Gennaio 2013

La stasi della GRANDE PROLETARIA

Riflessioni


Giuseppe Platania

Sicuramente dal concetto che noi attribuiamo alla parola “treno” possiamo avviare un numero, che sarebbe irrilevante descrivere, di collegamenti e ponti più o meno forzati. Si potrebbe partire dal treno di stato, “ferrovie dello Stato Italiano”, cui la più grossa azienda è “Trenitalia S.p.A”. Si potrebbero criticare i nuovi aggiornamenti delle rotte del suo treno cavallo-di-battaglia, la famigerata “freccia rossa”, che ha , di recente, acquisito tratte internazionale per permettere, ai cittadini italiani , un turismo economico e veloce. Tutto molto bello, peccato che questi servizi siano elitari. Si parla infatti di un élite geografica che vede protagonisti del nuovo volto di Trenitalia solo le persone residenti fuori dal mezzogiorno, ancora sprovvisto di treni ad alta velocità. Sicuramente il mio è un parlare da studente fuori sede che inveisce contro un sistema di trasporti che mi riporta alla condizione di emigrante, come i siciliani, calabresi, pugliesi (e chi più ne ha più ne metta) che hanno reso il nord una sorta di sogno alla “american way of life”. Infatti arrivare a Bologna dopo diciotto ore di treno e quattro bagagli dalle dimensioni non precisate mi ha fatto calare nella parte di quei famosi emigrantes (citando Aldo Fabrizi). Purtroppo, anche per chi, come me, vorrebbe sconfessare la differenza tra nord e sud, questa esiste. Ma non è una differenza causata da una popolazione anti-terrona (scusandomi il lessico), ma da uno stato che ancora non riesce a gestire la questione meridionale, nonostante un’unità della nazione che raggiungerà quest’anno i centocinquantadue anni. Ma Bologna offre anche molto altre riflessioni, soprattutto per un meridionale che non ha ricevuto da nessun nonno informazioni sulla resistenza (dato lo sbarco americano). Mi ritrovavo in piazza Maggiore a leggere una delle tante targhe alla memoria, quando il termine “treno” ritorna a colpirmi gli occhi e la mente. Il 2 agosto del 1980 una valigetta “abbandonata” esplode causano il crollo dell’ala ovest della stazione di Bologna. Morirono ottantacinque persone e altri duecento vennero condotti in ospedale in condizioni più o meno gravi. La mia impreparazione sull’argomento non è solo frutto dell’indifferentismo che aggioga noi giovani ragazzi, accusa più che fondata, senza dubbio, ma che sceglie, deliberatamente, di tacere il motivo di tale indifferentismo. Come possono i ragazzi di oggi, appena entrati nell’età del voto, scegliere saggiamente, quando i programmi di ultimo anno liceale, si fermano alla seconda guerra mondiale o all’inizi della guerra fredda? E’ una domanda retorica, quindi che nessuno si affanni a rispondere. Ovviamente non possono. Qui il collegamento si fa più intrinsecamente pieno di significati, infatti possiamo vedere straripare le università di associazioni studentesche che inneggiano a valori glorificati dalla propaganda fascista (vedi casa pound), o inclini ad assecondare il mito leninista. Tutto questo è anacronistico. In una crisi sociale, politica, culturale come quella in cui versa oggigiorno lo Stato Italiano, sembra quasi un ritorno a quella volontà di violenza che ha alimentato la paura dei cittadini italiani costruita dai moti del ’77 dall’omicidio moro, dalla sopracitata strage di Bologna. Facendo un passo indietro, l’Italia, in quegli anni, versava in una crisi economica e politica più o meno simili a quella odierna. La Dc perdeva elettorato scossa dalle lotte intestine e dalla corruzione dilagante, che finirà con “mani pulite”, ma già vent’anni prima si era a conoscenza di come andavano realmente le cose. Siamo negli anni del ricongiungimento tra il partito democristiano e quello comunista, infatti l’opposizione dettata dal PCI era confluita nel compromesso storico tanto voluto da Berlinguer e Moro. L’Italia giovane, nata e cresciuta sotto la dittatura partitocratica, stanca delle bugie di una politica fatiscente, si ribellò tentando di eliminare l’istituzione stessa dello stato (come ricorderete Moro sarebbe diventato presidente della repubblica se non fosse avvenuto il rapimento). Forse c’è davvero un eterno ritorno dell’uguale all’interno della storia. Le differenze tra la prima e la seconda repubblica sono labili. In Italia i politici hanno sempre preferito lo stato ideale piuttosto che pensare a quello reale. Che sia il ritorno di un nuovo momento di paura e di solidarietà nazionale? Forse ci vorrebbe un cambiamento culturale ed etico all’interno di quest’Italia prima di potersi appellare a una tanto osannata terza repubblica.