Luglio 2014

Metafore Umane

Il lupo e la volpe


Alessandro D'Amato

Già nell'antichità greca, alcune specie animali furono fatte oggetto di speciali attenzioni, attribuendo loro dei significati simbolici volti a riprodurre su di esse alcuni caratteri tipicamente umani. Solo per citare alcuni esempi, il lupo e la volpe - spesso in dicotomica contrapposizione - rappresentarono, da un lato, la voracità e gli istinti animali più famelici e, dall'altro, l'astuzia e la furbizia come armi attraverso le quali contrastare la forza lupesca. Tuttavia, non sempre, storicamente, il lupo è stato rappresentato negativamente né tantomeno la volpe è sempre stata vista con una valenza positiva. Il primo, nella stessa Grecia, ha anche simboleggiato metaforicamente la perfetta forma di società democratica in cui lo Stato risolve i problemi di approvvigionamento alimentare dei propri componenti; la seconda ha anche compendiato in sé il carattere dell'ipocrisia divenendo, nella visione testamentaria, identificazione di Satana poiché autrice di inganni perpetrati facendo ampiamente ricorso alla malizia. Nel corso di millenni, quindi, attorno ai due animali si è creato e sedimentato un complesso insieme di elementi di natura storica, mitico-rituale, magico-religiosa e superstiziosa che esprime in modo pervasivo il difficile equilibrio che, da sempre, l'uomo ha cercato di raggiungere nei confronti della natura. In breve, il lupo e la volpe hanno rappresentato, zoomorfizzandole, le varie ostilità determinate dagli habitat ambientali non antropizzati e caratterizzati dalla presenza di bestie ferine e selvatiche. In questo processo, il Cristianesimo ha giocato un ruolo determinante nel definire i caratteri di negatività posseduti dalle due specie. A causa della sua presunta antropofagia, il Medioevo cristiano ha contribuito a fare del lupo un simbolo del male estremo, rappresentazione del diavolo incarnato in una bestia. D'altra parte, ritenuta falsa e ingannatrice, nello stesso periodo, la volpe divenne «metafora del subdolo eretico» (R. Marchesini - S. Tonutti, Il codice degli animali magici. Simboli, tradizioni e interpretazioni, De Vecchi, Milano 2008, p. 80). [2] Divenne, pertanto, scontato fare di questi due animali dei facili destinatari di atteggiamenti pregiudizievoli e persecutori, volti a rappresentare la lotta intentata, in nome di Dio, dall'uomo contro il male. Durante il Medioevo, divennero così protagonisti di veri e propri processi di mitizzazione, ben presto consolidatisi, che fecero delle due specie delle figure di spicco all'interno di poemi, racconti e fiabe, così come nei fabliaux della tradizione francese. È soprattutto a questi ultimi che facciamo riferimento, anche perché in essi l'immagine della volpe è sempre contrapposta a quella del lupo, allo scopo di celebrare i due animali come rappresentazione metaforica dei caratteri umani. Nel 1045, ad esempio, il poema latino Ecbasis cuiusdam captivi per tropologiam allegorizzò il rapporto conflittuale esistente tra la volpe e il lupo, rendendolo espressione di determinati attributi umani. Successivamente, nel 1150 circa, in un altro poema satirico latino, l'Ysengrimus dell'autore fiammingo Nivardo di Gand, altri animali vennero fatti oggetto di un percorso di antropomorfizzazione di cui i protagonisti principali furono, pur tuttavia, un lupo (Ysengrimus, per l'appunto) e una volpe (Reinardus), le cui vicende si intrecciano continuamente, con quest'ultima, più giovane e astuta, che gabba sistematicamente il primo. Di certo, però, la letteratura zooepica europea di periodo medievale ebbe nel Roman de Renart la sua opera di maggior diffusione. Composto tra il XII e il XIII secolo da diversi autori, protagonista dell'opera è, ancora una volta, una volpe, stereotipicamente dipinta come cinica, maliziosa e oltremodo furba, in grado di beffarsi del mondo intero e di compiere qualunque misfatto, senza per questo risultarne colpevole, divenendo così metafora di quelle classi sociali emergenti - come la borghesia - che, durante il Medioevo, iniziarono a contrastare il predominio dei tradizionali poteri feudali. I fabliaux di epoca medievale, dunque, antropomorfizzarono la volpe e il lupo come espressione simbolica, rispettivamente, l'una del mondo contadino e della borghesia emergente, e l'altro del tradizionale e incancrenito potere feudale, comprendente tanto l'aristocrazia terriera quanto le alte gerarchie ecclesiastiche. È questa la probabile ragione secondo cui nel Medioevo si sancì un ulteriore inasprimento degli atteggiamenti assunti nei confronti della volpe, tratteggiata, «secondo una tendenza esegetica ben attestata, [come] un "animale falso", intento a tendere insidie, abituato alla rapina con l'inganno, che abitava anche le stesse case degli uomini» (M. Centini, Le bestie del diavolo. Gli animali e la stregoneria tra fonti storiche e folklore, Rusconi, Milano 1998, p.128). E, per estensione logica, espressione zoomorfa degli eretici, i quali, avendo assunto sembianze animali, agivano con l'unico scopo di allontanare i fedeli dal credo cristiano, mettendo in discussione e pericolo le certezze di questi ultimi, attraverso le subdole armi della falsità, dell'adulazione e dell'astuzia. In alcune circostanze, la lotta contro il male condotta dalla Chiesa si tradusse in espressioni artistiche ben determinate. Ne fu testimonianza un mosaico, risalente al 1040, presente nella chiesa, oggi non più esistente, di santa Maria Novella a Vercelli: qui, era ritratta l'immagine di alcune galline che si apprestavano a seppellire una volpe, precedute da tre galli intenti, rispettivamente, a portare una croce, un aspersorio e un incensiere, secondo la tipica modalità espressiva del "mondo alla rovescia". In altri casi ancora, non furono rari i casi di sentenze di condanna a morte emesse dai tribunali europei nei confronti di lupi, ritenuti colpevoli di aver sbranato degli uomini o, più spesso, dei capi di bestiame. Compiendo un notevole salto temporale, le stesse tradizioni popolari del mezzogiorno italiano, spesso in grado di persistere fino a pochi decenni fa, hanno dedicato le loro `premurose' attenzioni al lupo e alla volpe, facendone spesso espressione della lotta di classe tra la classe egemone e i ceti subalterni. Ad esempio, sulla scia delle ben più note fiabe dei fratelli Grimm (su tutte: Il lupo e la volpe e La volpe e la comare), racconti e leggende delle nostre regioni meridionali utilizzano uno schema narrativo abbastanza unitario, che conduce sistematicamente al trionfo dell'astuzia (spesso anche subdola) sulla forza e l'avidità. Nella sua raccolta di Fiabe italiane, Italo Calvino riporta una versione napoletana della fiaba, dal titolo Comare volpe e compare lupo, nella quale i due animali, legati tra loro da vincolo di comparatico, si promisero reciproco aiuto. Tuttavia, a causa della `solita' ingordigia, il lupo rifiutò di condividere con la comare un agnello appena catturato, generando la prevedibile reazione della volpe, la quale si vendicò del mancato rispetto dei patti: dapprima, facendo bastonare il lupo da un gruppo di contrabbandieri e, successivamente, fingendosi anch'essa colpita e azzoppata da tali uomini, facendosi portare in groppa dal lupo, che morì non appena giunto a casa, un po' per le bastonate ricevute e un po' per la fatica sostenuta nel trasportare a lungo il peso della volpe. Una versione siciliana del racconto ripropone l'ennesima occasione di scontro tra i due animali, generata da una furfanteria, rimasta impunita, di una volpe la quale, un giorno, fingendosi morta, riuscì a rubare a un pescatore un'intera gerla di pesci e a farla franca dai tentativi a sua volta compiuti dal lupo di impossessarsene. La variante catanese de La volpe Giovannuzza vede la volpe riuscire a conquistare astutamente una bellissima principessa, consentendo così all'animale di ricambiare il favore fattole da un contadino, da quel momento divenuto ricco, il quale le aveva concesso di mangiare le pere del proprio albero. Pur tuttavia, la fiaba dimostra anche l'ingratitudine dell'uomo, testimoniata dal mancato rispetto dei patti presi dal contadino, che a tutti gli effetti ebbe a comportarsi come un lupo: in modo avido ed egoista. Il cultore di tradizioni popolari Serafino Amabile Guastella, che dedicò gran parte della propria attività allo studio del folklore del territorio ibleo, sul finire dell'Ottocento tentò di fornire una spiegazione del perché l'essere umano - soprattutto in ambito contadino - abbia storicamente sentito l'esigenza di instaurare con la volpe un legame di parentela spirituale. Non è affatto sorprendente scoprire che, secondo la sua ricostruzione dei fatti, alla base del fenomeno, estremamente diffuso, vi siano motivazioni prettamente utilitaristiche. Egli, infatti, scrive: «Per far sì che la volpe non mangi le galline, è necessità per la popolana di farsela comare, ed è perciò che vien chiamata col nome di Comar Giovannuzza, o Comar Giovannella» (Lettera di S.A. Guastella a G. Pitrè, 08/11/1883). La stessa Comar Giovannuzza, poi, diventa suo malgrado protagonista della parità riportata da Guastella nel suo libro più celebre, in cui si narra dell'attribuzione alle singole specie animali, da parte di Dio, delle peculiarità possedute da ciascuna di esse. Tale attribuzione esplicita chiaramente quella differenza classista tra `cappelli' (aristocratici, latifondisti e clero) e `berretti' (contadini, allevatori e piccoli artigiani e commercianti), prevedendo la presenza della volpe in quest'ultimo insieme come depositaria dell'astuzia, grazie alla quale prendersi ogni rivincita nei confronti della classe egemone (S. A. Guastella, Le parità e le storie morali dei nostri villani, Piccitto & Antoci, Ragusa 1884). In definitiva, dunque, più di altre specie animali, la cultura europea e le tradizioni popolari del sud Italia hanno conferito al lupo e alla volpe dei significati simbolici molto forti, facendo sì che gli attributi umani trovassero sembianze zoomorfe. Tali immagini metaforiche della vita umana, espresse per secoli nella letteratura colta, nell'arte e nei bestiari medievali fu presa ad esempio dalle classi sociali più deboli quale modello di riscatto rispetto a una immutabile condizione di inferiorità sociale ed economica cui la vita le aveva irrimediabilmente condannate. È per questa ragione che all'interno della cultura popolare si è giunti a una sorta di identificazione con la volpe e di definitiva demonizzazione del lupo, da quel momento in poi spesso accusato di qualunque forma di reato rimasto irrisolto. In questo quadro, alcuni tra i caratteri stereotipici dei due animali - voracità e aggressività da un lato, scaltrezza e ingegnosità dall'altro - si sono più favorevolmente prestati a una rielaborazione antropomorfizzata, all'interno della quale l'immaginario popolare ha agevolmente attinto per strutturare le proprie narrazioni, sostituendo la figura dell'aristocratico, del latifondista o del rappresentante del clero con quella avida e priva di ogni scrupolo del lupo e l'immagine del villano, eternamente condannato alla sofferenza e allo sfruttamento, con quella più incoraggiante e in grado di fornire un elemento di riscattato, rappresentata dalla volpe.