Se per Platone “la conoscenza del bene e del male è la medesima”, dobbiamo interrogarci e provare a pensare che anche la conoscenza del bello e del brutto possa essere la medesima. Tuttavia, mentre del male e del maligno se ne è discusso a lungo (complice l’essenza del cristianesimo), del brutto se ne è discusso troppo poco. Anche il brutto è, era e sarà… ma non osiamo guardarlo in faccia. Lo allontaniamo dalla luce del nostro “filosofare”. Tanti romanzi, favole, dipinti e film hanno quasi sempre legato necessariamente la bruttezza alla malignità (o al “diverso” da ciò che è cosa buona e giusta per la communis opinio). E non è solo “merito” di Disney. Infatti al diavolo sono apparse – tra tante bruttezze - le corna, e ci siamo dimenticati che Lucifero è l’angelo più bello creato da Dio. Ma può esistere un rapporto tra bruttezza e bontà? Può dal brutto fiorire anche il bello? A chi possiamo chiedere aiuto nella nostra indagine? Tralasciando il rapporto speciale del Cristo con i malati (è ovvio che non esista una buona malattia e che ogni guarigione è bella) e la dimensione della bruttezza del peccato, possiamo rifarci allo stesso Platone. A Platone e al suo “brutto-bello” Socrate. Per Socrate, oltre alla bellezza fisica esiste la bellezza dei valori spirituali. L’uomo che ha occhio metafisico può essere un bravo educatore senza arrestarsi alla bellezza del corpo e raggiungendo così la comprensione del Bello in sé. E’ proprio questo che, nel Simposio, il bell’Alcibiade ci dice del brutto Socrate. Non ci resta che leggere l’elogio che egli fa di Socrate, sileno brutto, ma di una profonda bellezza interiore. “Voi vedete che Socrate è sempre in amore con le belle persone, gli è sempre intorno e ne è tutto turbato, poi ignora tutto e non sa nulla... almeno all’apparenza! E non è da sileno questo? Ma è tutto lui! Perché questa è la sua veste di fuori, come nel sileno scolpito; ma, apritelo dentro, e immaginate mai, miei cari bevitori, di quanta temperanza è pieno? Sappiate che, se uno è bello, a lui non importa niente, ma lo sdegna quanto nessuno crederebbe, né gli importa se è ricco o possiede qualunque altra fortuna di quelle strabenedette dalla gente. Lui ritiene che tutti questi possessi non valgono nulla e che noi siamo nulla: ve lo dico io e passa il suo tempo a far l’ingenuo e a prendersi gioco della gente: ma quando fa sul serio e si apre, non so se qualcuno ha mai visto i simulacri che ha dentro! Ma io una volta li vidi e li sentii così divini e preziosi e così stupendi e meravigliosi che non mi rimase se non fare all’istante ciò che Socrate voleva”. Così – nei secoli - si è detto e pensato del comportamento di un grande filosofo. Sempre esaltato per la maieutica e per il limiti che ci ha consegnato col γνῶθι σαυτόν. Ma non lo trattiamo come un mostro nel circo della filosofia? Infatti, mentre ciò che fa paura alla mente è oggetto solo di questioni morali, invece ciò che fa paura agli occhi è destinato al silenzio. In fondo il brutto anatroccolo era solo un bel cigno! La Bestia era solo un bel principe! Non può mai essere che una cosa brutta sia buona o bella! Questo ci siamo detti implicitamente, soprattutto nell’epoca della perfezione estetica in cui al concetto di brutto si è legato quello di male, come se fossero un’unica e medesima cosa. Di fronte a tale meschina verità, abbiamo il coraggio di guardare in faccia il brutto “come se” fosse bello? Questa mi sembra la sfida, al di là di ogni umano ribrezzo. E questa mi sembra la missione per concepire e vivere consapevolmente e serenamente la totalità delle cose umane. Sì, anche il brutto può essere bello. Quel tizio brutto è bello! E anche il bello può essere brutto. Quel bel tizio è brutto! Anche questo si può – e si deve – dire. A questa conoscenza siamo chiamati, anche quando i sensi ci incatenano al like and dislike e al “o è bianco o è nero. Tertium non datur”.
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