Marzo 2018

Manca Pincherle

La memoria di un grande scrittore nell'Italia dei Salvini e dei Di Maio


Saro Distefano

È probabilmente tra i maggiori dieci scrittori italiani del ventesimo secolo. Anzi, senza probabilmente. Però è stato quasi del tutto dimenticato. Dalla critica (e non ci potrebbe fregare di meno) e dal pubblico. Eppure Alberto Pincherle è stato davvero un grandissimo: quindici candidature al Premio Nobel per la Letteratura non sono da tutti. Ma è ancora più grande se si pensa che nonostante le quindici candidature, il Nobel non lo ha mai vinto. Proprio come Philip Roth che secondo me (e però io non sono nessuno) è la versione moderna e americana di Pincherle. Quella di Pincherle è, è stata, una avventura umana e culturale incredibile. Malattia, talento, viaggi, donne, premi, e mai, dicasi mai (almeno a giudicare dalle foto che è possibile reperire in rete, e sono migliaia) un sorriso. Al più un leggero piegarsi dell’angolo della bocca. La sua avventura letteraria è difficilmente paragonabile ad altri, in Italia e in Europa. Trenta romanzi, non sappiamo quanti racconti, articoli su tutti i giornali seri del mondo. E poi le frequentazioni, la famiglia, impressionante. Eppure, oggi è escluso dal dibattito letterario italiano, dove a farla da padrone è Fabio Volo. Ecco perché, mentre scrivo, il Presidente del Consiglio dei Ministri non c’è ancora e Luigi Di Maio e Matteo Salvini lavorano per raggiungere un accordo su un possibile patto della staffetta. Quando Alberto Pincherle scriveva i suoi primi romanzi c’era la dittatura, e in epoca repubblicana e democratica governavano Aldo Moro e il Partito di riferimento del romanziere era retto da Enrico Berlinguer. Ricordo come fosse ieri gli anni della cosiddetta Guerra Fredda, quando russi e americani si sfidavano a colpi di Granada e Afganistan e Pincherle, intervenendo nel dibattito tutto italiano (un Paese dove governavano democristiani nettamente filo-americani ma dove i comunisti erano tanti e forti) inventò una formula assolutamente geniale: “nella nostra società è ancora presente l’assurdità della guerra. Dobbiamo sconfiggerla, e non trovo altro modo se non dichiarala un tabù, un tabù culturale. Così come evitiamo l’incesto perché considerato un assoluto tabù, così potremo eliminare la guerra dalla nostra società dichiarandola un tabù”. La Storia ci dice che non venne ascoltato, evidentemente. Davanti alla rovina del mondo occidentale, e non avendo alternative se non lontanissime isole del Pacifico assediate dalla plastica, ci-mi rimane di assumere la forma assoluta della serenità: la indifferenza.