Il Giappone: un altro mondo in tutto, ma veramente! Cose da pazzi! Ma come fanno a mangiare con due bastoncini? Ci riescono benissimo. In effetti, se si impara ad usarli, è come avere una pinza in mano, e con la pinza acchiappi meglio che con la forchetta. Anche gli spaghetti? Anche gli spaghetti! Li acchiappi, te li porti in bocca e risucchi. Puoi farlo, non è maleducazione. È bello il risucchio e ti rifai da quando, bambino, te l’hanno proibito. Una bella soddisfazione! Finalmente! Già solo questo merita un viaggio in Giappone. Ti puoi togliere le scarpe. Sali sull’autobus e vedi che si tolgono le scarpe. Non è maleducazione. Te le togli anche tu e senti che i piedi godono. In casa, lasci le scarpe all’ingresso e vai in ciabatte. A casa tua come anche dagli amici. Vai in albergo, entri e ti togli le scarpe. Ti danno le ciabatte e cammini con quelle. Se vai fuori, nel giardino giapponese – belli i giardini giapponesi – lasci le ciabatte e trovi gli zoccoli. Rientri e ritrovi le ciabatte. Ti danno tutto in albergo: shampoo, bagno schiuma, spazzolino, dentifricio, rasoio per la barba. Anche il pigiama: una bella tunica lunga e una giacchetta. La indossi e vai in giro per l’albergo. Vai a farti il bagno. Non è in camera. È comune. Lasci fuori ciabatte e tunica e, nudo, entri in una sala grande, con in centro una grande vasca piena d’acqua calda e alla parete tante docce. Per la verità un poco bassine. Forse perché i giapponesi non sono alti?! No, è perché la doccia si fa da seduti. Accanto ad ogni doccia c’è uno sgabellino con una dotazione di shampoo e bagno schiuma. Ti siedi, ti insaponi, ti fai lo shampoo, ti sciacqui e ti immergi nella grande vasca, ti godi l’idromassaggio e ti rilassi. Una voluttà! Ci sono pure i bagni pubblici. La sera, prima di rientrare a casa, vai al bagno pubblico. Sul solito sgabellino ti lavi per bene e ti immergi nelle vasche. Sono grandi e con acqua a diversa temperatura: fredda, da 30 a 35 gradi, da 35 a 40; da 40 a 45. C’è anche quella esterna: il corpo immerso nell’acqua calda, la testa al fresco e respiri aria pura. C’è anche la sauna. Sono separati: per uomini e per donne. Ci sono anche quelli misti. Un altro mondo ragazzi, proprio un altro mondo! M’è venuto il mal di schiena. L’avevo un po’ alla partenza e tredici ore di aereo l’hanno aggravato. M’ero portato delle fiale di Voltaren. Vado in farmacia per comprare delle siringhe. Non si può. Come non si può?! Non si può, bisogna andare in poliambulatorio. Andiamo. Mi tolgo le scarpe, mi registrano e mi accompagnano da un medico. Gli faccio vedere la scatola di Voltaren, mi dice che anche loro lo usano ma ad una concentrazione più bassa. Mi visita, mi fa muovere le gambe, mi martella le ginocchia, mi ordina i raggi. Mi accompagnano in sala raggi, mi stendono sul lettino, mi fanno i raggi e ritorniamo dal medico. Mi spiega la situazione e finalmente mi autorizza a fare le punture. Mi fornisce quattro siringhe con doppio ago (uno per tirare il liquido e uno, più sottile, per iniettare), una panciera elastica, quattro cerotti da appiccicare alla schiena, referto (in giapponese), fattura pari a circa cento euro. Il tutto in mezz’ora circa, senza prenotazioni e andare di qua e di là. Tutto un altro mondo! E il bidé?! Vedi il vaso e non vedi il bidé. Non c’è? E invece c’è, anche se non si vede. È automatico. Incorporato nel copri vaso. Al posto del perno che unisce asse e coperchio c’è un apparato elettrico (Panasonic o di altra ditta) che provvede a riscaldare l’asse che accoglie con tepore le cosce nude e attiva il bidè. Dopo avere usato la carta igienica, ti insaponi e ti risiedi. Premi un pulsante ed un getto di acqua, a temperatura regolabile, ti sciacqua il sedere per bene. Premi un altro pulsante ed un getto d’aria, a temperatura regolabile, ti asciuga per bene. Ne ho visto uno a tre modalità indicate da relativo disegnino: spruzzo e doccia per ambo i sessi, doccia ampia per le signore. Una sciccheria! La scrittura ideografica ti disorienta. I supermercati ti disorientano. Non capisci, nelle confezioni, cosa è commestibile e cosa no. Le verdure, ti rendi conto che sono verdure ma come cucinarle? Ho visto un frutto tondo e grosso colore beige. Domando: una mela? No, una pera! Le uova sono invece identiche. Ed anche le banane. Un sospiro di sollievo: con uova e banane la sopravvivenza è garantita. I treni sono precisi. Non solo negli orari ma nel punto in cui si fermano. Sempre lo stesso, per cui è indicato sul marciapiede l’apertura della carrozza con relativo numero e così aspetti dove hai prenotato. Da Kyoto a Tokyo il treno è arrivato dieci minuti prima dell’orario di partenza. Non era in anticipo. In dieci minuti una squadra di donne con giubba arancione, dirette da una capa, ha: cambiato tovaglietta bianca poggia testa; spazzato pavimento e sedili e invertito la direzione di questi. Quindici carrozze! Entri e trovi tutto pulito e viaggi seduto nella stessa direzione di marcia del treno. Il tutto svolto con una semplicità elementare sotto gli occhi dei viaggiatori. Sono seduto nel sedile del corridoio, davanti un signore e, alla sua destra, nel sedile vicino al finestrino, una giovane mamma con un bambino di tre anni circa. Il bambino, dopo un po’ si agita, piange, si dispera. Nel silenzio generale la cosa ha un certo risalto. La madre imbarazzata è in difficoltà. Più tenta di calmare il figlio e più questo grida. Mia figlia ha febbre e mal di testa, dice: lo strozzerei! In italiano! Mi alzo, faccio un passo avanti, mi giro e comincio a dialogare col bambino. Col linguaggio internazionale: lo attiro con qualche monosillaba e poi linguaggio del corpo ed espressioni del viso. Il bambino mi risponde, si calma, cessa di piangere e andiamo avanti per un bel po’. Lo assecondo e rilancio, anche lui rilancia e io rispondo. Nel dialogo coinvolgo anche la madre. Va coinvolta anche la madre. L’esclusione la umilierebbe e il bambino si sentirebbe abbandonato davanti ad uno sconosciuto. È anche molto carina, la giovane mamma. Minuta ma ben in armonia nei lineamenti e nelle forme. Avverto la sua femminilità. Come lei avverte la mia mascolinità. È naturale che ciò accada. C’è però qualcosa che non mi quadra. M’era successo già davanti ad altre giapponesine molto carine. Mi mancano i riferimenti a cui siamo abituati: tette e culo! Vi ricordate Amarcord, il film di Fellini? I ragazzi che, al mercato, si eccitano a guardare i culoni delle contadine nell’atto di poggiarli sul sedile della bicicletta. E la scena magistrale con le tette monumentali della tabaccaia. Le giapponesi, anche quelle carine, non hanno né tette né culo. Eppure sprigionano femminilità. Eccome! C’è poco da fare ragazzi, è tutto un altro mondo! Mi accorgo che il discorso col bambino è esaurito, ora non ha più interesse per me, è sereno, la mamma è distesa, ritorno al mio posto e loro due proseguono tranquilli il viaggio. Quando scendono mi salutano con sorriso ed inchino. Non manca mai l’inchino nei saluti giapponesi. Ricambio. A Kyoto, ammiriamo bellissime e buonissime torte nella vetrina di una sala da tè all’inglese e molto raffinata. Dico a mio figlio di comprare quattro fette di torta di mele. Entra, parla in giapponese e il capo sala gli fa segno che è chiuso. Deluso invito mio figlio ad insistere. Papà, non fare così, i giapponesi sono precisi, non c’è nulla da fare. Ma era un giapponese con la faccia simpatica e vado avanti io col mio linguaggio. Anche a me fa segno con le braccia che stanno per chiudere. Jai a ragghiuni, gli dico, ma viri si quattru fedi, bedi e tagghiati, ne ntrusci e ne puttamu [Hai ragione, gli dico, ma vedi queste quattro fette, già tagliate, ce le avvolgi e ce le portiamo]. Mi capisce al volo e perfettamente, mi sorride, chiama la ragazza e le ordina, in giapponese, di darmi le fette di torta. Rivolto a mio figlio: Lucio, i giapponesi saranno precisi ma cristiani come a noi sono!
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