Non era piaciuto, non era piaciuto affatto a Truman Capote l’adattamento del suo Breakfast at Tiffany’s (1958) fatto in quegli inizi di anni sessanta da Blake Edwards e George Axelrod. A causa delle tante omissioni, per i tentativi di addomesticamento del testo, lo scrittore si mostro alquanto contrariato della pellicola. Volle esser presente ad alcune riprese e fu un errore, acquistare i diritti di un libro, non da diritto a stravolgerlo, si diceva. Aveva ragione, non si può farlo, ciononostante il film è stato ed è un capolavoro, una delle migliori commedie sofisticate e amare che Hollywood abbia mai concepito, e quei tradimenti sono stati assolutamente salutari. Le infedeltà sono tante, ma non fondamentali, le omissioni non stravolgono la ricchezza del libro. Alcune convinzioni di Capote si sono dimostrate assurde per non dire in palese contraddizione con lo stesso testo. Lo scrittore, si disse, avrebbe voluto nella parte che fu della incommensurabile Audrey Hepburn una più appariscente, ingenua e svampita Marilyn Monroe. Per fortuna Blake Edwards non gli diede retta. Non è tanto nell’atmosfera che le differenze tra film e libro si avvertono, è nella costruzione narrativa, nella mera trama che le divergenze sono più marcate, in cui si evidenziano alcune omissioni. Ma questo è banalmente accessorio. Nel libro la vicenda di Holiday (Holly) Golighty è raccontata da un aspirante scrittore suo vicino di casa e amico. Questi è convocato da un barista che gli mostra alcune foto fatte in Africa da un fotografo giapponese, la somiglianza tra la statuetta e Holly è sorprendente. Holly, la protagonista del breve romanzo, compare nelle prime pagine nelle fattezze di una scultura africana che la rappresenta. Joe Bell, un barista amico della ragazza, dice: “[..] Una strana scultura in legno, la statuetta oblunga e slanciata di una testa di ragazza, i capelli lisci e corti come quelli di un uomo, i dolci occhi di legno troppo grandi nel viso appuntito, e la bocca generosa, dalle labbra che ricordavano quelle di un pagliaccio. A prima vista, sembrava una scultura primitiva; poi non lo sembrava più, perché era l’immagine sputata di Holly Golightly, almeno nei limiti di somiglianza che si può avere con un oggetto nero e senza vita.” Truman Capote vedeva Holly con il volto di Marylin Monroe, ma l’attrice era lontanissima dalle linee slanciate ed essenziali di una statua africana. Edwards, invece, scorse nel profilo netto della Hepburn la materializzazione di quel modello di bellezza fatto di linee basilari tratteggiate dallo scrittore. La Monroe forse andava bene come modello di un quadro di Roy Lichtenstein, non certo di una scultura intagliata da uno sconosciuto artigiano di Tococul. Dopo l’introduzione in cui Joe Bell e Paul Varjak (il narratore) commentano la foto, inizia il lungo flashback. Lo scrittore Varjak conosce la vicina (Holly) casualmente, e casuali sono i rapporti tra i due, fatti di schermaglie affettuose, piccole avventure e feste movimentate. La ragazza è una prostituta alla ricerca di un suo posto nel mondo i cui sforzi sono tesi a mantenere quel tipo di vita attraverso ogni tipo di espediente: complice più o meno cosciente di un vecchio capo mafioso, accompagnatrice di personaggi tanto ricchi quanto volgari, amici e amiche della buona società newyorchese, prototipi di ipocrisia e insulsaggine. La protagonista è un personaggio originale, spumeggiante e eccentrica: parlando dell’uomo ideale Holly dice: “Sarei sempre pronta a prendermi la Garbo. Perché no? Una persona dovrebbe poter sposare uomini o donne o… stammi a sentire, se tu venissi a dirmi che vuoi metterti con un cavallo da corsa rispetterei il tuo sentimento.” E ancora parlando di stupefacenti: “Ho fatto un piccolo tentativo con la marijuana. Non è pericolosa nemmeno la metà del cognac”. Anche per questa visione del mondo la Holly di Capote è un animo eccezionale, lei ha pochi punti fermi, più o meno reali: un gatto senza nome (non sente di aver diritto di dare un nome a qualcosa che non gli appartiene) e un fratello lontano sotto le armi. A questo piccolo mondo, unica oasi di “verità”, in modo casuale si unisce il giovane scrittore alle prime armi, Varjak. Nella ricerca di normalità Holly spera di sposare un ricco erede cinico e sciocco, Rusty Tawler, il matrimonio sfuma, e l’interesse della ragazza si sposta su un diplomatico brasiliano raffinato e ricco. Nel frattempo il mondo di Holly, costruito su bugie e mezze verità, una barriera tesa a proteggerla, comincia a sgretolarsi. Lo scrittore fa conoscenza con un veterinario giunto in città dal Texas. Dall’uomo, Doc, viene a sapere che il vero nome di Holiday è Lulamae, Lulamae Barnes, che è sposata ed è postata proprio a Doc. Il marito è a New York per comunicare alla ragazza la morte del fratello Fred e per riprenderla con sé. È l’inizio del disfacimento del mondo di Holly: abbandonata da Rusty, abbandonata a causa della morte del fratello dall’idea di un vincolo familiare genuino, arrestata per i legami con il mafioso Sammy Tomato, allontanata dalla sua amica e coinquilina Mag Wildwood, incinta e abbandonata anche dall’uomo che l’avrebbe potuto riscattare, il brasiliano José, Holly si ritrova sola, finalmente e disperatamente sola. Il guscio è rotto, nel mondo fatto di ovatta, menzogne e ipocrisie, finto e artificiale, si aprono crepe enormi e la ragazza si trova in piena solitudine, nuda e spaesata. Inizia la traversata del deserto: il passato è spazzato via, Holly ha perso il bambino, riconquista la fiducia dell’amico scrittore e, anche se fuori dalla prigione su cauzione, decide di partire ugualmente per il Brasile. Sulla via dell’aeroporto libera il gatto, per poi pentirsene. A questo punto ha coscienza di una nuova esistenza: Il gatto senza nome è liberato e si libera solo ciò che si possiede; donna e gatto sono reciprocamente l’una dell’altro. Il gatto è sparito e Holly, prima di imbarcarsi, strappa una promessa allo scrittore: ritrovarlo. “Il protagonista non sentirà mai più Holly se non da una sola lettera pochi mesi dopo. Ritroverà il gatto, che adesso abita in una famiglia, e spera che anche Holly abbia trovato il suo posto nel mondo”. Le differenze che saltano agli occhi tra il libro e la versione cinematografica sono diverse: innanzitutto l’ambientazione, se nel libro è una New York di guerra (lo stesso fratello di Holly muore durante la guerra) quella immaginata da Blake Edwards è la capitale di un mondo proteso alla modernità alla vigilia delle forti tensioni degli anni sessanta: elegante e raffinato, tra jazz e spazi aperti. Il giovane scrittore, sulla cui omosessualità era possibile avanzare qualche dubbio, nel film è un mantenuto, la figura dell’amante, un’arredatrice ricca e famosa, serve ad avvicinarlo a Holly anche sul piano umano: ambedue si vendono per soldi? La cornice iniziale è abbandonata, il finale è lasciato aperto, per accontentare i gusti di un pubblico che non vuole sentirsi a disagio, le esplicite ambiguità del romanzo vengono tralasciate: la presunta bisessualità della protagonista è scomparsa, il rapporto di contrastata amicizia tra lo scrittore e la ragazza si stempera in un amore appena accennato, tutti i riferimenti alla sessualità e alle droghe quasi scomparsi, come anche la gravidanza della protagonista. La Golightly (omen nomen) del film è leggera, il suo essere in perenne “transito”, come recitano i suoi biglietti da visita, è ancora più marcato. A margine di ogni osservazione nel raffronto tra libro e film, ci sono da annotare le bizzarre coincidenze tra la vicenda personale di Audrey Hepburn e alcuni degli episodi del romanzo. Scherzo del destino, precisa volontà di immedesimazione, scelta consapevole del copione, non si sa, ma almeno due passi del libro saltano agli occhi: il giovane ha scritto un racconto che tratta “di due donne che dividono la stessa casa, due maestre, una delle quali, quando l’altra si fidanza, suscita con lettere anonime uno scandalo che impedisce il matrimonio.” Un racconto delle lesbiche che “scoccia da morire” Holly. Il racconto è molto simile alla trama de The Children’s hour il dramma del 1934 che nella sua seconda trasposizione cinematografica fu interpretato dalla stessa Hepburn (1962). Un altro passo del libro è quello legato all’incidente in cui Holly perde il bambino, anche la Hepburn a causa di una caduta da cavallo durante la lavorazione di The Unforgiven, perdette il figlio che aspettava da Mel Ferrer. Si potrebbe dire che il tradimento ha reso insulso il testo, che Truman Capote aveva più che ragione ad indignarsi, si potrebbe dire… Ma le cose non stanno così. Il film ebbe un enorme successo. Ancora oggi, soprattutto grazie all’attrice protagonista, è diventato un cult: ha segnato mode e costumi, ha contribuito a creare il mito di inossidabile e pura eleganza che è quello di Audrey Hepburn e, last but not the least, ha restituito al grande pubblico una meravigliosa interpretazione artistica che non solo non ha tradito lo spirito del libro, ma che anzi, traslandola su un piano per il grande pubblico, lo ha rafforzato e amplificato. Tutti i temi e le contraddizioni della società americana disorientata dalla guerra o dal boom economico, si concentrano nella figura di Holly. Un’America provinciale e contadina che vuole proiettasi nel mondo rutilante dei rotocalchi, che costruisce attorno a sé un universo fittizio e irreale, fragile nei suoi legami con il marciume di una società ipocrita, che alla fine è costretta a guardarsi in faccia, a fare i conti con se stessa. La Holly Golightly della Hepburn, non è solo l’icona immortale di un’eleganza che si sveglia al mattino con l’illusione di poter affogare le proprie “paturnie” nel regno del superfluo, nella gioielleria più nota al mondo, ma è anche la testimone di un percorso doloroso di crescita che ha reso l’America, con tutti i suoi difetti, il grande paese che tutti noi conosciamo. Tutto questo è stato possibile grazie a un grande scrittore ingannato, un raffinato regista e un’attrice, una donna eccezionale che ha saputo restituire con le sue interpretazioni un immagine del mondo pieno di riscatto e di speranza.
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