Uno
Al di qua delle conoscenze scientifiche, il petrolio, liquido vischioso e nero marrone, è un elemento naturale misterioso e oscuro come solo può esserlo una sostanza generatasi nelle più profonde oscurità del sottosuolo, dove, qualcuno crede, abbia dimora il demone Satana con tutta la sua schiera maledetta di diavoli neri come la pece. Dev’esserci realmente qualcosa di demoniaco in questa materia, fattasi inorganica da organica che era, nel ventre della terra e in periodi durati milioni d’anni; la lentezza della tramutazione, avvenuta in tempi lunghi, più lunghi di quelli biblici, potrebbe fare sospettare che assuma scopi e disegni che sfuggono alla mente umana. Il petrolio si è generato perché diventasse il padrone del mondo? Da meno di duecento anni, frazione temporale trascurabilissima in confronto ai tempi infiniti dell’universo, l’oro nero ha raggiunto importanza planetaria al punto da diventare predominante rispetto a tante altre materie. La società e l’uomo patiscono una sudditanza assoluta verso il petrolio paragonabile soltanto a quella di sostanze necessarie per la sopravvivenza della vita. Supponendo la possibilità di un disegno imperscrutabile, ne conseguirebbe un progetto divino (o diabolico, secondo i gusti) che guiderebbe la marcia inarrestabile del vischioso liquido infiammabile verso la compiutezza dell’uomo e dei suoi destini. Così non è. L’universo - e quindi tutti i suoi costituenti - non ha uno scopo, io credo. La materia - di qualsiasi genere essa sia - che lo compone non ha avuto assegnati compiti oscuri e finalità recondite; i mondi ruotanti nello spazio e le innumerevoli galassie sfreccianti nell’infinito universo non hanno un fine da raggiungere: il fine è l’esistenza stessa. È l’uomo che assegna compiti e obiettivi, è la sua mente finita che tenta di scalare l’infinito. Il petrolio, di per se, è materia né buona ne cattiva: è semplicemente materia; il suo impiego comporta consumo e trasformazione; l’uomo si avvale, per i suoi scopi, della disponibilità della materia - di tutte le materie - generando, in tal modo, risultati a volte negativi altre volte positivi. Il globo terracqueo è un elemento che è cambiato nel tempo e continua a mutare. Anche quando l’uomo non fosse presente sulla terra, questa avrebbe continuato e continuerebbe il suo mutamento. Resta da stabilire quanto la presenza dell’uomo possa essere importante per il corso e l’orientamento del cambiamento stesso. Ancora una volta entra in gioco l’uomo e ci si chiede se può essere considerato attore positivo o scheggia impazzita o variabile negativa per l’evoluzione del pianeta terra. Nel suo delirio di dominio sulla materia, l’uomo determina effetti contrastanti: come negare la positività dell’utilizzo del petrolio? Di contro, come nascondere gli effetti nefasti dello sfruttamento della materia, di qualsiasi materia, in primis il petrolio? Da un lato il petrolio fu ed è materia che permise e permette di mettere in atto e raggiungere rinnovamento sociale, accelerazione di sviluppo, realizzazione di materie e strumenti, miglioramento dei modi d’essere, ampliamento delle ricchezze; dall’altro è stato ed è strumento di diseguaglianza, disunione di popoli, sfruttamento dell’uomo, inquinamento e devastazione di terre e di esseri viventi, accumulo di potere che, a sua volta, è motivo di contrasti e scontri. I guai iniziano già con la ricerca e l’acquisizione del liquido nero. Non essendo ubiquitario, i luoghi che ne sono provvisti vengono sottoposti a pressioni estreme; le persone che per avventura ci vivono subiscono tensioni e sollecitazioni duplicate dagli inevitabili cambiamenti in negativo che la ricerca, prima, e l’estrazione poi, portano con sé. La negatività del processo continua con la trasformazione, il trattamento e l’utilizzo del petrolio da parte della società e del mondo industriale: stravolgimenti dei luoghi, inquinamenti diffusi, distruzione degli habitat, innescamento degli appetiti monetari e della corruzione che ne deriva, cambiamenti rapidi e violenti dell’esistenza di chi viene investito dalla sua inesorabilità, o meglio dalla inesorabilità dell’uomo che non retrocede di fronte a niente per accaparrarsi il petrolio. E non è tutto. Oltre che come fonte energetica fondamentale il petrolio è indispensabile per la produzione di materie, oggetti, sostanze, materiali di cui la società moderna non può più fare a meno. Basta un semplice elenco di alcuni prodotti e materie che si ricavano dal petrolio per rendersene conto. I principali prodotti derivati dalla raffinazione sono: plastiche, asfalto, gasolio, benzine, oli combustibili, oli lubrificanti, cherosene, gpl, grasso, paraffina, catrame, propano, zolfo e acido solforico, coke, concimi chimici, caucciù, gomme; dalla raffinazione del petrolio si ricavano detergenti, solventi per profumi, cosmetici, pitture, saponi, coloranti, fibre tessili; si ottengono ancora resine, gomme sintetiche, prodotti farmaceutici, insetticidi, detersivi, imballaggi, rivestimenti, polistirolo, materiali edili, tessuti impermeabili. Adesso provate a togliere il petrolio, immaginate una società dove le compagnie d’estrazione e le raffinerie non operino più, dove le industrie impegnate nell’elaborazione di tutti questi derivati non lavorino più, che tutti i centri di distribuzione a livello locale e mondiale di questi manufatti, e di centinaia di altri derivati, smettano di esercitare. Il quadro che ne viene fuori è sicuramente poco rassicurante, anzi è apocalittico. A questo aggiungete gli appetiti economici che ruotano attorno al petrolio, le economie che si sostengono con gli scambi commerciali di esso, le aspettative delle nazioni e dei popoli che vivono dell’estrazione del petrolio, i contrasti che s’innescano fra paesi produttori e quelli consumatori: avrete un quadro molto riduttivo dell’importanza dell’oro nero. Prendete l’inquinamento delle terre e delle acque che deriva dall’estra- zione, dalla lavorazione e dall’utilizzo del petrolio, aggiungete la distruzione d’intere regioni, di habitat e di forme di vita irrepetibili a causa del greggio e dei suoi derivati, considerate lo sradicamento di genti e popoli che sono conseguenza della ricerca e dell’estrazione, considerate i pericoli e le conseguenze derivanti dal trasporto, sommate tutto, mettete insieme gli elementi considerati e quelli attinenti. Avete fatto? Bene, non viene da piangere e disperarsi? Iniziate a farlo perché non abbiamo speranza. La storia dell’uomo è fatta di guerre, lotte, conflitti, scontri, battaglie per il possesso dei territori e delle risorse; nel tempo breve le genti, gli stati, le nazioni si sono scannati per il petrolio, attualmente si stanno sgozzando per esso e in futuro - statene certi - si ammazzeranno per il DIO PETROLIO. Credo che l’umanità si sia infilata in un tunnel privo di sbocco e soprattutto si stia dirigendo verso una direzione senza via di ritorno, credo che l’uomo stia correndo verso la distruzione del pianeta terra e verso la sua morte, la morte del pianeta e, per conseguenza, dell’umanità. Non vedo una possibilità di ritorno e di ridimensionamento in tempi accettabili: una catastrofe planetaria e un azzeramento totale della vita aspettano il pianeta e l’uomo. AMEN.
Due
La rivoluzione industriale, iniziata alla fine del settecento e durata per tutto l’ottocento, fu prettamente europea e incentrata sui paesi produttori, in quel tempo, di carbone: Germania, Francia, Inghilterra. Quando, a metà dell’ottocento, fu scavato il primo pozzo petrolifero in Pennsylvania, che in meno di due anni diventarono oltre trecento, il centro e il primato dello sviluppo industriale ed economico si spostarono in America. Le fonti energetiche del carbone e dell’energia idroelettrica persero gradualmente importanza a favore dell’energia petrolifera. In quegli anni acquistarono rilevanza gli immensi giacimenti petroliferi dell’Iraq e del Medio Oriente; le grandi potenze non persero tempo e si accordarono per la spartizione di quelle ricchezze petrolifere. Durante la prima guerra mondiale gli Stati Uniti iniziarono ad alimentare i carri armati con la benzina, la Germania utilizzava ancora in prevalenza il carbone; fu lo scontro del petrolio contro il carbone; alcuni storici considerano il primo conflitto mondiale come la vittoria del petrolio sul carbone. Hitler voleva rendere la Germania autonoma dalle importazioni di alcune materie strategiche come il petrolio e la gomma e nello stesso tempo voleva vendicare la sconfitta del 1918, così preparò un progetto che prevedeva la guerra. Dopo lo scoppio della guerra Hitler invase la Russia per il petrolio della Romania e quello del Caucaso. Anche il Giappone voleva rendersi autonomo dagli Stati Uniti per i rifornimenti petroliferi e tentò d’invadere le Indie Olandesi ricche di petrolio. Al conseguente embargo, il Sol Levante attaccò a Pearl Harbour la flotta americana. Tutti sappiamo della seconda guerra mondiale, la causa dichiarata fu quella della difesa della libertà e della democrazia, ma quella di fondo fu l’accaparramento della materia energetica principe: il petrolio. Subito dopo la fine del conflitto mondiale scoppiò la guerra fredda fra Stati Uniti e Unione Sovietica mentre Nasser nazionalizzava il Canale di Suez; c’era in ballo il controllo delle grandi riserve di petrolio in Medio Oriente. L’Europa e il mondo industrializzato ne avevano un grande bisogno. Lo sviluppo dell’industria, la diffusione dell’automobile e l’incremento della luce elettrica comportarono l’aumento della produzione di energia petrolifera, con conseguente aumento del consumo di petrolio; l’utilizzo del greggio e dei prodotti della raffinazione era più pratico, economicamente conveniente e più pulito. Almeno sembrava. Quando ci si rese conto che i giacimenti petroliferi non erano inesauribili, iniziò la corsa per accaparrarsi concessioni petrolifere dai governi dell’Impero Ottomano e della Persia, allora ancora esistenti. Negli ultimi anni processi politici e sconvolgimenti statali - ammantati da necessità di democratizzazione o di liberazione - hanno mutato gli scenari in Medio Oriente trasformando quelle terre teatro di guerre non dichiarate ma aspramente combattute. La pacificazione (e tutti conosciamo la passione e l’impegno che ci mette la civiltà occidentale nel favorire e guidare tali processi!) di quella parte del pianeta, ha fatto, fa e continua a fare migliaia e migliaia di vittime, di morti, di ammazzamenti, di genti eradicate dai loro territori: si tratta sempre del controllo della fonte energetica più importante, il petrolio.
Tre
STrade
Il display della macchina segna la data del 15.09.2085. Da diversi anni le macchine hanno motori a reazione o a idrogeno, ne esistono anche a energia elettrica, ma sono fra le più vecchie. Circolano anche poche auto a benzina: qualche anno ancora, poi scompariranno. La mia è una macchina molto vecchia, di quelle che vanno ancora a benzina. Era di mio padre, la comprò a diciotto anni; la sua prima auto che già allora non era all’avanguardia. Le pompe di benzina si sono trasformate da tempo in distributori automatici di energia nucleare o di idrogeno liquido; quelle a energia elettrica si caricano nella linea di casa. Il problema è per le macchine a benzina. Oggi devo escogitare il sistema di trovarne per fare il pieno. Bisogna cercare nelle stazioni di rifornimento e sperare che ne abbiano qualche tanica di scorta; sino adesso si è trovato. Il petrolio così abbondante fino a vent’anni fa, dall’oggi al domani si è esaurito, i giacimenti si sono prosciugati quasi tutti come se le rocce che li contenevano, all’improvviso, avessero cominciato ad assorbire il liquido nerastro e vischioso. Tutti dicono che è stata colpa degli esperimenti nucleari sotterranei a grande profondità fra gli anni cinquanta e sessanta. Ora restano pochi pozzi in pochissimi giacimenti da cui si estrae ancora petrolio. Quello prodotto ha un costo elevato e viene distribuito alle strutture pubbliche che non hanno potuto adottare le nuove tecnologie e utilizzano ancora la benzina o il diesel. I distributori ne acquistano poche taniche per i rari clienti che ne hanno bisogno. Si è messo a piovere forte e il vecchio tergicristallo non ce la fa a pulire bene il vetro, la pioggia è sporca di polveri e sabbie; devo rallentare, il mio mezzo tiene male la strada ed io non vedo bene attraverso il vetro non pulito. Dopo un paio di chilometri intravedo, nell’offuscamento della pioggia unta e imbrattata che viene giù, l’insegna di un distributore. Mi preparo a deviare, metto la freccia per indicare la mia intenzione. In quel momento un’auto mi supera. È più nuova della mia ma dal leggero fumo grigiastro dello scarico, capisco che va a benzina; di sicuro il suo proprietario deve fare il pieno come me. L’auto avanti è più veloce e non si fa superare, giunge prima. Vedo un uomo sui quarant’anni che si precipita verso il deposito, apre il portone di sicurezza con la sua tessera personale, inserisce la carta di credito e ritira il suo bidone di benzina. Adesso tocca a me. Apro il portone, inserisco la carta di credito ma il display mi avvisa. “Sorry, no petrol.” I bidoni sono finiti, niente benzina. Fregato. Una sorda ira m’invade la testa. Se quel maledetto non mi avesse sorpassato, avrei avuto la mia benzina. Mi avvicino all’uomo che sta travasando il liquido nel serbatoio. “Senta, se non mi avesse superato, c’ero io prima.” Mi sforzo di nascondere l’ira che mi cuoce dentro lo stomaco. “Mi spiace per lei ma la mia macchina è più veloce, sono arrivato prima.” Non si volta, la sua voce è sfottente e ironica. Sento una rabbia gelata salirmi dalle budella, invadermi il petto, premere sulle braccia e bruciarmi la gola. Infilo la mano in tasca, trovo il coltello che porto sempre con me (di questi tempi non si sa mai). “Me ne dia un poco, quanto basta per giungere al prossimo distributore.” M’interrompo in attesa della sua risposta. “Gliela pago.” Insisto. La mia voce è calma, non rivela il ghiaccio che m’avvampa lo stomaco. Non si volta neppure. Con voce quasi stridula per il mio insistere. “Mi dispiace ma non posso.” E finisce di versare gli ultimi litri. La mia mano si muove da sola, veloce, silenziosa e precisa come cobra che colpisca al collo. Un fiotto di sangue caldo e rosso scuro schizza, m’investe la mano, m’imbratta il giubbotto e spruzza lontano sul lustro pavimento della tettoia. Adesso devo essere lucido, pensare con freddezza. Mi fermo a riflettere. Guardo attorno, nessuno; chi vuoi che vada in giro con questa pioggia acida che macchia indelebilmente dove si posa: sembra varecchina. Sollevo il corpo molle e pesante dell’uomo che sta finendo di dissanguarsi, lo infilo al posto di guida della mia macchina, sostituisco i miei documenti personali con quelli dell’uomo ormai morto. Spingo la vecchia auto con il cadavere per una decina di metri verso il bordo esterno della tettoia, chiudo bene i vetri, prendo la valigetta dal sedile accanto a quello del conducente, afferro il plaid che tengo nel sedile posteriore e li porto nell’altra auto ferma davanti al portone del deposito. Ritorno verso la mia macchina, controllo velocemente all’interno, afferro i fogli del quotidiano che ho già letto, li accendo e li butto addosso al corpo dell’uomo immobile al posto di guida, richiudo lo sportello e guardo la fiamma che accende subito gli abiti in fibra sintetica dell’uomo. Il fuoco è come una macchia d’olio su carta assorbente, si propaga immediatamente al sedile e alla tappezzeria interna: un bel falò. È fatta. Adesso io risulterò morto. Il mio nuovo io ha i suoi bei documenti e una macchina veloce con il serbatoio quasi pieno. Buon viaggio.
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