Dicembre 2018

L'Encyclopédie A PALERMO

La reazione dell'ambiente culturale siciliano al lavoro di Diderot e d'Alembert


Salvatore Leopaldi

Per chi vive in provincia, si sa, l’evento culturale è quasi sempre legato alla trascrizione di qualche quaderno d’illustre concittadino del passato in cui si narrano minuziosamente le cronache cittadine, pazientemente ricopiato da qualche professore in pensione e presentato nella sede della locale Pro loco che ne ha dato anche il patrocinio. Fino a qualche anno fa, qualcuno azzardava una raccolta di poesie. Oggi le raccolte di poesie sono sempre di meno sebbene ancora oggi non manchino tra le personalità di spicco di ogni paese uomini o donne incapaci di resistere alla tentazione di descrivere in versi sciolti l’effetto che gli produce la vista di un tramonto. Non in tutte le città, a dire il vero, la vita culturale è la stessa. Alcune se ne stanno chete nel loro immacolato silenzio, come l’invitato che nessuno conosce e che, non esprimendosi mai, a tutti suggerisce una grande deferenza e gli si attribuiscono meriti che magari non possiede ma che comunque non smentisce. Altre invece riempiono la terza pagina dei giornali della provincia tanto ricco e variegato è il programma culturale che offrono. Da qualche anno poi le novità culturali sono proposte da una pletora di “ex-qualcosa” in pensione che si alternano con piena efficienza di metodo figurando talvolta col microfono in mano e talvolta tra gli astanti. Sebbene tra i promotori si disconoscano i principi del marketing culturale o persino l’utilizzo di internet, le lunghe liste di prenotazione per una piega ai capelli preannunciano ai più attenti osservatori delle cose cittadine l’imminenza di un qualche evento. Segno distintivo sono principalmente le sedute, dalla qualità delle quali si giudica la qualità dell’evento. Temi preferiti sono le storie che riguardano personaggi e vicende accadute a non più di cinquanta metri tra l’inizio e la fine del corso. Di quelle quattro pietre del centro si conosce ogni particolare ma del ruolo che recitavano sul palcoscenico della storia o di come abbiano influito o si siano lasciate influenzare da quello che accadeva nel mondo sono in pochi non solo a saperlo ma persino a pensare che possa essere interessante. Che questa sia una descrizione fedele della vita culturale di provincia è dato sicuramente discutibile ma poco stupefacente. Stupisce di più invece che questa miopia dello sguardo, questo guardare tanto bene da vicino sfocando lo sfondo, fosse caratteristica già degli animatori culturali d’altri tempi. Non a caso io, che volevo parlar dell’Encyclopédie francese di Diderot e d’Alembert, mi sono ridotto a scrivere delle quattro pietre che conosco, ovvero del suo arrivo a Palermo. Era il 1751, il primo volume dell’Encyclopédie, annuciato un anno prima dal Prospectus dell’opera a firma di Diderot, era atteso da mezza Europa. Dove più regnava la noia più si attendeva la novità di questa impresa. «Una società di gente di lettere…» si leggeva nel frontespizio, al che, capirete, molti storcevano il naso. Prima ancora di essere pubblicata erano in troppi ad attenderla più per il dovere di criticarla che per il piacere di istruirsi. Non fosse altro perché, come non capitava da decenni, qualcuno pretendeva di pubblicare un’opera che si annunciava largamente istruttiva senza che nessun gesuita vi fosse coinvolto. Ovviamente l’attendevano persino a Palermo, dove l’Encyclopédie dovette probabilmente arrivare con il consueto ritardo e dopo aver affrontato il solito rischioso viaggio. Qualche tempo dopo, il battello che portava in Sicilia i 28 volumi dell’Encyclopédie, edizione lucchese del 1758, fece naufragio lasciando lungamente in attesa i tanti acquirenti siciliani. E qualche malumore dovette provocarlo, se si considera che la somma necessaria ad acquistarli era assai vicina a quella necessaria per l’acquisto di un modestissimo podere. Comunque nel 1751 il primo volume dell’edizione stampata a Parigi in qualche modo arrivò anche a Palermo. Le migliori menti cittadine, probabilmente riunite in concistoro nel salone arredato usato come sede dell’accademia di cui sicuramente facevano parte, avevano finalmente tra le mani il primo volume dell’opera che ha cambiato le sorti del mondo: …e cosa fanno? Iniziano a cercare, tra le voci, quelle che parlano della quattro pietre che conoscono. Di quei famosi cinquanta metri tra l’inizio e la fine del corso. Ce ne dà preziosa testimonianza tal Basilio de Alustra, detto fra gli Ereini di Palermo Corindo Attico. Altri non è che Salvatore Di Blasi, personaggio illustre della Palermo del tempo, animatore culturale e bibliotecario. Nel 1775, dopo aver pazientato lungamente, finalmente sbotta. Di Blasi compila un opuscolo di 70 pagine ben scritte nelle quali fa sfoggio della sua erudizione mostrando però più i limiti della cultura siciliana, o quantomeno di certi ambienti, che quelli dell’Encyclopédie che del resto erano già sotto gli occhi di tutti. Con uno stile tronfio e risentito il Di Blasi pubblica dapprima sotto acronimo «Esame dell’articolo di Palermo città della Sicilia pubblicato nell’opera che ha per titolo Encyclopédie, ou Dictionaire raisonnè… ». Letto oggi, che dell’Encyclopédie se ne conoscono i limiti e i peccati di ingenuità, tutti largamente perdonati in virtù di una progettualità e di una visione tanto ampia da giustificare la perdita di dettaglio di certe voci, l’opuscolo di Di Blasi risulta, per paradosso, quasi una satira o una descrizione caricaturale di quella folta schiera di uomini di scienze e di lettere che avversarono l’Encyclopédie un po’ per partito preso e un po’ per evidente miopia dello sguardo. Quella stessa miopia che persiste nello sguardo ravvicinato di tanta odierna cultura di provincia. «Appena arrivato si cominciò con avidità a scartabellarlo, ed a leggerlo» scrive Di Blasi, che rimane deluso dalla poca presenza di cose siciliane nel primo volume e aggiunge «poco eravi da sperare per la Sicilia nella lettera B per le sue Terre, o Citta, ed eran tutti ad aspettare nella C qualche più copiosa notizia di una Città di Caltagirone […] di Castrogiovanni […] di Cefalù […] e sovrattutto di Catania». L’attesa rimane delusa e la voce «Catane» in cui si parla di un’inventata «Vallée de Catane » dà modo al Di Blasi di ironizzarne: «Si cominciava già a dubitarsi della diligenza de’ Signori Compilatori…». Ma ovviamente a Palermo si aspettava la lettera P, poco attenti com’erano a quelle voci dell’Encyclopédie che hanno contribuito a plasmare il pensiero moderno. Si dovette pazientare fino al dodicesimo volume. I volumi dall’8 al 17, gli ultimi dieci prima delle Planches, vennero pubblicati contemporaneamente nel 1765 con il falso luogo di stampa Neuchatel. Ed è qui che Di Blasi sbotta quando legge: «Palerme (Geog. Mod.) en latin Panormus Ville detruite de la Sicile…». Città distrutta della Sicilia. Allora Di Blasi lamentandosi che nemmeno le edizioni stampate a Lucca e Livorno avessero corretto tale macroscopico errore, non contento dell’evidenza dell’esistenza di Palermo in cui egli stesso viveva e che da sola sarebbe bastata a palesare l’errore dell’Encyclopédie elenca la gran quantità di opere che descrivono la città e che presumibilmente i “compilatori francesi” avrebbero dovuto conoscere. Più scrive, però, e più il suo tono si fa risentito. Emerge con sempre maggiore chiarezza quella che fu la principale causa del risentimento generale nei confronti di quest’opera; opera che fu impresa editoriale, progetto culturale e programma politico insieme. Ed il risentimento dell’uomo di chiesa, quale il benedettino Di Blasi era, si acuisce e prende forma più definita quando nella voce Palermo legge: «Je supprime les noms d’une foule de Jesuites, o autres Moines nés a Palerme, o qui pendant deux siecles ont inondé l’Europe d’ouvrages aujourd’hui ignores sur le droit Canon, la Teologie Scholastique, o autres sujets semblabes». Tale procedimento retorico che consisteva nell’inserire veri e propri attacchi alla cultura scolastica, ai gesuiti o più in generale alle superstizioni religiose è una delle caratteristiche dell’opera ed è parimenti una delle armi più affilate usate da Diderot per combattere l’egemonia culturale ecclesiastica. Che all’interno di voci apparentemente esotiche (si veda Agnus scythicus, Aigle, Allatrace…) si nascondano veri e propri attacchi all’irrazionalismo religioso è ciò che più irriterà soprattutto i gesuiti. Per capirlo, del resto, era bastato il Prospectus: «è dalle nostre facoltà che abbiamo dedotto le nostre conoscenze: la storia ci proviene dalla memoria; la filosofia dalla ragione; e la poesia dall’immaginazione». Ben si capisce come un intero apparato che aveva basato la propria egemonia culturale sul presupposto che tutte le conoscenze umane vengono da Dio tramite un processo di “conoscenza rivelata” reagisca con violenza attaccando con tutta la sua potenza di fuoco la nuova impresa. La storia dell’Encyclopédie però non è solo storia culturale ma commerciale prima di tutto ed è proprio l’interesse commerciale, gli ingenti capitali investiti e i grandi profitti, che nonostante tutto salvarono l’opera dalla censura che pure arrivò: a più riprese dal parlamento francese e nel 1759 con la messa all’Indice pontificia che pure a nulla valse. Di Blasi, come altri siciliani, attese di leggere il tomo in cui si parlava della Sicilia e scopri che si scriveva «la Sicile n’a plus rien aujourd’hui de considérable que ses montagnes et son Tribunal de l’Inquisition». Di lì a poco anche l’Inquisizione sarebbe stata abolita e della Sicilia risulta assai straniante che venissero lodate le sole montagne. Il giudizio è forse severo ma dà l’occasione al Di Blasi di ribattere a tono dicendo dell’Encyclopédie: «n’a rien de considerable, que le Planches». Oggi, pensare che questa fu la reazione con la quale venne accolta l’opera che ha in qualche modo indirizzato le sorti della storia moderna forse è quanto di meno lusinghiero ci si possa immaginare per la cultura siciliana del tempo che pure di lì a poco avrebbe avuto una sua rinascita.