La camicia. La camicia bianca. L’eterna divisa dell’uomo per bene. Che potere potrebbe avere una camicia? Potrebbe una camicia bianca causare soprusi, violenza, addirittura morte? Reiner Wegner è un insegnante che vuole spiegare alla sua classe gli orrori dell’autarchia. I ragazzi non hanno paura: sono tedeschi e dopo aver generato i mostri nazisti sanno che la loro ragione non andrà a dormire di nuovo. Wegner li mette alla prova. Formare un movimento giovanile è il compito. C’è il nome, L’Onda, c’è un saluto segreto, c’è un simbolo, c’è una divisa: una immacolata camicia bianca. L’Onda prende piede. Si stampano tessere e adesivi. L’intera Berlino è presa d’assedio da graffiti e stampe de La Grande Onda di Hokusai. L’Onda comincia a fare proseliti. Il movimento si allarga, la folla nella scuola è sempre più punteggiata dalle immancabili camice bianche. Camicie perfettamente candide che annullano l’identità individuale, annullano il contrasto sociale, annullano le reciproche differenze. Ma il pericolo del fanatismo è dietro l’angolo e i membri de L’Onda ne faranno esperienza a loro spese. I film come L’Onda sono importanti. Solo un film è capace di trasmettere non solo a livello mentale ma anche a livello visivo quella che è la fenomenologia del Male. In questo caso il Male si nasconde in Germania, nella gioventù tedesca presuntuosamente convinta che la passata esperienza nazista possa salvarli dal ricadere nella trappola autarchica. Ciò che urta di più in questo film è che la storia narrata è vera: gli eventi si svolsero alla fine degli anni ’60 in California, il movimento si chiamava La Terza Onda e anche lì ci furono ghettizzazioni, atti minori di bullismo e discriminazione. È interessante vedere come regia e sceneggiatura non arrossiscano davanti al parlar chiaro fin da subito, ignorando bellamente ogni tabù, per scottante che sia (come appunto il nazismo in Germania). Ed è proprio il tabù del nazismo ad essere affrontato a faccia aperta, senza tentennamenti o riserve di sorta. Questo esplicito riferimento al passato nazista della Germania (passato che i tedeschi fanno finta di non vedere, bollandolo come oscuro e sorpassato) rende L’Onda un film particolarmente caustico e velenoso per la società tedesca, ma lo salva dai limiti di un nazionalismo troppo chiuso grazie all’universalità del messaggio: o si sceglie la forza attraverso la disciplina, l’azione e l’unità o si sceglie il caos indifferenziato, con il dettaglio che la disciplina, azione e unità sono foriere di violenza e discriminazione mentre il caos garantisce una relativa ma instabile pace. Altro punto interessante è quello dell’identità. Wenger dimostra ai suoi alunni come il marciare in perfetto sincrono possa permettergli di lavorare e pensare come una creatura unica. La camicia bianca, divisa del movimento, annulla le differenze razziali, sociali e culturali. Il saluto comune ai membri del gruppo, i simboli e le ideologie provvedono a creare una copertura efficace e così L’Onda parte. Avere un’identità definita comporta delle responsabilità: bisogna farsi carico dei propri limiti e difetti, bisogna accettare i propri problemi, bisogna sopportare la propria dose di dolori pubblici e privati. Ma L’Onda lava via tutto: con la camicia bianca addosso non si è più ricchi o poveri, non si è figli di genitori distanti, non si è più chiusi in relazioni frustranti perché il gruppo, l’identità collettiva annulla le magagne particolari. Il dilemma del film è proprio questo: essere se stessi e accettare esclusione, dolore e solitudine o rinunciare a se stessi e trasformarsi in creature indottrinate e acritiche? La pace che il far parte del gruppo garantisce è una pace vera ma che si basa sullo schiacciare la pace altrui: meglio provare un senso di tregua dalla battaglia con la vita subito o aspettare in eterno che arrivi una tregua? Il film ci fa capire che entrambe le strade portano nello stesso luogo: da nessuna parte. E, possiamo dirlo, il pessimismo de L’Onda è una pillola amara, amarissima, ma necessaria. Gli studenti de L’Onda sono un gruppo eterogeneo, perfettamente plausibile: si va dalla ragazza alternativa, al riccastro bullo, allo sportivo muscoloso e bietolone, al frustrato fanatico fino al buffone della classe. L’Onda travolge tutti, scatena violenza, ispira superbia, spinge al vandalismo. Basta una camicia bianca, degli ideali posticci in cui credere, un saluto in codice e una causa comune e la situazione è pronta a sfuggire di mano. Interessante è il vedere la facilità con cui tutte queste persone, così diverse e con problemi così diversi, siano pronte a rincorrere una bandiera qualsiasi pur di avere qualcosa per cui schierarsi. Nel film si critica l’egoismo che porta alla competizione fra singoli: ebbene quello de L’Onda non è altruismo, ma egoismo su larga scala che porta un gruppo ad agire come un’entità unica. Molte menti, un singolo egoismo. Un film così corale e, dunque, così delicato (è cosa difficoltosa tenere in equilibrio tanti personaggi insieme) trova la sua forza sia nella sceneggiatura rapida e sagace, capace di colpire al punto giusto senza mai sprecarsi o sbavare, sia nella regia ferma e vagamente videoclippara di Dennis Gansel che racconta una storia giovane con uno stile giovane, fresco, pieno di energia e voglia di fare. Bravi sono anche gli attori. In testa il professor Wegner di Jürgen Vogel, poi tutta la compagine degli studenti, sopra tutti quanti l’inquieto e inquietante Tim (singolarmente somigliante sia caratterialmente che fisicamente all’Alex, studente frustrato e pluriomicida, dell’Elephant di Gus Van Sant)
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