“Invito l’uomo a rivolgersi a se stesso. Lo invito a riconoscere il significato dell’incontro vivente: nell’era dei computer, dei robot, degli elettrodomestici, delle automobili e degli aeroplani, gli propongo di mettersi in rapporto diretto con le persone che incontra per la strada, al lavoro e a casa, di rendersi conto che esse valgono su un piano immortale e inestinguibile e di non considerarle solo come numeri da gioco” (J.L. Moreno) Continuo a scorrere la lista degli uomini più ricchi al mondo pubblicata da Forbes e non riesco a fare a meno di pensare che non conosco personalmente nessuno di quei facoltosi personaggi. Non un amico, non un parente, nemmeno un vicino di casa o un conoscente di un conoscente. Eppure esistono, continuo a ripetermelo… esistono e non sono il frutto distorto della mia immaginazione. Ingenti patrimoni e ricchi paperoni legati al mondo dell’alta finanza, all’e-commerce, dell’industria internazionale. Sono la massima espressione dell’economia globalizzata che oggi regola i mercati del mondo. Stilare una classifica, in base al reddito, esprime la precisa volontà di concretizzare il potenziale del fatto “economico”. Semplifica e rende accessibile a tutti un messaggio che trasporta i presupposti stessi della nostra modernità: la Ricchezza è un bene assoluto, o quanto meno lo è diventato, nel momento in cui ha ceduto la propria disponibilità esclusiva all’economia, rinunciando al suo senso figurato. Ma l’economia esiste dalla notte dei tempi? Quando abbiamo abbandonato la visione romantica della vita per emancipare a valore universale la pratica economica? Come possiamo restituire alla parola “ricchezza” il senso di completezza che merita? Indubbiamente lo scorso secolo ci ha lasciato in eredità un fardello ingombrante, per il quale tutto risulta imprescindibile dalla visione economica delle cose. Ammettiamolo, sperimentiamo nella nostra quotidianità questo confronto obbligato. Dalla più intima e familiare delle scelte alle previsioni di indirizzo politico e sociale, nessuno può sottrarsi al continuo richiamo all’economia. Gli stessi economisti dilagano, assumendo un’aria da guru da terzo millennio e traducendo in termine di valore gli aspetti più poetici della vita. Dalla filosofia alla spiritualità, dalla Rete alla piccola impresa locale, la new economy si rigenera continuamente, mostrandosi capace di accogliere al proprio interno ogni tipo di fenomeno. Tutti sotto lo stesso cielo, potenzialmente accessibile ma incapace per natura di nutrire le nostre perenni insoddisfazioni, noi soffriamo gioiosamente. Eppure mi chiedo se è sempre stato così. O se ovunque è così. Non volendo vivere di nostalgie e consapevole dell’impossibilità di rintanarsi su qualche isola selvaggia nell’era della globalizzazione tout court, non resta altro che valorizzare la ricchezza della nostra umanità. Nel luogo in cui è solita manifestarsi…la Comunità. E già, perché è proprio nella condivisione dell’inconscio di tutta la comunità che si sviluppa la comprensione delle relazioni umane, base imprescindibile della vera ricchezza. Ciò di cui abbiamo bisogno è quello che abbiamo messo da parte negli anni, è quello che abbiamo snobbato accecati dalla chimera del progresso senza limiti. Uno dei paradossi più lampanti della nostra società è ben descritta da Stefano Bartolini nel suo libro “Manifesto per la felicità” «… i beni di lusso per una generazione diventano beni standard per quella successiva e bisogni di base per quella che segue ancora…ma il lato oscuro che non viene raccontato è che i beni gratuiti per la prima generazione divengono beni scarsi e costosi per la generazione successiva e beni di lusso per quella che segue ancora». Si rende necessaria un’opera di coscientizzazione collettiva, per cui non misurare più la “qualità della vita” attraverso il PIL (che trascura molte variabili capaci di incidere sul senso di ben-essere) ma investendo su un tessuto sociale capace di contrastare il senso di solitudine e ammortizzare il peso della nostra mortalità. Dobbiamo costruire e incentivare una cultura più attenta alla dimensione relazionale della vita. Bisogna valorizzare il contatto, la reciprocità, la libertà ed il valore assegnato alle storie, alle persone comuni. “Perché a volte, nei momenti più impensati, per strada, puoi sentire l’anima lacerarsi, catturata dalla storia di qualcuno che ti è appena passato accanto” cita D. Grossman, presupponendo relazionalitaà, attenzione ed interesse al mondo degli altri, che richiede abilità di non essere centrati su se stessi, ma partecipazione alle emozioni altrui. Darsi tempo per sé, sostare, interrogare motivazioni e azioni, sono necessità, potenzialità e desideri di donne e uomini, che fondano la loro validità solo attraverso “l’aver cura” - delle vite umane, dell’ambiente e della società nel suo insieme, perché aver cura di ciò che ci sta vicino presuppone “l’aver cura di noi stessi”. ____ La consapevolezza è il primo passo con cui si impara a osservare i limiti come grandi rocce, immobili e maestose ma non per questo immutabili. I venti delle speranze hanno la forza di erodere i loro profili, talvolta concedendo di assaporare il contenuto dei desideri, tal altre, imponendo di trovare piacere nelle fatiche.
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