Senza lilleri un si lallera. Così recita un motto in dialetto toscano il cui significato è: senza soldi non si fa nulla. Eppure, in piena crisi economica ciò che distingue gran parte degli italiani sono le tasche vuote. Salari, stipendi e pensioni scesi a picco e conseguente riduzione del potere d'acquisto sono il risultato di manovre finanziarie che si fatica a comprendere. Nel vuoto politico che caratterizza l'operato dei nostri governi, nulla è stato fatto per frenare il progressivo innalzamento del costo della vita che, in alcuni settori come quello energetico ed alimentare, ha raggiunto livelli non più sostenibili. Nel frattempo, la pressione fiscale sui redditi da lavoro dipendente è diventata enorme. Gli italiani si confrontano quotidianamente con tutto questo, provano a fare miracoli per sopravvivere ed assistono al veloce deterioramento della loro qualità della vita. Come se non bastasse, devono ascoltare le parole di incoraggiamento e speranza, diffuse da coloro che di fare sacrifici non se ne parla: i politici. Dal vuoto cosmico in cui vivono, ci fanno sapere che "il nostro Paese ha sempre dato il meglio di se nei momenti difficili" e, conseguentemente, gli italiani "devono nutrire fiducia in se stessi". Ricorda molto quel richiamo all'ottimismo che veniva spacciato come l'antidoto che avrebbe salvato il Paese da quella crisi che aveva iniziato a divorare il mondo. Sappiamo com'è andata a finire. Come si può nutrire fiducia in noi stessi quando non si coglie alcun segno di rinnovamento nel panorama politico ed economico italiano? Provoca sconcerto ascoltare coloro che dipingono il nostro Paese capace di scatti d'orgoglio quando, poi, sono gli stessi che hanno deriso, tradito, calpestato la nostra fiducia e si sono resi responsabili dello sfascio che ci sta travolgendo. Ritrovare fiducia in noi stessi, nel nostro avvenire ed in quello dei giovani, non è un esercizio di autoconvincimento ma una complessa questione di aspettative e possibilità che, oggi, sembrano definitivamente negate. Impedite proprio da coloro che, già da tempo, hanno sottratto alle nostre vite il bene più prezioso: la sovranità in uno Stato Nazione. Tutto ciò che oggi, come singoli individui e come soggetti che fanno parte di una società, dovessimo ritenere necessario per il nostro futuro e per quello della società in cui viviamo, quindi decidere, dunque esercitare la funzione primaria della politica, siamo impossibilitati a farlo per aver delegato ad altri funzioni e prerogative che dovevano restare nostre. Come si può sperare nel nostro futuro, quando la sua sorte viene decisa da altri? Dipendiamo sempre più da organismi finanziari sottratti ad ogni controllo parlamentare e di governo. La recente crisi politica, provocata dalla violenta aggressione dei mercati al nostro sistema economico, si è sostanzialmente risolta con una rinnovata dichiarazione di uno Stato d'eccezione, legittimato da un nuovo governo di professori, economisti ed imprenditori che, a tempo di record, ha varato una manovra finanziaria con il consenso della quasi totalità di quel Parlamento che nulla aveva fatto per evitare che piombassimo in uno stato di emergenza economica. Ignorati i rappresentanti delle parti sociali e ignorata la volontà popolare. Soddisfatti i mercati, le banche ed il sistema finanziario speculativo. Se guardiamo oltre i nostri confini, la speranza si trasforma in terrore. L'Europa nazione, immaginata dopo la seconda guerra mondiale e che nel 1949 vide la luce con il Consiglio d'Europa, assemblea politica nata con lo scopo di difendere i diritti umani e dei popoli, si è lentamente trasformata in una comunità economica, poi d'affari e infine bancaria. Totalmente ignorati i popoli, uniti da una moneta ma non da uno Stato. Ed è la moneta e tutto ciò che essa alimenta che va salvato e non gli individui: il diktat franco-tedesco sui modi e sui tempi necessari per ridurre il debito pubblico italiano e scongiurare la bancarotta del Paese, contenuti in una lettera della Bce, sottoscritti per accettazione dal Governo Berlusconi ed attuati da quello Monti, è ciò che significa salvare un sistema finanziario e non coloro che sono chiamati a fare sacrifici immani. E' vero, i debiti si pagano. Cosa pensare, tuttavia, di quello che sta accadendo in Grecia, un Paese da un passato glorioso e da un futuro che definire incerto è da ottimisti, devastato da una crisi economica i cui effetti sono paragonabili a quelli causati dall'invasione tedesca del 1941? Gli "aiuti" promessi dal Fondo Monetario Internazionale, dalla Banca Centrale Europea e dall'Unione Europea, quest'ultima sempre rappresentata dall'accoppiata franco-tedesca, sono subordinati ad una serie di riforme strutturali del "sistema" Grecia che, come effetti conseguenti, stanno riducendo alla fame il popolo greco e, ancor più, causando l'insorgere di fenomeni preoccupanti come l'aumento dei suicidi, la malnutrizione diffusa e l'abbandono dei minori. La Grecia è stata, da sempre, il Paese con il più basso tasso di suicidi in Europa. Nei primi 5 mesi del 2011, quel tasso è cresciuto del 40% e, oggi, la Grecia è al primo posto, mentre i suicidi aumentano con il precipitare del Paese verso il default. Nessuno è immune dal rischio povertà e disperazione. Ha destato emozione, soprattutto in rete e tra i bloggers, la notizia diffusa su internet a metà febbraio, di un'impiegata greca che, disperata, ha tentato il suicidio da una finestra dell'ufficio in cui lavora. La donna, madre di due figli di cui uno disabile, insieme al marito è tra i 1.500 dipendenti dell'Agenzia governativa greca Oek che eroga mutui agevolati alle famiglie a basso reddito. L'Agenzia, a seguito delle misure di austerità decretate dal Parlamento greco, verrà soppressa. Siamo ostaggi di un organismo intergovernativo che prende decisioni economiche e finanziarie sulla pelle di milioni di europei, gravati da problemi diversi ma uniti da un solo comune denominatore: le tasche vuote. Fiducia nel futuro? Se non torniamo sovrani delle nostre vite e del diritto a programmare un futuro, saranno solo incubi.
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