Aprile 2012

IL SEGRETO DELLA MEMORIA

Roma e i suoi ponti


Marta Leggio

Penso al film la “Finestra di fronte” di Ozpetek, alla musica di Andrea Guerra e alla scena in cui Giovanna Mezzogiorno ci spiega che il segreto della memoria è riuscire a trattenere immagini e sensazioni di persone o luoghi che non vedremo più. Il segreto di Roma e quindi la memoria di questa città sono racchiusi nei tanti ponti che attraversano il Tevere e che decorano Roma come il tulle su un vestito. “Sui ponti di Roma gli amanti la notte si dicono la verità e parlano e piangono piangono e toccano e intanto c'è l'acqua che va” cantava Gianmaria Testa. Il ponte è un luogo quasi segreto, su cui le persone si incontrano di nascosto, velocemente, prima di disperdersi nelle viuzze affollate della città alle prime luci dell’alba. Il ponte unisce la città di Roma, la estende, le permette di consapevolizzare la propria bellezza grazie al riflesso di Castel Sant’Angelo o di San Pietro sul Tevere. La costruzione dei ponti è legata all’estensione stessa della città che ha inglobato le tante comunità che abitavano sui due versanti del Tevere. Il ponte più vecchio di Roma è il Ponte Emilio, chiamato dai romani anche Ponte Rotto nel momento in cui dal III secolo, anno della sua costruzione, non è più stato modificato e ha subito così la storia di Roma. Molte volte sono stati i Pontefici, il cui termini significa proprio “costruttori di ponti”, a volere la loro costruzione. Una leggenda popolare ci narra che il Ponte Fabricio fu chiamato “Ponte dei quattro capi” poiché il Papa decapitò i quattro architetti incaricati per la restaurazione del ponte dopo che si vennero a creare discordie tra di loro. È ancora oggi visibile un unico blocco di marmo raffigurante quattro teste che molti ricollegano ai quattro architetti. Ponte Sant’Angelo, uno dei più appariscenti di Roma, è un tappeto rosso su cui la gente sfila prima di raggiungere il mausoleo di Adriano. Questo ponte, crollato a causa di una mula imbizzarrita tra la folla di pellegrini durante il Giubileo, fu poi ricostruito nel periodo rinascimentale. E dopo la brutale trovata di appendere le teste dei decapitati sulle spallette del ponte si pensò bene di esporre sculture di santi e di renderlo scenografico con l’intervento del Bernini e dei suoi allievi. Quelli del “anvedi che è per sempre” frequentano il Ponte Milvio, famoso per la movida romana e calpestato da tutti gli innamorati che si prestano a sigillare il loro amore con lucchetti da appendere nei lampioni. Tradizione inaugurata da Riccardo Scamarcio in “Ho voglia di te”, sequel di quel film ben più famoso che tutti negano, mentendo, di aver visto. Immagini diverse si affollano nella mente dei romani che pensando al Ponte Duca D’Aosta si immaginano folle di romanisti con sciarpe della A.S. Roma che si affrettano a raggiungere lo stadio. Sempre vicino all’Olimpico, è stato costruito da poco il Ponte della Musica, costruzione estremamente moderna che ricorda un po’ i ponti di Santiago di Calatrava e unisce l’opera di Renzo Piano, l’Auditorium Parco della Musica, ad uno dei più noti musei di Roma, il Maxxi. Vi sono poi i tanti ponti affollati, da cui passano i tram, quelli che attraversano le ferrovie e in cui spesso i romani si lasciano andare in turpiloqui a volte divertenti. Ponti di certo non come quelli ripresi dalle cineprese di Woody Allen in “To Rome with love”. I ponti portano con sé un significato molto suggestivo dal momento che uniscono annullando la distanza e quindi permettendo l’impossibile. Quelli che sorgono nella parte storica della città suscitano però una bellezza particolare perchè brillano di spensieratezza data dai tanti turisti e giocolieri presenti. È bello a volte fingersi turisti della propria città, meravigliarsi dei monumenti che ci circondano e non essere come quei romani che passando da Via dei Fori Imperiali non si voltano a guardare il Colosseo. Solo noi italiani riusciamo a elogiare il nostro Paese, magari fotografando una nuova cartolina da spedire all’estero, eliminando i vecchi stereotipi e magari anche i parassiti che accecano la bellezza dell’Italia. Nell’attesa che avvenga ciò, non possiamo comunque criticare una Julia Roberts che mangia non riesce ad inforcare i bucatini in “Mangia prega ama” o un grande regista come Woody Allen che “prova” a elogiare un grande italiano come Fellini nel suo ultimo film. Infatti questo tipo di critica da bar, superficiale e anche presuntuosa, è propria dell’italiano stereotipato da cui noi fuggiamo.