Luglio 2018

Fascisti (ABUSIVI)

CasaPound, l’occupazione più famosa e fumosa d’Italia


Maria Cristina Vecchiarelli

Non si può concludere il discorso sul "brutto" di Roma senza menzionare ciò che pare l'anello di congiunzione tra quello e un suo concepibile "cattivo". Se esiste un luogo a cui assegnare una palma simile è di sicuro il civico otto di Via Napoleone III, tra la Stazione Termini e la basilica di Santa Maria Maggiore, dove si trova l'edificio indiscutibilmente più truce della città. Quel palazzetto squadrato, sede, durante il Ventennio, dell'Ente Nazionale per l'Istruzione Media e Superiore, ormai da cinque lustri divenuto la famigerata "CasaPound" in onore del poeta statunitense sostenitore del regime fascista e aderente alla Repubblica Sociale Italiana per imposizione del gruppo di militanti di estrema destra che, nella completa inerzia delle istituzioni statali e cittadine, lo occupa abusivamente dal 27 dicembre 2003, sembra proprio inviare folate di gelida repulsione a chiunque gli transiti sotto o davanti per spingerlo a girare alla larga. La grande e tetra insegna marmorea, anch'essa abusiva, che campeggia sulla sua facciata, assolve l'eclatante scopo di segnalare l'invalicabilità di un confine. Sotto di essa il torvo portoncino si trasforma nel varco d'accesso, sbarrato a chi non ne fa parte, ad una enclave sovrana dall'aria ostile. L'affissione di una tale spavalda segnaletica, oltre a proclamare l'accaparramento coatto di un'extraterritorialità da "Stato nello Stato", dà allo stabile il crisma di casa madre di una tanto coesa quanto brutale comunità ben più vasta dell'iniziale nucleo di occupanti delle sue mura; la quale, nella sua sprezzante auto emarginazione (rimarcata anche dal simbolo prescelto per identificarsi, la testuggine stilizzata il cui carapace richiama tanto il concetto di "casa" quanto quello di formazione da combattimento chiusa a scudo in assetto difensivo/offensivo al modo delle antiche legioni romane) e nel suo rinserrarsi nella fiera morsa di un'alterità politica e culturale variamente espressa e ferreamente connotata, ha tanto proliferato da espandersi in una galassia – quella di CasaPound Italia – che conta, dopo soli quindici anni, e a soli dieci dalla sua strutturazione in lobby indipendente dai residui partitici del vecchio MSI, più di cento sedi sparse in tutta la penisola, il vivaio di un movimento giovanile (Blocco Studentesco) robustamente radicato nei Consigli d'Istituto e nelle Consulte Scolastiche, una capillare organizzazione di associazioni mutualistiche, sportive, ambientaliste, culturali, un nucleo di Protezione Civile, una web radio, una TV online, molti blog, una rivista, una casa editrice, decine di pagine FaceBook e di profili twitter. La turbolenta storia di CasaPound affonda le sue radici negli anni Ottanta del secolo scorso, durante la fine dello spontaneismo armato e la disgregazione degli aggressivi gruppi extraparlamentari come Terza Posizione, per cominciare circa un decennio dopo nel sottobosco romano influenzato dalla scena naziskin (con tutto il suo corredo di musica, modo di vestire, pose, iconografie, simboli, sentimento d'appartenenza ad una banda, etica di strada, violenza rozza ed esplosiva), radicalizzazione neonazista di una parte del mondo skinhead dilagante in tutta l'Europa occidentale e nel Nord America appunto a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta e artefice di un'impressionante escalation di violenze razziste e antisemite a cui pone fine in Italia la repressione conseguente all'entrata in vigore della legge 205/93, meglio conosciuta come legge Mancino. Le tre entità estremiste emergenti del periodo, il Fronte Veneto Skinhead, il Movimento Politico Occidentale e Azione Skinhead di Milano, federate nel network Base Autonoma, subiscono un duro colpo per la messa fuorilegge del network stesso per mezzo dell'Operazione Runa, imponente azione di polizia effettuata grazie al nuovo strumento normativo: Azione Skinhead e Movimento Politico Occidentale, all'atto dell'incriminazione dei loro dirigenti, si sciolgono. Ma i loro militanti si disperdono solo momentaneamente. A metà degli anni Novanta due giovani camerati romani, orfani del Movimento Politico Occidentale, aprono a Varese un pub assieme a Rainaldo Graziani, figlio d'arte (suo padre Clemente è stato uno dei protagonisti dell'eversione neofascista del dopoguerra prima di darsi alla latitanza in Sud America), dirigente di Meridiano Zero, organizzazione di "tecno ribelli" di estrema destra auto discioltasi all'entrata in vigore della legge Mancino, instancabile promotore di iniziative politiche in contatto con gli ex dirigenti di Terza Posizione Gabriele Adinolfi e Walter Spedicato. Di uno dei due ragazzi si sa solo il nome: Gennaro. L'altro, che diverrà ben più noto alle cronache, si chiama Gianluca Iannone ed è un ventiduenne che ha appena lasciato l'esercito. Dopo un periodo di apprendistato di circa un anno, durante il quale ha modo di intrecciare e consolidare legami col cattivo maestro nero Adinolfi, Iannone rientra a Roma. Nella zona del Colle Oppio, storico covo di neofascisti capitolini, mette in piedi, sembra sempre con lo stesso Gennaro del quale da qui in poi si perderanno le tracce, il Cutty Sark, che dopo un attacco incendiario viene ribattezzato il "pub più odiato d'Italia". Intorno al bancone del Cutty Sark nel 1997 nascono la Comunità organica di destino Fahrenheit 451 e il gruppo musicale ZetaZeroAlfa, dove Iannone fa da voce solista. Una birreria intitolata a un vascello pirata, col logo di Capitan Harlock, un collettivo politico chiamato coll'evocativo titolo di un libro di successo di Ray Bradbury e una band musicale con un nome dal significato puerilmente ermetico ma dalla piena capacità di macchina mitopoietica saranno i pilastri di un'innovazione assoluta nel panorama della destra radicale, fino a pochi anni prima esclusivamente ripiegata sul funereo titanismo del culto del regime sconfitto, col solito armamentario nostalgico di pellegrinaggi a Predappio e stemmini di latta della X MAS, e sulla ossessiva e auto referenziale memoria dei camerati morti, importantissima per l'indissolubilità di una "comunità di destino" ma divenuta, in assenza di spinte propulsive ulteriori, lugubre De profundis anche per il ristretto manipolo dei vivi. Si va traducendo in azione la volontà di "uscire dal ghetto" di un pezzo, sia pur ancora minoritario, del neofascismo romano, il quale, racconta Elia Rosati nel suo libro dedicato alla genesi di CasaPound, "cominciava ad interrogarsi sul mondo post-guerra fredda, sui propri riferimenti culturali, sulla necessità di aggiornare la cassetta degli attrezzi e soprattutto sugli spazi politici che si aprivano nella società". E che, per non languire più all'ombra dei vecchi riferimenti branditi dalla paludata vecchia guardia e trovare nuova freschezza e vitalità nel suo attivismo, vuol soddisfare l'ambizione di appropriarsi di gesti rivoluzionari dal Sessantotto in poi appannaggio degli odiati e invidiati antagonisti di extra sinistra. E dunque, in una Roma che si rivela terreno più fertile del previsto, F451, questa piccola comunità di strani fascisti nata dentro un pub, mentre continua ad aprirsi ad altri interessi poco ortodossi - la boxe thailandese con la quale si addestra fisicamente, l'immaginario ribelle del film Fight Club con cui lo fa ideologicamente -, comincia ad uscire allo scoperto con le prime iniziative eclatanti. Nel 1999 prova un inedito esperimento di occupazione insediandosi in un casale abbandonato sull'Aurelia. L'impresa è di brevissima durata, ma il gruppo affida ad una beffarda canzone degli ZZA ("Settevenepalodue") la promessa di riprovarci subito. Nell'estate del 2002 la prima Occupazione Non Conforme dà vita a "Casa Montag" (dal nome del protagonista di Fahrenheit 451), che serve da prototipo per il progetto di militanza pazientemente coltivato. Abbandonata la struttura troppo fatiscente dopo solo un anno, si tenta di nuovo, mettendo stavolta gli occhi su un palazzo abbandonato al civico 8 di Via Napoleone III, praticamente in centro città. La location, di epoca mussoliniana, è attraente, il luogo strategico, la multi etnicità del quartiere uno stimolo potente a costituire un avamposto per la riaffermazione del predominio della razza autoctona su quelle straniere. È così che nasce CasaPound, che in principio si contenta di fare sodalizio con vecchie glorie neofasciste e neonaziste (Adinolfi, Boccacci, già comandante di Iannone in Movimento Politico Occidentale, l'ex forzanuovista Giuliano Castellino) nella branca di "Destra non conforme". Dall'interno di quel blocco aderisce al Movimento Sociale Fiamma Tricolore, composto dei fuoriusciti dell'ex Movimento Sociale Italiano dopo la svolta moderata di Fiuggi e la sua trasformazione in Alleanza Nazionale. Ma continua a scimmiottare gli schemi del movimentismo di opposta fazione: il reclutamento di nuove leve nelle scuole, la creazione una sottocultura innovativa, l'instaurazione di un rapporto con i media, il tentativo di farsi riconoscere le occupazioni dall'amministrazione e di sfruttare il partito per vedere eletto come indipendente un uomo in Consiglio comunale, puntando ad ottenere i suoi stessi risultati di espansione territoriale per il soddisfacimento delle sue ambizioni egemoniche. Nei suoi primi cinque anni di vita scalpiterà e sgomiterà per emergere, tra nuove occupazioni di stabili, esibizionismi durante le manifestazioni di centrodestra o nelle azioni dimostrative volte a suscitare clamore mediatico ed episodi di squadrismo di ogni genere: aggressioni, sfregi a lapidi partigiane, danneggiamenti alle sedi di partiti di diverso colore politico, scritte intimidatorie, scontri con gruppi antifascisti, appoggio plateale o larvato alle rappresaglie anti-rom avviate in seguito allo stupro e alla morte di Giovanna Reggiani avvenuti a Tor di Quinto il 30 ottobre 2007 (durante la campagna per le elezioni comunali che si concluderà, anche sull'onda emotiva conseguente a quell'episodio, con l'ascesa al Campidoglio di Gianni Alemanno). Ma anche con la grande operazione di bandiera, condotta con gazebo e volantinaggi a tappeto per tutta la città, del Mutuo sociale, suo cavallo di battaglia dal 2005 sino ai giorni nostri, basato sulla concezione del diritto alla proprietà di un'abitazione come "prolungamento spirituale dell'individuo", ovviamente solo di razza italica, in quanto elemento identitario di radicamento sul territorio e rafforzativo dell'entità nazionale; e col colpaccio della riuscita pubblicazione del libro sui centri sociali di destra di Domenico Di Tullio, avvocato del movimento, nientedimeno che da Castelvecchi, editore alternativo di sinistra che per questo viene travolto dalle polemiche. Nel 2008 si consuma la rottura con Fiamma Tricolore. Il segretario nazionale Luca Romagnoli, col sostegno di Maurizio Boccacci (che da lì a pochi mesi sarà anche lui un fuoriuscito, andando a fondare Militia), espelle Gianluca Iannone per un suo tentativo di occupazione simbolica degli uffici centrali del partito. A maggio Adinolfi pubblica un documento politico che parla del "sorpasso neuronico, il prolungato omega della destra radicale e i vaghi bagliori dell'alfa", stentoreo arzigogolo per significare che è tempo di chiudere con le paludi del neofascismo nostalgico e mortifero (da lui apostrofato "destra terminale") e continuare sulla strada intrapresa da CasaPound. Dal 19 al 22 giugno viene organizzato il meeting nazionale in cui si formalizza la nascita dell'associazione di promozione sociale CasaPound Italia. La quale, nella separazione dalle altre componenti dell'ex "Destra non conforme", accoglie un corposo travaso di loro ex militanti verso la propria parte. Nell'aprile 2009, durante l'emergenza per il terremoto in Abruzzo, CasaPound Italia già dispone di una trentina di sedi o spazi sociali in tutta italia, ed è in grado di organizzare dei punti di raccolta di materiale per gli sfollati, dando via al rodaggio di quello che diventerà poi il comparto di protezione civile "La Salamandra". Al contempo, però, il suo attivismo sta spaziando anche su fronti più intellettuali: nello stabile di Via Napoleone III ha preso il via una serie di incontri con personaggi noti lontani dall'estremismo nero. Il 6 febbraio ha varcato il portone di CasaPound l'ex brigatista Valerio Morucci per presentare un suo libro assieme a Giampiero Mughini che ha avuto il compito di intervistarlo; il 2 aprile lo ha fatto Stefania Craxi, in quel momento Sottosegretario di Stato al Ministero degli Affari Esteri, per intervenire ad un dibattito incentrato sulla figura di suo padre; il 21 settembre è Marcello Dell'Utri a venir ospitato, per via dei dei fantomatici "Diari di Mussolini" da lui acquistati; il 30 settembre è la volta di Paola Concia, deputata del Partito Democratico e storica attivista per i diritti degli omosessuali, che accetta di confrontarsi con gli esponenti di un centro sociale di estrema destra sul clima instauratosi a Roma dopo le aggressioni omofobe del mese precedente. Questo sembra davvero troppo a Fabrizio Caccia, corrispondente romano del Corriere della sera, che osserva sulle pagine del quotidiano che "ci deve essere una calamita formidabile sul portone di CasaPound". A lui, e a tutti gli altri critici, la Concia risponde indirettamente dichiarando a Gay.it: "non sono la prima di uno schieramento politico opposto che CasaPound Italia invita e, anche se sono molte le cose che ci dividono, i diritti civili e quindi i diritti degli omosessuali non sono, come ripeto da sempre, né di destra né di sinistra, ma debbono essere patrimonio di un paese intero, così come accade in altre nazioni d'Europa". Un atteggiamento dialogante che suona come una legittimazione da cui a trarre vantaggio sarà solo il gruppo estremista, che, senza dar successivi segni di alcuna positiva presa di coscienza rispetto al tema, avrà l'agio di poter sfruttare al meglio il formidabile ritorno di immagine rassicurante per l'opinione pubblica, molto mal disposta fino a quel momento a considerarlo qualcosa di più o di diverso di un gruppo di violenti eversivi. Negli anni successivi Casapound continuerà il suo andamento borderline, passando senza soluzione di continuità dallo scontro fisico cruento nelle piazze (culminato con l'orrore di Firenze del 13 dicembre 2011, quando Gianluca Casseri, militante vicino alla sezione di Pistoia, apre il fuoco in un duplice raid su cinque senegalesi ferendone tre e uccidendone due e poi si suicida) all'ostentato moderatismo negli incontri con personaggi del mondo politico, culturale, giornalistico, che continua ad organizzare tra le sue mura ottenendo adesioni che fanno scalpore. Come quando, nell'autunno 2017, giornalisti del calibro di Enrico Mentana, Corrado Formigli, Nicola Porro, accettano l'invito di confrontarsi con Simone Di Stefano, faccia "presentabile" del movimento. In quell'occasione la rivista di sinistra Contropiano elogia Gianluigi Paragone, che, convocato anche lui "alla corte di CasaPound", a sorpresa rispedisce l'invito al mittente: "Quello che non ti aspetti è ciò che accade. Dopo la sfilata di giornalisti "democratici" che hanno accettato di andare a confrontarsi con il leaderino dei fascisti di Casa Pound, Di Stefano, finalmente c'è stato qualcuno che ha detto no a questa fiera di una dannosa ipocrisia. Si tratta di Gianluigi Paragone, conduttore del programma "La Gabbia" (...) Prima di lui avevano detto si a Casa Pound professionisti seri come Mentana e conduttori irritanti come Formigli, commentatori baciati immeritatamente dalla fortuna come Porro (...) .Tutti in fila nel dungeon dei fascisti del terzo millennio in nome del "confronto democratico". Proprio come da anni cerca di affermare la relazione annuale dei servizi segreti che ci descrive i fascisti come bravi ragazzi impegnati nel sociale e attivi sul web "per allargare la base della militanza". Siamo ben oltre lo sdoganamento, siamo dentro la cooptazione ideologica e materiale di quello che i fascisti hanno rappresentato e rappresentano per la storia passata, recente e presente di questo paese. Il bistrattato ma esuberante Paragone invece ha detto no ed è giusto rendergli merito: ha strappato il velo dell'ipocrisia." Paragone dice no, e lo fa con queste motivazioni: "Ero stato invitato da Casapound per presentare il mio libro GangBank. O almeno così avevo capito. Invece scopro che farei parte di una passerella di giornalisti e opinionisti che di volta in volta si confrontano con Simone Di Stefano, vicepresidente del movimento. Ci sono già stati Enrico Mentana, Corrado Formigli e Nicola Porro. Poi dovrei esserci io e dopo di me David Parenzo. Ecco, io mi sfilo. Non mi interessa dover dimostrare di essere democratico perché vado a parlare con Casapound, ci vada chi pensa di doversi far rilasciare dei patentini anche da Casapound perché bisogna piacere a tutti. Io non voglio piacere a tutti. Soprattutto non voglio piacere ai colleghi. Non ho voglia di partecipare a un dibattito dove ciò che resta è: avete visto come siamo democratici? Lo può dire chi invita tanto quanto lo può dire chi accetta l'invito." Ma per un Paragone che dice no, tutti gli altri dicono sì e fanno a gara per dare visibilità al movimento, interpretando in maniera estensiva il concetto di democrazia e offrendo a CasaPound su un piatto d'argento una pubblicità esorbitante, in un momento in cui i seguaci della tartaruga frecciata accarezzano con sempre maggior entusiasmo l'ambizioso obiettivo di aprirsi spazi sulla scena politica nazionale e conquistare consensi e seggi nelle amministrazioni pubbliche e in Parlamento. Ottenendo anche modesti, talora discreti, successi, frutto anche della vincente strategia di radicamento territoriale nelle periferie abbandonate mediante distribuzione di viveri alle famiglie (italiane) in difficoltà, che a seconda della lente con cui verranno letti susciteranno più o meno tardivo allarme nel corpo democratico del Paese. Su tutta la storia di questi "fascisti del terzo millennio", come si sono autodefiniti nel 2011 per bocca del loro fondatore Gianluca Iannone, pesano anche ombre di connivenze e intrecci col mondo della criminalità organizzata. L'exploit del movimento nel novembre scorso alle elezioni suppletive del X Municipio di Roma, quello di Ostia Lido, dopo il commissariamento per mafia, quando, sia pure in un contesto di astensionismo record, al primo turno ha sfiorato il 9 per cento dei consensi, mai più eguagliato, se posto in associazione con la testata data in campagna elettorale da Roberto Spada, membro del clan di sinti italiani in odore di mafia, al giornalista Daniele Piervincenzi, reo di avergli insistentemente chiesto conto del suo appoggio a CasaPound, dà da pensare. Ma a dar da pensare ancor di più ai romani è l'acquiescenza che da quindici anni le amministrazioni di destra, centro e sinistra mostrano nei riguardi dell'occupazione dello stabile di Via Napoleone III. A gennaio di quest'anno, finalmente, s'erano levate voci di sgombero: le aveva riportate il Messaggero dando conto di come, su impulso della Magistratura che riteneva la questione prioritaria, per la prima volta la sede di CasaPound fosse stata oggetto di una riunione del comitato metropolitano per la sicurezza urbana per decidere di restituire il bene al legittimo proprietario, lo Stato. Avevano fatto seguito le sprezzanti dichiarazioni di Di Stefano, secondo cui la Prefettura aveva rimaneggiato le liste degli immobili da liberare "per dare un contentino al Partito Democratico" e quelle bellicose di Iannone che prometteva resistenza "con le unghie e coi denti": ma a nove mesi dall'annuncio non se ne è ancora fatto nulla. Nel frattempo i venti appartamenti del palazzo, sito in una zona dove i prezzi di mercato sono tra i più alti di Roma, continuano ad essere occupati dai vertici nazionali del movimento e dai loro congiunti, con una perdita di ricavi per i mancati affitti per il Demanio, che ne è il proprietario, stimabile in circa venticinquemila euro al mese: trecentomila l'anno, quattro milioni e mezzo complessivi. Persone che risulta difficile immaginare in condizioni di fragilità sociale e in emergenza abitativa: come Simone Di Stefano, il candidato premier nel 2013, che al momento della presentazione delle liste elettorali ha dichiarato quella come sua residenza - e che la scorsa estate aveva plaudito allo sgombero manu militari delle famiglie di etiopi ed eritrei che occupavano il palazzo di Via Curtatone, poco distante -, o Maria Bambina Crognale, moglie di Gianluca Iannone, socia di "Angelino dal 1899", redditizia catena di ristoranti, che ha indicato Via Napoleone III 8 come domicilio alla Camera di Commercio; o molti altri nomi noti dell'estremismo romano di destra candidati alle elezioni comunali del 2016. Ha girato a lungo la voce che Alemanno, durante la sua sindacatura, avesse riscattato il palazzo, facendolo comprare al Comune, e che questo fosse il motivo per cui CasaPound risultava a tutti gli effetti intoccabile. Non è così. È vero che un anno dopo l'elezione del sindaco il Demanio accetta di inserire il bene in un protocollo d'intesa col Comune di Roma, con l'intenzione di cederlo al Campidoglio per poco meno di dodici milioni di euro. L'operazione viene inserita con discrezione in un pacchetto di permute di immobili, ex caserme e terreni demaniali. Ma non passa inosservata, e l'opposizione di sinistra, che già vede il palazzo, una volta acquistato da Alemanno, concesso in comodato d'uso ai neofascisti, insorge. Così l'accordo salta tra le polemiche e tutto resta come prima. Ma CasaPound resta intangibile. Un'altra cosa incomprensibile è il mistero delle utenze di acqua e luce attive, nonostante a norma di legge vi sia necessità di un titolo abitativo valido per l'allaccio delle medesime. Come ricostruisce l'Espresso in una sua dettagliata inchiesta sull'argomento, "Nel 2004 vi fu un primo distacco, per disattivare le vecchie utenze Acea e Telecom intestate al ministero. Il 10 febbraio del 2016 la Polizia di Stato ha fornito il supporto per il taglio delle forniture, poi però misteriosamente riallacciate. Acea - società partecipata al 51 per cento dal Comune di Roma - non vuole commentare la questione trincerandosi dietro alla privacy: «Alla luce dei vincoli di riservatezza gravanti sull'Azienda non è consentito fornire informazioni circa la titolarità e lo stato di specifiche posizioni», è la burocratica risposta. Impossibile, dunque, sapere a chi siano intestate oggi le utenze. E chi le paga, se qualcuno le paga." Così, dopo quindici anni, restano in piedi tutti gli interrogativi sulle protezioni di cui gode CasaPound. Sul perché un immobile di pregio sia oggetto di una tale dimenticanza, così da lasciarlo godere per un così lungo tempo a degli abusivi indisturbati, mentre intorno ad esso si portano a termine decine di sgomberi. Scrive ancora l'Espresso: "Dopo l'occupazione del 27 dicembre 2003 il Miur - il dicastero che ha in carico l'edificio - ha presentato una denuncia informando il Prefetto e l'avvocatura dello Stato, chiedendo lo sgombero. Pochi mesi dopo, però, nel maggio del 2004, viale Trastevere ha comunicato all'Agenzia del Demanio di voler riconsegnare il palazzo "per cessate esigenze istituzionali": richiesta respinta proprio per via dell'occupazione abusiva di CasaPound. Da allora, spiegano all'Espresso gli uffici del Miur, «il ministero non ha intrapreso azioni per rientrare in possesso dell'immobile», salvo sollecitare nel 2008 «le autorità competenti in merito alla denuncia, richiedendo ancora una volta lo sgombero». Atti che - a quanto sembra - non hanno avuto conseguenze, tanto che oggi la Prefettura di Roma segnala che «non ci sono provvedimenti dell'autorità giudiziaria» sull'immobile." È di questi giorni la notizia del giro di vite che il Ministro Salvini ha concepito sulla materia. La bozza del decreto sicurezza che verrà presentata la prossima settimana in Consiglio dei Ministri contiene una stretta radicale sugli sgomberi. L'articolo 9 quinquies prevede che il Ministero dell'interno "....al fine di innalzare i livelli della sicurezza urbana, definisce, con proprio decreto, il piano operativo nazionale per la prevenzione e il contrasto del fenomeno delle occupazioni arbitrarie di immobili (Piano operativo nazionale). Il piano operativo nazionale stabilisce le modalità per la ricognizione delle situazioni di occupazione arbitraria di immobili esistenti nel territorio dello Stato e per il suo periodico aggiornamento con cadenza almeno semestrale". Il prefetto, in applicazione del piano nazionale, entro sessanta giorni, definisce, con propria direttiva, "il programma provinciale per l'esecuzione degli interventi di sgombero ('programma provinciale') anche con l'impiego della Forza pubblica", previo parere del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica "per la determinazione delle capacità degli stessi Enti di assicurare le misure assistenziali alle categorie di soggetti in posizione di vulnerabilità, individuate dal piano operativo nazionale". Una vera e propria dichiarazione di guerra agli occupanti abusivi che non guarda in faccia nessuno: famiglie in difficoltà, bambini, disagiati vari. Fuori tutti. E tutti noi romani ci stiamo già chiedendo: sarà la volta buona anche per CasaPound?