In una scena del film “I colori dell'anima - Modigliani” l'attrice francese Elsa Zylberstein chiede ad Andy García che interpreta l'artista livornese, come mai non avesse dipinto i suoi occhi nonostante avesse posato per lui per ore; lui risponde: “Devo conoscere la tua anima per dipingerli”. La pellicola, che mostra l'arrivo e la vita di Modì nella capitale francese nei primi anni del Novecento fino alla sua morte, è fortemente romanzata: racconta della rivalità con Picasso (non del tutto accertata in realtà), del suo percorso per arrivare ad affermarsi fra i grandi dei Salon parigini, l'alcolismo, la tubercolosi, la tendenza all'autodistruzione e, naturalmente, la storia d'amore con la giovane Jeanne Hebuterne. Tutti elementi questi che hanno fatto parte della breve esistenza di un grande pittore e scultore italiano inserito nella schiera dei cosiddetti artisti maledetti proprio per questo suo vivere sempre come sull'orlo di un precipizio, d'altra parte Maudit in francese vuol dire proprio 'maledetto'. Ma fra le strade, prima di Montmartre e poi di Montparnasse, Amedeo viveva la sua vita dipingendo che era la cosa per cui era nato e la cosa per cui adesso viene ricordato in tutto il mondo: le sculture ispirate all'arte negra, i suoi nudi sinuosi, i lunghi colli affusolati, i suoi volti stilizzati e malinconici dallo sguardo talvolta assente. Un modo di interpretare i suoi soggetti non realistico e oggettivo ma idealizzato, come se stesse guardando dentro una persona, non la semplice immagine visibile a chiunque. Ma come mai Dedo spesso non dipingeva gli occhi di chi ritraeva? Chiunque abbia visto su un qualsiasi libro, o sul web o addirittura dal vivo un Modigliani nota per prima cosa questo: un'espressione favolosa che sembra dire tutto di una vita di cui non si sa nulla, un'espressione che è più una sensazione che un fatto meramente visivo perchè si possono davvero contare le tele in cui compaiono delle pupille, delle ciglia, seppure a volte dettagliatissime. Gli occhi dipinti dal livornese sono dei tratti più o meno grossi a forma di mandorla, asimmetrici, qualche volta riempiti. Oppure come succede nel Paul Guillame seduto e nel Ritratto di Leopold Zborowski, entrambi del 1916, addirittura un occhio è colorato, l'altro no e quando gli venne chiesto come mai ne avesse dipinto uno solo, lui rispose: “Perchè tu con un occhio guardi il mondo e con uno guardi te stesso". Una concezione suggestiva dell'essere umano che Modigliani ritrae soprattutto nei caratteri primari del suo modo di essere e cosa si scopra guardandosi dentro è una questione che viene lasciata aperta. Ma davvero per l'artista maledetto valeva la pena dipingere gli occhi se e solo se avesse conosciuto l'anima di chi posava per lui? Oltre che ridurre il tutto a una frase di una sceneggiatura cinematografica, qualcuno insinuò che una così profonda visione dell'essenza di una persona non poteva venire da un matto italiano alcolizzato e che in realtà si deve quella che noi vediamo come una poesia a nient'altro che un momento di ubriachezza. Forse è così, forse no. Rimane il fatto che di Modigliani ci rimangono opere splendide, capolavori unici, uomini, ma soprattutto donne, che sembrano non vedere nulla, ma in realtà guardano tutto. I soggetti delle sue tele non distolgono mai lo sguardo, non perché non ne abbiano uno ma perché magari Modì voleva solo dirci che non basta tenere gli occhi aperti per guardare fino in fondo all'anima di una persona.
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