Pare fosse il quadro preferito da Adolf Hitler, che nel 1936 aveva acquistato uno dei cinque originali. E può darsi benissimo che lo fosse davvero. Del resto il mostro tedesco era anche vegetariano e aveva studiato all’Accademia di Belle arti di Vienna. E non solo: il quadro fu fonte di studio e curiosità, o di semplice osservazione, anche per Sigmund Freud, Lenin, Georges Clemenceau, Salvador Dalì e Gabriele D'Annunzio. Certo è che “L’Isola dei morti” è un quadro che non può passare inosservato, anche al più distratto e superficiale degli osservatori, anche a chi fino a quel momento non ha mai visto un quadro, nemmeno una riproduzione in bianco e nero. Ma quando nel 1879, a Firenze dove viveva, lo svizzero Arnold Böcklin decide di dipingere quell’olio su tela di 111 per 115 centimetri oggi al Museo di Belle Arti di Basilea, città natale di Böcklin, non poteva sapere che quella sua opera avrebbe cambiato la storia dell’arte del ventesimo secolo. Perché quel quadro, al quale l’autore non aveva dato un titolo (e nemmeno alle altre quattro versioni dipinte successivamente e fino al 1886) ha fatto arrovellare psicologi, psichiatri, storici dell’arte e critici d’arte. Un tela (le cinque versioni, oggi a New York, Basilea, Berlino – quella che era stata di Hitler - e Lipsia, mentre la quarta era a Rotterdam ma è andata distrutta durante la Seconda Guerra, differiscono tra di esse solo per alcuni particolari e per qualche centimetro di differenza nel supporto usato, che per tre volte è stata la tela, per una il legno ed una su rame) che presenta uno specchio d’acqua (quasi certamente un lago) sul quale lenta scorre una barca a remi con due figure di bianco vestite. La barca si dirige – evidentemente – verso una isoletta rocciosa con alcuni cipressi che crescono vicinissimi alla riva. Sull’imbarcazione si intravede un oggetto che potrebbe essere una bara. L’ispirazione pare sia giunta a Böcklin osservando il “Cimitero degli Inglesi” di Piazzale Donatello a Firenze. Campo santo nel quale venne sepolta anche sua figlia Beatrice, morta giovanissima, avuta dalla moglie italiana, Angela Pascucci. Il pittore svizzero non diede mai un titolo (solo in una lettera ad un mercante riferisce di una “die Toteninsel”), né mai una spiegazione del suo celebre quadro. Solo una volta arrivò a dire che si trattava di una “immagine onirica”. Quello che sappiamo per certo, è che quel suo quadro (scrivo al singolare, posto che i cinque dipinti da Böcklin sono da intendersi come cinque versioni di una stessa opera), ha dato luogo e fatto da stura a intere enciclopedie per tentare di scoprire quale isola, se mai fosse esistita, avesse fatto da modello, e se la figura in piedi sulla barca sia oppure no Caronte. Naturalmente tutto questo non ha alcuna importanza, quel che conta è il poter registrare come l’arte dell’uomo è in grado, con un pezzo di stoffa, un paio di pennelli di pelo, colori tratti da minerali e acqua, di dare vita ad una isola di morti, e concederci il lusso di gioire del senso della vista e della capacità di provare qualcosa al nostro interno solo per avere osservato. Un quadro. Arnold Böcklin morirà nella sua “Villa Bellagio” a San Domenico in Fiesole, il 16 gennaio 1901, dopo aver vissuto quasi interamente la sua esistenza in Italia.
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