Luglio 2015

Un ombra ben presto sarai

L'Argentina di Soriano: luogo d'espiazione


Vincenzo La Monica

Nel paradiso dei miei scrittori preferiti si onora un altarino dedicato a Osvaldo Soriano. L’altarino è sempre vuoto. Soriano, da subito, se ne è andato in Purgatorio a trovare materia per racconti, per sottrarre i suoi personaggi e se stesso da quel mondo ordinato dalla luce: qui gli aureolati investigatori, lì i calciatori che sollevano coppe del mondo, sopra i poeti laureati, al loro fianco i divi coi capelli mucillaginosi di brillantina, tutto intorno i cori angelici cantati da giovani rocker benedetti. “Chi mi conosce lo sa – avrebbe fatto dire a uno dei suoi personaggi, magari un portiere con poca scuola e molta polvere addosso - non è mondo per me, quello”. E un Purgatorio, in effetti, Soriano lo aveva già raccontato in vita, all’interno di un poetico libro del 1990 intitolato “Un’ombra ben presto sarai”. Dopo aver indagato dall’esilio europeo l’inferno della dittatura militare argentina con la sua ferocia disumanizzante e grottesca nei romanzi “Mai più pene né oblio” e “Quartieri di inverno”, Soriano trasfigura in un allucinato “on the road” il suo rientro in una Argentina tornata alla normalità, ma incapace di ritrovarsi, spappolata, immemore e sfumata ai bordi, molto simile a un luogo di espiazione in cui i protagonisti girano in tondo, incapaci di uscire dal perimetro della sconfitta che la vita gli ha costruito intorno e inciso nell’anima come una dannazione. “Ma veniamo ai fatti” direbbe un commissario sovrappeso nella caserma di una sperduta provincia di Buenos Aires: l’ombra che dà il titolo al romanzo è quella del protagonista, un programmatore argentino esule in Italia che fa ritorno nella pampa senza un soldo e con una figlia da rimpiangere che riesce di tanto in tanto a trovare un canale di comunicazione epistolare col padre, in un dialogo che sembra quello tra i morti e i vivi. Lo accompagnano nel viaggio eternamente immobile vari Virgilio armati delle incrollabili speranze dei vinti e degli emarginati: un trapezista invecchiato e obeso in fuga verso la Bolivia, un banchiere che anestetizza una delusione d’amore nel progetto fanatico di sbancare il casinò tramite un algoritmo informatico, tre finti preti che dispensano assoluzioni e cazzotti porta a porta, un venditore di docce a domicilio, un giovane hippy muto in compagnia della sua ragazza, una cartomante che almanacca sul futuro di povera gente che la ripaga con prosciutti, un misero esercito di esaltati senza ordini e senza pallottole in cui ci si autonomina caporali. Questa compagnia di giro composta da incalliti sognatori di grandezze irrealizzabili si perde e si ritrova sulla strada del protagonista, tra sgommate a tutto gas e partite a carte in cui, esaurito tutto il resto, si utilizzano i ricordi come fiches. Tutti soggetti ammalati di solitudine, sentimentali in un mondo adulto, nomadi a caccia di fantasmi. Tutti uniti, come accade a ogni marginale, da un sentimento di curiosa solidarietà per il destino altrui, pronti a inventarsi Sancho Panza per il don Chisciotte di turno. Gente che si insulta e si aiuta e dice: “altrimenti gli amici a che servono?” affratellati dalla sconfitta che consegnano alla morte in cambio di una fine grandiosa, con un gesto equamente diviso tra eleganza e disperazione. Sicuramente Soriano aveva progettato “Un’ombra ben presto sarai” anche come rassegnata metafora di una terra resa irriconoscibile dalla dittatura e svegliata da un incantatore sadico, andato via senza aver completato il suo lavoro. Un’opera storica o, se preferite, un’opera di denuncia sociale. Ed è probabile che su questa convinzione avesse puntato una discreta quantità di aspettative. Ma a distanza di oltre venticinque anni, di fronte alla materia umana che incessantemente rampolla dalle pagine del romanzo, ai suoi personaggi in cerca di un perdono che non costerebbe nulla, ma che non verrà mai, di un paradiso irraggiungibile, di una malinconia che non si scioglie in felicità né in pianto, direi che questa giocata l’ha persa. E come poteva essere diversamente?