze dell’ordine, nessuna misura per favorire il ricongiungimento familiare”. Una strategia che non convince, insomma “La filosofia del legislatore è viziata all’origine. L’immigrazione in Italia è un fenomeno in costante crescita. A fronte di 16.000 presenze certificate nella provincia di Ragusa, ad esempio, almeno altre 10.000 sono clandestine. Nello stesso tempo, l’11% del Pil italiano, si basa su questa forza lavoro, per giunta irregolare e dunque non sottesa agli obblighi fiscali. Per non parlare del livello demografico, in crescita solo grazie agli immigrati. Non si ci vuole rendere conto della realtà”. Qualcuno, evidentemente, chiede sicurezza, innanzitutto. “Di tutta la popolazione immigrata presente sul territorio italiano solo il 2-3%, è “impegnata” in attività delinquenziali. E molto spesso, l’organizzazione che prospera alle spalle, ad esempio, del pusher tunisino, è di origine italiana. Bollare gli immigrati come delinquenti non è solo stupido, è falso. O vogliamo considerare il reato di immigrazione clandestina una chiara attività delinquenziale?” Un deciso J’accuse verso il sistema previsto. “Affrontare questo tema difficile, stimola contraddizione, superficialità e confusione. Bisognerebbe attivare un cambiamento di tipo culturale, poichè l’immigrazione è un fenomeno strutturale della società italiana, con il quale dobbiamo imparare a convivere. Gli “irregolari” così definiti, permettono agli allevamenti del Nord ed alla serricoltura nelle nostre zone di continuare ad esistere, occupando un settore che la nostra società non sarebbe in grado di mandare avanti. Li vogliamo rispedire a casa, eppure nel campo delle politiche di aiuto ai paesi in via di sviluppo, siamo il fanalino di coda, con impegni spesso disattesi”. E’ indubbio comunque, che in Italia oggi sia presente una mentalità sfavorevole all’immigrazione. “Che leggi di questo tipo favoriscono, e le conseguenti campagne mediatiche alimentano, irrigidendo i rapporti personali e trovando terreno fertile nell’ignoranza di un fenomeno esteso e complesso. Un esempio per tutti: famiglie di immigrati da 30 anni sul territorio, trovano ancora difficoltà enormi ad integrarsi in un tessuto sociale, nonostante gli sforzi compiuti. E’ accettabile tutto questo?” La schizofrenia politica e sociale, è molto difficile da curare. “Perché il nostro buonismo di massa, si è trasformato a poco a poco in un cattivismo malcelato. La strategia messa in atto in questo campo dall’Unione Europea ne è l’emblema principale. Un altro esempio: L’UE favorisce politiche di formazione per stranieri attraverso i fondi FEI, in vista di una futura presenza in Italia. E poi inserisce lo sbarramento delle quote all’ingresso degli stranieri. E’ il sintomo di un percorso di integrazione ancora imperfetto, di assenza di progetti a lungo termine, che creano, negli anni, enormi danni sociali”. Il caso Santa Croce, è l’emblema di questa convivenza difficile: la comunità indigena si sente accerchiata dalla soverchiante presenza di immigrati, con un rischio sociale altissimo. “Santa Croce Camerina è un unicum anche a livello europeo. Ed è il segno dell’assenza di progetti di integrazione razionale e di sviluppo armonico a tutti i livelli (da noi denunciati da tempo) che oggi, senza controllo e senza strumenti adatti, ha provocato questo corto circuito. Una spia utile a riflettere su come non si devono affrontare fenomeni di questo tipo senza preparazione e senza progettualità. A tutto questo si aggiunge che a lamentare i problemi derivanti dai nuovi ingressi, sono gli stessi cittadini tunisini, immigrati di prima generazione. Un caos, insomma, di difficile soluzione”. Nessuna speranza per il futuro, su questo tema? “Non proprio. Il disagio esiste, ed è un fatto. Ma nonostante l’assenza a livello nazionale di politiche d’integrazione di qualsiasi tipo, le amministrazioni locali iblee testimoniano una grande sensibilità con diversi tentativi sul territorio, in questo senso. Il progetto Black and White, avviato dal comune di Ragusa, o i percorsi d’integrazione scolastici degli istituti provinciali, sono elementi interessanti e meritevoli di ulteriore fiducia. Insieme ai dibatti ed ai confronti avviati a livello provinciale con gli enti pubblici, possono essere utili strumenti, per capire ed affrontare al meglio il fenomeno immigrazione. Siamo molto fiduciosi in una riapertura e riattivazione di politiche concrete di integrazione ed accoglienza su questo tema. Del resto, non possiamo proprio fare altrimenti”.