Luglio 2012

Due (MILA MILIARDI)

Il default di uno Stato e gli incubi indotti


Carlo Poerio

Riflettendo sul tema di questo numero di Operaincerta sono stato agitato da due pensieri contrapposti che vertevano su un unico quesito: cosa proporre ai lettori? Se mi guardavo attorno percepivo un’Italia spensierata, impegnata nel solito cazzeggio estivo sul calciomercato, sui 150mila preservativi distribuiti agli atleti olimpionici, sulle vacanze dei vip e pronta a chiudere per ferie, come il nostro Parlamento. Mi dicevo che era assurdo, in pieno agosto, proporre una riflessione sui pericoli che minacciano il nostro Paese, al pari di Grecia e Spagna. Però se pensavo alla mia esperienza con Operaincerta, seppur limitata nel tempo, mi convincevo che i suoi lettori sono curiosi, approfondiscono e riflettono nonostante sia agosto. Un pensiero che, alla fine, ha avuto il sopravvento e quel “due”, tema del mese, accostato a “mila miliardi”, è diventata la mia riflessione. 2 mila miliardi è il nuovo, prossimo traguardo del debito pubblico italiano. Non è facile immaginare quanto denaro sia. Possiamo farcene un’idea, credo, se pensiamo che oggi ogni italiano, compresi i neonati, ha un debito di 33mila euro con lo Stato. A maggio, la Banca d’Italia comunicò che eravamo arrivati a 1.966 miliardi e 303 milioni di euro. 17 miliardi in più rispetto ad aprile e nonostante le riforme del sobrio governo dei tecnici che, molto equamente, sta spellando vivi i pensionati ed i lavoratori dipendenti, pubblici e privati. Che, però, si dedicano al cazzeggio estivo! Apro parentesi: come sono lontani, eppure attuali, i tempi in cui Enrico Berlinguer affermava che “quando si chiedono sacrifici alla gente che lavora, ci vuole un grande consenso, una grande credibilità politica e la capacità di colpire esosi e intollerabili privilegi” [1]. Chiudo parentesi. Come se non bastasse, l’agenzia Moody’s ha ulteriormente abbassato il giudizio di affidabilità dei titoli di Stato italiani, portandolo da A3 a Baa2. Ben due gradini di declassamento che provocano il più terribile degli incubi: il fallimento dello Stato. Siamo testimoni e vittime di un conflitto mondiale che seppur devastante e causa di sofferenze, come ogni guerra, risulta inedito per le modalità con cui è svolto. Bombe ed eserciti che, in passato, servivano per fiaccare la resistenza di uno Stato e poi conquistarlo, oggi sono sostituiti dallo spread e dagli speculatori finanziari. Tra questi ultimi, possiamo individuare le banche, anche quelle di altri Stati. Per agosto molti analisti hanno previsto la “tempesta perfetta”, quell’onda speculativa capace di distruggere uno Stato e che, secondo le previsioni, colpirà la Grecia, la Spagna e l’Italia. Mentre scrivo questa riflessione per Operaincerta, non sono in grado, ammesso che lo sia, di prevedere cosa accadrà ad agosto e quale destino ci riserva il futuro. Qualunque cosa accada, però, credo sia necessario capire “chi ci guadagna” da tutta questa tragedia e, in futuro, tenerne memoria. Prendo ad esempio il 22 luglio, giorno in cui l’Italia e la Spagna furono l’obiettivo di un pesante attacco speculativo che portò il nostro spread a quota 529 e quello spagnolo a 642. Il giorno dopo, un articolo di Stefano Feltri dal titolo “Italia e Spagna affondano. Il panico ora per ora”, apparso su Il Fatto Quotidiano, raccontava quanto era accaduto. La giornata era iniziata alle 9, con gli operatori europei che alla Borsa di Hong Kong vendevano l’euro ai minimi, rispetto allo Yen, come non accadeva da 12 anni. Lo stesso fenomeno si ripeteva nelle Borse europee, dove l’euro era in ribasso rispetto al dollaro. Il giornalista, cito testualmente, raccontava: “chi osserva i terminali di Bloomberg nota che sono le banche tedesche a dare il ritmo: fissano rendimenti sempre più alti per i titoli di Stato italiani e spagnoli, cioè spingono gli spread al rialzo”. I gruppi bancari di altri paesi, dopo un’iniziale ma breve incertezza, seguirono l’esempio tedesco e gli spread aumentarono in modo vertiginoso. La Borsa di Milano crollò e già alle 9,30 venivano sospesi i principali titoli di listino, per eccesso di ribasso. Alle 10 aprì la Borsa di Atene. Quella mattina circolavano indiscrezioni (tedesche) circa il blocco degli aiuti alla Grecia, da parte del Fondo Monetario Internazionale. Il ministro delle finanze tedesco, inoltre, aveva dichiarato al quotidiano Bild che se la Grecia era in ritardo nel rispettare gli impegni presi con la troika, doveva recuperare. Qualche ora dopo il suo portavoce rincarava la dose, affermando che se la Grecia aveva bisogno di finanziarsi, poteva ricorrere al mercato monetario. Come a dire “preparatevi ad essere abbandonati dall’Europa”. Risultato: la Borsa greca sprofondava e lo spread saliva a livelli mostruosi. Alle 12 Piazza Affari chiudeva con una perdita del 5% e Atene del 7%. Alle 15 la Consob comunicava che per tutta la settimana sarebbero state vietate le vendite allo scoperto [2], seguita da Madrid che, però, le vietava per tre mesi. La Banca Centrale tedesca diffondeva un comunicato con il quale affermava: “chi vuole restare nell’euro deve adottare una politica economica e finanziaria responsabile, altrimenti può andarsene”. Per chiudere la cronaca della giornata, alle 17 la principale piattaforma internet di scambio titoli, Clearnet, annunciava che il debito italiano e spagnolo era diventato più rischioso, aumentando i margini [3] per chi intendeva scambiare quei titoli. A novembre del 2011 la stessa misura aveva spinto lo spread a 575 punti ed aveva provocato la caduta di Berlusconi. Non è un mistero il ruolo della Germania in ciò che sta accadendo ed il motivo, ovviamente, sono i “profitti” che realizza. Basti pensare, ad esempio, che dal 1989 al 2000, quindi in fase pre-euro, la bilancia dei pagamenti correnti della Germania era negativa per 126 miliardi. Dal 2001 al 2012, in piena fase euro, è balzata in positivo a quota 1.791 miliardi. Il nostro Paese, invece, prima dell’introduzione dell’euro aveva una bilancia dei pagamenti correnti positiva per 53 miliardi, contro i meno 388 accusati nel periodo successivo. [4] È noto a tutti, inoltre, che il bund tedesco a 10 anni, attualmente fornisce un rendimento talmente basso che se si depura del tasso d’inflazione, praticamente fornisce un rendimento reale inconsistente, se non negativo. In pratica, gli investitori stanno fornendo una sorta di ristrutturazione gratuita del debito pubblico tedesco. Infine, non è un mistero che negli ultimi mesi sia aumentato l’acquisto di imprese europee, da parte della Germania. Ovviamente non è la sola a trarre vantaggio dalla crisi che attanaglia alcuni Paesi europei. Se guardiamo oltre Oceano, a quell’America da dove, nel 2008, si diffuse il virus della bolla speculativa e della successiva crisi economica mondiale, cogliamo altri elementi su cui riflettere. Nei primi mesi del 2012, le principali banche americane iniziarono a vendere massicce quantità di titoli del debito pubblico di Italia, Spagna, Portogallo, Grecia e Irlanda (i Piigs!!), per ridurre la loro esposizione verso gli stessi. Fu una vera e propria manovra speculativa che, dopo aver faticano non poco per capirla, proverò a descrivere. Banche come Morgan Stanley e Bank of America, capaci di condizionare l’andamento dei mercati, nel primo trimestre dell’anno decisero di speculare sui titoli del debito pubblico dei Piigs, scommettendo sul loro peggioramento. Vendere grandi quantità di titoli di debito pubblico, significa far crollare i prezzi degli stessi ma, contemporaneamente, aumentarne il rendimento. Nel momento in cui iniziarono a vendere, entrarono in campo i trader [5] delle stesse banche che comprarono a prezzi ribassati, per poi vendere gli stessi titoli quando i loro valori fossero risaliti. Lucrarono per quelle stesse banche che, nel frattempo, si alleggerivano dei titoli governativi che avevano, guadagnando sulle attività di trading. Nello stesso periodo, Morgan Stanley risulta avere venduto un miliardo di Cds, i contratti assicurativi contro il rischio default dei titoli governativi, per lo più dell’Italia e della Spagna. [6] So di non essere stato sufficientemente chiaro ma spero, almeno, di aver dato il senso del “sistema perverso” che è la finanza speculativa. Chi governa, ci dice che questo è il sistema da salvare e, infatti, centinaia di milioni di euro sono stati versati agli Istituti di credito da quella stessa Banca centrale europea che, però, non può intervenire (diktat tedesco) per salvare gli Stati. Centinaia di milioni di euro che quegli Istituti reimmettono nel circuito speculativo mentre il credito per le attività produttive è, in pratica, scomparso. Il lavoro di milioni di esseri umani è sempre più difficile e precario, la qualità della vita un ricordo, il futuro è così spaventoso che sembra quasi impossibile definirne i connotati, però continuiamo a salvare le banche e non le persone. Chi si azzarda ad obiettare che “così non si può andare avanti” e che quello che stiamo vivendo è un sistema da riformare, soprattutto ri-mettendo l’uomo al centro dell’economia e non il profitto di pochi, come accade ora, si sente rispondere con lo spauracchio del fallimento della Grecia. Un ricatto che è perfettamente riuscito ed ha condizionato la quasi totalità dell’opinione pubblica, non solo del nostro Paese, terrorizzata e disposta ad accettare di tutto pur di evitare qualcosa di cui neanche conosce la reale portata. Veramente il default di uno Stato è quell’evento tremendo che (non) ci raccontano? Eppure, quasi 10 anni fa, una Nazione come l’Argentina visse l’esperienza del fallimento, dopo un lungo periodo di crisi molto simile a quello che sta vivendo, oggi, la Grecia. Anche allora imperversava la speculazione e incombevano i ricatti-aiuti del Fondo Monetario Internazionale. L’Argentina rifiutò sia gli aiuti sia di pagare i debiti, basandosi su un precedente giuridico di cui proprio la Grecia era stata l’artefice. Nel 1936 il Paese ellenico, pur riconoscendo l’esistenza dell’obbligazione, si rifiutò di pagare un’enorme debito contratto con la banca belga Société Générale de Belgique. Il governo belga, ovviamente, intentò causa alla Grecia innanzi alla Corte Internazionale della Società delle Nazioni, accusando la stessa del mancato rispetto di un patto internazionale. La Grecia rispose che l’insolvenza era giustificata dal pericolo che il pagamento avrebbe significato per il popolo e lo Stato, dichiarando alla Corte internazionale: “il Governo è preoccupato circa gli interessi vitali del popolo ellenico, dell’amministrazione, dell’economia, delle salute pubblica e della sicurezza interna ed esterna del paese e, per salvaguardare gli stessi, è necessaria una ristrutturazione del debito”. Il processo durò due anni e nel 1938 la Corte riconobbe le ragioni della Grecia, creando il precedente giuridico di cui, appunto, si avvalse anche il governo argentino per rinegoziare il suo debito. È inquietante che, oggi, il governo greco si sia “dimenticato” della sua storia giuridica, convincendo la maggioranza dell’elettorato dell’ineluttabilità del meccanismo di salvataggio Fmi-Bce-Ue. È altrettanto inquietante che in Italia si agiti lo spauracchio Grecia per continuare a colpire stipendi e pensioni, causando l’asfissia economica, politica e sociale che oggi stiamo vivendo.
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Note:
[1] La questione morale - Enrico Berlinguer - Repubblica, 1981;
[2] Vendita a terzi, di titoli finanziari non posseduti dal venditore. Si basa sulla speculazione rialzista e ribassista dei titoli finanziari;
[3] Maggiori garanzie da offrire;
[4] Dati il Sole 24 ore del 6 giugno 2012;
[5] Operatori che comprano e vendono strumenti finanziari tramite internet;
[6] Fonte il Sole 24 ore del 21 aprile 2012. Foto: http://pensieriimmaginati.myblog.it/