Petra Delicado, l’affascinante detective protagonista dei godibilissimi gialli di Alicia Giménez-Bartlett, fa della pietrosa durezza il suo biglietto da visita. Nel suo ambiente di lavoro la sua fama di donna in gamba, “dura”, integerrima e dedita al lavoro si è rapidamente sparsa a partire dai suoi primi successi, ottenuti dopo un esordio lavorativo piuttosto faticoso e circondato da diffidenza tutta maschilista. Petra, infatti, sin dai suoi primi passi nel mondo dei poliziotti, deve fare i conti con una doppia forma di pregiudizio nei suoi confronti: lei è una donna e per di più “osa” pretendere di conquistare il proprio spazio in un ambiente tradizionalmente maschile; proviene dall’esercizio del ruolo di archivista, a cui era stata destinata dopo l’ingresso, per concorso, in polizia, e alla cui noiosa ripetitività era stata sottratta per ordini superiori e per puro caso, in un momento in cui urgeva condurre un’indagine ma i soliti detectives erano impegnati a concluderne un’altra. Quanto la sua affascinante presenza (è una bella donna!) e le sue geniali capacità investigative siano destabilizzanti lì, tra quei maschi adusi alle maniere forti e al linguaggio da caserma, risulta icasticamente evidente nei primi dialoghi con il viceispettore Fermín Garzón, un poliziotto tale anche fisiognomicamente e dunque dall’aspetto rozzo ma dall’animo che si rivelerà sensibile e generoso. Garzón, sbirro di grande esperienza e prossimo alla pensione, non manca di esprimere con frasi del tipo “il capo è lei”, “è lei che comanda”, tutta la sua incredula stizza per aver ricevuto dalla sorte un capo donna, i cui percorsi mentali gli appaiono incomprensibili e mossi da forze oscure e misteriose. Il disagio tutto maschile (e maschilista) suscitato da Petra in quell’ambiente assume anche la forma della maldestra cavalleria “protettiva”, quasi sempre “smascherata” e rifiutata dalla protagonista, o della censura linguistica, che cerca tardivamente, e con esiti involontariamente risibili, di bloccare l’articolazione di parole sconce. Ma la “petrosità” di quest’ultima non parrebbe esaurirsi nella evidente “durezza” ostentata con fierezza femminista; piuttosto riemergere carsicamente, sotto un’altra forma, a cui allude la stessa Petra en passent e in un contesto apparentemente autoironico, quando illustra la probabile etimologia del suo nome: Petra come “pietra filosofale”, capace quindi di trasformare in oro ogni metallo. La “petrosità”, allora, in apparenza la scorza assunta per necessità di autodifesa, si rivestirebbe di un nuovo autenticamente “femminile” (e non più “femminista”) significato che rimanderebbe alla capacità, che Petra rivela in più occasioni, di utilizzare, determinando il suo successo lavorativo, l’intuito, la capacità di comunicare “empaticamente” anche con il delinquente più incallito e sul piano personale facendo affiorare e dando legittimità alle più profonde e segrete pulsioni femminili. C’è poi un ultimo aspetto da sottolineare del suo ossimorico nome, ossia la “delicatezza”, da Petra dimostrata in parecchie occasioni, soprattutto quando si rapporta ai figli del suo ultimo marito, Marcos, o a persone che si trovano in una posizione di inferiorità. La Giménez-Bartlett è riuscita nella per nulla facile impresa di creare, con Petra, un personaggio che, una volta incontrato, non abbiamo difficoltà a immaginare vero, reale, con le sue impennate idealistiche e le sue immersioni nella più cruda realtà, le sue oscillazioni tra un fervido desiderio di felicità e il più cupo nichilismo. Petra vive di vita vera soprattutto nell’intricatissimo Silenzio dei chiostri, anche se non sono di certo meno avvincenti Serpenti del Paradiso, Giorno da cani, Nido vuoto.
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