C’era una volta, e forse c’è ancora, il pane fatto in casa, anzi “u pani i’ casa” preparato il sabato mattina nei forni a legna che non mancavano mai in nessuna dimora. L'idea del pane rimandava più che ad un pensiero, ad un atteggiamento, oserei dire, di sacralità prettamente religiosa per il suo legame con l'istituzione dell'eucarestia (“Poi prese un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: - Questo è il mio corpo che è dato per voi, fate questo in memoria di me.” LUCA 19), ma anche laica. Guadagnarsi il pane come etica e nobiltà del lavoro onesto e sudato; e quando il caso lo richiedeva ci si levava il pane di bocca o si continuava a portare il pane a casa nonostante la fatica, le tribolazioni, gli affanni, le umiliazioni che il lavoro comportava perché “u pani è mienzu e spini” [il pane è in mezzo alle spine]. La sacralità del pane risiedeva anche nella sua bontà e nella sua genuinità. Nei ricordi d'infanzia poche cose possono competere con il profumo e il sapore del pane, con il rito di questa liturgia settimanale di fare il pane in casa. Nella cultura popolare-contadina il rito laico si intrecciava strettamente a quello religioso, ragione per cui la farina dell'impasto veniva "aperta" da una croce tracciata con la mano destra, oppure ancora le litanie, le preghiere e le invocazioni che accompagnavano ogni fase della panificazione: “mpastari ntà maida” [impastare nella madia] prima, ovviamente “co’ cruscenti” [con il crescente], “scaniari” [lavorarlo] dopo “cà briula e u briuni” [la briula e il briuni, gli arnesi cioè che servivano a lavorarlo] fino a quando “nun pigghiava facci” [non era pronto, “aveva la faccia giusta”]. A questo punto si declamava: - “L'Angilu passa a razia ci lassa, l'Angilu passau a razia ci lassau” [l’Angelo passa e la grazia ci lascia, l’Angelo è passato e la grazia ci ha lasciato]; dopo di che si dava all'impasto la forma dei vari pani: “cudduri e cuddureddi” [le due diverse forme che si danno al pane]. Seguiva la lievitazione “mittiennu u pani o liettu” [mettendo il pane nel letto, a riposo], liettu che bisognava sistemare e ricomporre appena infornato il pane per scongiurare il pericolo che non venisse buono; e infine la cottura nel forno a legna precedentemente “iardutu che fraschi” [portato a temperatura con le frasche]. Emblematica la frase che la massaia pronunciava chiudendo il forno dopo aver infornato l'ultima forma di pane: - Chistu a fattu iu, ora pensaci tu, Diu [Questo l’ho fatto io, adesso pensaci tu Dio]. Dio ci pensava così tanto da ricompensare donne e uomini con pane così buono che ancora oggi per indicare una brava persona si dice “è un pezzo di pane” oppure “è buono come il pane”. Pane così buono perché sudato, lavorato, guadagnato da brave persone, ma queste sono storie di altri tempi...
© 2023 Operaincerta. Design by W3Layouts